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L'esame di Minichiello

 

A coloro che asseriscono esservi da noi mancanza di ogni iniziativa, sono solito ribattere che esse invece non mancano, ma non mancano nemmeno i modi per farle abortire, sia per invidia, sia per semplice negligenza, sicché vediamo spesso scomparire o “scippare” tante attività o istituzioni create a fatica tra mille difficoltà.
Fu così che negli anni ’30 del secolo scorso fallì la Cassa Cattolica (la “Banca dei preti”), che nel suo piccolo aveva creato benessere e speranze, fino a diventare motivo di orgoglio per la nostra città, in quei tempi in cui poco diffusi erano gli sportelli bancari. Fallì lasciando nella disperazione coloro che vi avevano depositato tutti i loro sudati risparmi e quei piccoli operatori che vi ricorrevano per il prestito. Per questi restava l’ultima risorsa del Monte dei pegni, ma occorreva pur sempre avere la disponibilità di beni di adeguato valore da dare in pegno.
Quel fallimento fu un autentico disastro che fece aumentare di molto la miseria e diminuì le possibilità di occupazione per i giovani. Moltissimi di loro, incoraggiati anche dalla propaganda del governo, che incitava all’arruolamento per ingrossare le file dell’esercito, pensarono che l’unica via per trovare lavoro era quella delle armi. Le strade però erano limitate.
Le forze di polizia erano rappresentate dalla Milizia, in cui erano accolti coloro che avevano determinati requisiti anche politici, mentre i Carabinieri e la Guardia di Finanza richiedevano una statura poco comune a quei tempi e, soprattutto, un certificato penale che attestava una condotta illibata del candidato, dei familiari, dei parenti e degli affini fino alla quarta generazione. E anche questo era quasi impossibile per molti.
Era più facile accedere nell’esercito, nella marina e nella nuova arma aeronautica. La marina attirava più delle altre l’attenzione dei nostri giovani. La bianca divisa, vistosa ed elegante, attraeva non solo perché distingueva dai ruvidi abbigliamenti degli altri, ma anche perché attirava l’attenzione delle ragazze.
I primi arruolati che tornavano in licenza stimolavano ancor più l’interesse dei coetanei che non avrebbero mai trovato un lavoro o che desideravano liberarsi dal duro lavoro dei campi.
Anche Minichiello pensò di aver trovato finalmente l’occasione buona per farla finita con broccoli, cavoli e patate che coltivava nell’orto di famiglia e di poter finalmente indossare abiti eleganti al posto dei suoi pantaloni a zompafuosso dei giorni di fatica. Presentò la domanda e fu chiamato a La Spezia per la visita medica. Aveva un bel fisico e, superata senza ostacoli la visita, fu chiamato davanti alla commissione esaminatrice. Uno dei commissari, scorrendo i suoi documenti, notò il luogo di nascita e gli chiese: “Tu sei di Teano. Dimmi un po’ cosa è successo a Teano”.
Minichiello pieno di meraviglia, rispose: “Comme? ‘U sapite pure vuie? A Tiano è successo ‘o finimunno: è fallita a Banca de’ prieveti e hanno arrestati tutti quanti e ‘a povera gente ha perduto i sordi e mo sta mmieze a via!”.
Il commissario, stupefatto, replicò: “Ma che vai dicendo. Noi vogliamo sapere qualcosa del famoso incontro di Vittorio Emanuele e Garibaldi”.
Minichiello con assoluta innocenza concluse: “Ma comme ‘o sapite vuie? Io nun n’aggio sentuto parlà”.
Fu quindi rispedito a Teano, a coltivare ancora l’orto.
Per tutta la vita non riuscì a capacitarsi della sua esclusione dopo aver superato brillantemente la visita medica.

Paride Squillace
(da Il Sidicino - Anno IV 2007 - n. 1 Gennaio)