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Indice Gemma Tizzano Iannaccone
 
 

Exultet

La Pasqua è la più antica e la più solenne delle feste cristiane e, all'interno delle celebrazioni, particolare importanza rivestono i rituali della vigilia del Sabato Santo.
Essi derivano dall'usanza di vegliare tutta la notte per attendere il giorno della Resurrezione. La Veglia prevede una serie di letture e di preghiere che si concludono con la celebrazione della Messa. In tale funzione l'Exultet, il cui testo discende da una redazione duecentesca fissata da Papa Innocenzo III, ha svolto un ruolo fondamentale, infatti il rito latino si apre col “praeconium” cioè l'annunzio la cui prima parola è appunto “Exultet” ovvero esulti, gioisca la Chiesa per la Resurrezione di Cristo. Nel momento in cui il diacono annuncia alla comunità il mistero pasquale della redenzione compie il rito dell'accensione e dell'offerta del cero.
L'Exultet è, quindi, punto insieme culminante e conclusivo dei riti della veglia di Pasqua, è un atto di lode e di ringraziamento che si attua nell'offerta del cero, che rappresenta la colonna di fuoco che guidava gli israeliti nella loro fuga nel deserto, ma è anche simbolo di Cristo luce del mondo. C'è quindi un paragone tra la Pasqua del Vecchio Testamento e la Nuova Alleanza. Si proclama la vittoria della luce sulle tenebre e il declamante invita l'assemblea a gioire per il compiersi della profezia del mistero pasquale, ripercorrendo nel canto i prodigi della storia della salvezza. Qui la lingua della liturgia, una prosa antica strana e magnifica, sale ad altezze a cui è difficile trovare un parallelo nella letteratura cristiana. Per esteso la prima parola del canto liturgico è passata ad indicare anche i rotoli sui quali il testo dell'inno è stato più volte trascritto tra il X e il XIV secolo, secondo una prassi attestata quasi esclusivamente nell'Italia meridionale.
Nel periodo medioevale i copisti preparavano i cosiddetti “libelli”, piccoli libretti di pergamena, divisi in varie sezioni cucite insieme con striscioline anch'esse di pergamena, che venivano composti per la celebrazione di determinate festività ed erano in genere manufatti di modesto valore. In alcune celebrazioni, tuttavia, essi venivano sostituiti da esemplari più importanti sotto forma di rotoli, per la cui composizione erano necessarie almeno trenta pelli di pecore. Questo manufatto esprimeva quindi, senza mezzi termini, lo status symbol e il potere dei grandi signori della preghiera, della guerra e del denaro che erano i committenti di questo potente mezzo di comunicazione.
Il rotolo richiamava le forme dei papiri dell'antichità, ripresi dai riti della Chiesa greco-orientale e che furono diffuse in ambito beneventano-cassinese, la cosiddetta Longobardia minore, grazie ai monaci italo-greci che trasmigrarono nei secoli X e XI dalla Calabria e dalla Sicilia verso la Campania e il Lazio meridionale. Infatti è in queste aree che compaiono i primi rotoli di Exultet che sono documenti importantissimi della pittura, della musica, della paleografia e della liturgia medioevale.
I rotoli erano decorati con miniature di grande bellezza che illustravano scene bibliche ed anche naturalistiche che venivano cantate in questa sorta di sintesi della storia della salvezza.
L'exultet è frutto di una vera e propria invenzione iconografica elaborata intorno al X secolo. Le decorazioni illustrano passo per passo il contenuto del testo e non seguono uno schema predefinito ma compongono un ciclo variabile che prevede l'illustrazione di soggetti diversi ma riconducibili a tre ambiti tematici: la storia sacra, le cerimonie liturgiche e i ritratti di contemporanei, venivano raffigurate specialmente le figure del potere universale e locale quale papi, clero, sovrani ed autorità locali: principi longobardi di Capua e Benevento, hypati di Gaeta con tiare, imperatori bizantini e re svevi, perchè l'uso dell'Exultet arrivò fino al XIII secolo. Una delle immagini ricorrenti è quella introdotta a corredo della Laus Apium, l'elogio delle api, simboleggianti la verginità della Madonna. Essa segue diverse varianti dettate dagli specifici orientamenti dei miniatori: talvolta assume un carattere fortemente simbolico o decorativo di sapore bizantino, altre volte è improntata alla narrazione vivace, di gusto narrativo e popolare e mostra gli sciami che volano per i campi e i contadini che raccolgono il miele e la cera. L'elogio delle api si mantenne in tutto il medioevo anche se aveva scandalizzato San Girolamo perchè si meravigliava che nel canto pasquale si facessero sentire tutte le Georgiche di Virgilio, che era un poeta pagano.
L'Exultet interessò vari ambiti: letterario artistico musicale. Nel Medioevo, all'inizio della Quaresima, si celebrava un rituale suggestivo col quale si sigillava l'alleluia, cioè lo si cantava per l'ultima volta in forma quasi nostalgica, per farlo poi tacere durante i successivi quaranta giorni.
L'offerta del cero acceso dal fuoco nuovo durante la veglia del Sabato Santo era invece accompagnato dall'alleluia pasquale, che era una vera e propria esplosione vocale in cui si manifestava grande gioia spirituale ed era talmente suggestivo che si dice che Mozart un giorno avesse affermato che avrebbe volentieri rinunciato a tutta la sua musica pur di essere lui l'autore di questa melodia, tanto la considerava mirabile.
Tutta la cerimonia era molto suggestiva: durante la veglia nella chiesa gremita, ornata di arredi preziosi, rischiarata dal luccichio delle candele, il diacono intonava la Laus srotolando man mano dall'ambone il rotolo davanti al clero e ai fedeli riuniti in mistica attesa. In un'atmosfera solenne e trepidante dove i gesti, gli apparati, i canti, le luci, i profumi concorrono a preparare gli animi all'estrema catarsi della tragedia cristiana, l'illustrazione, la scrittura e il canto si fondono in una sintesi sfarzosa, carica di significati religiosi, politici ed ideologici. La parola cantata, scritta, drammatizzata, visualizzata in un contesto di forte emotività devozionale, colpisce gli astanti, ognuno dei quali decodifica i segni che sa intendere. Vengono infatti usati linguaggi diversi nella logica di una inculturazione rivolta verso tutti i fedeli, la maggior parte dei quali “idiotae” cioè analfabeti.
Quando la pergamena veniva fatta scorrere giù dal pulpito, anche i fedeli che non conoscevano il latino colto potevano seguire la storia vedendo le illustrazioni, quasi che l'Exultet fosse come un moderno fumetto se non un antesignano dei cartoni animati, anticipati di circa mille anni.Le immagini infatti che decoravano il rotolo erano dipinte al contrario rispetto al testo e al diacono recitante; questa particolare impaginazione consentiva al diacono, posto sull'ambone, di cantare il testo svolgendo il “volumen” e lasciandolo lentamente cadere, permettendo ai fedeli, ai quali le figure apparivano per il verso giusto, di assaporare meglio il contenuto testuale per mezzo del supporto visivo fornito loro in questo modo. Il diacono doveva stare attento che le immagini fossero correlate al testo. Quindi per poterle vedere contemporaneamente alla parole dell'inno, dovevano essere collocate 50 cm. prima del testo. Il rotolo, così teatralizzato, diventava uno strumento funzionale e comunicativo che, riunendo in sé immagine, parola e musica si costituiva come “annuncio” e conferiva solennità al mistero celebrato.
Ispirato a pratiche liturgiche d'Occidente e d'Oriente, rielaborato nella struttura ed esaltato dall'aggiunta di un corredo iconografico a Benevento, “teatralizzato” a Bari, adattato e aggiornato a Montecassino, il rotolo liturgico dell'Exultet doveva diffondersi anche altrove: da Capua a Gaeta, da Mirabella Eclano a Salerno e a Troia. Però fu soprattutto a Benevento che il rotolo venne ad assumere carattere di particolare originalità, per l'ampiezza e la bellezza dei manufatti. Al momento della sua elezione, Landolfo I, arcivescovo di Benevento, fu committente dei primi rotoli liturgici illustrati, creando un forte simbolo del potere e dell'autorità arcivescovile. Si tratta di una forma di autocelebrazione e autorappresentazione in un'epoca nella quale la dinastia capuana, a cui Landolfo apparteneva, portava il Principato di Capua-Benevento alla sua più vasta estensione territoriale e alla sua massima influenza politica, dominando pure istituti e patrimoni della Chiesa assorbendone le cariche.
I rotoli liturgici di origine beneventano-cassinese non rappresentano solo un veicolo di comunicazione estremamente originale ma anche un'innovazione che ebbe ripercussioni assai notevoli per quanto riguarda il destinatario del messaggio liturgico. Il fedele doveva sentire che la Chiesa si avvicinava a lui in un modo nuovo, invitandolo nella notte di Pasqua a vedere con i suoi occhi la storia della salvezza. Si pensi che fino a quel momento il celebrante non aveva mai mostrato il messale ai fedeli e che questi avevano appreso la liturgia solo attraverso la parola e il canto. Ora un ignoto e coraggioso innovatore aveva compiuto un passo inaudito: egli voleva aprire gli occhi del fedele comune presentandogli il ben noto inno pasquale su di un nuovo medium: un rotolo decorato con preziose immagini di grande formato.
I Rotoli ci restituiscono, quindi, mediante le loro splendide decorazioni, l'emozione dell'antica Liturgia Medievale con le sue luci, i suoi canti, le sue immagini.

Gemma Tizzano Iannaccone
(da Il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 5 Maggio)