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Indice Lucio Salvi
 
 

Antologia Sidicina

 

Al Lettore,
nel corso di un'Accademia (178° convivio – Anno XVI) in onore di un Socio fondatore infermo gli Amici del Club Sidicino gli hanno presentato musiche alternate a brani di letteratura.
Non potendo per ovvii motivi riprodurre gli spartiti musicali (le esecuzioni furono di Ilaria Vernoni alla tastiera e Daniele Barone al violino) riportiamo i brani recitati dai Consoci allo scopo di fermare il tempo e assemblare un'Antologia unica che leghi gli Amici ad un'idea comune.
Ha aperto il sequel la mascotte Antonella Pellegrini di anni nove con la seguente poesia da lei composta:
La Giornata
La mia giornata è… / Un tuffarsi in un mare di colori, / quando è bel tempo / Le margherite bianche raccolgo / e poi lascio cadere rendendo fioriti gradini. / Bello il sole abbagliante / che illumina il cielo e… / una luna ancora assonnata. / Tante corse, nella mia giornata / tante risate, giochi ma anche… riposo. / Quando piove mi rattristo, / però alle piante spunta un sorriso / e sbocciano i loro fiori colorati / sì… / per noi la pioggia è triste / ma per la natura è rinascita.
Catherine legge Robert L Frost:
La strada non presa
Due strade divergevano in un bosco d'autunno / e dispiaciuto di non poterle percorrere entrambe, / essendo un solo viaggiatore, a lungo indugiai / fissandone una, più lontano che potevo / fin dove si perdeva tra i cespugli. / Poi presi l'altra, che era buona ugualmente / e aveva forse l'aspetto migliore / perché era erbosa e poco calpestata / sebbene il passaggio le avesse rese quasi uguali. / Ed entrambe quella mattina erano ricoperte di foglie / che nessun passo aveva annerito / ah, mi riservai la prima per un altro giorno / anche se, sapendo che una strada conduce verso un 'altra, / dubitavo che sarei mai tornato indietro. / Lo racconterò con un sospiro / da qualche parte tra moti anni. / Due strade divergevano in un bosco ed io / Io presi la meno battuta / e questo ha fatto tutta la differenza.
Ruth legge la poesia di Lorelei
Io non so che voglia dire/ che son triste, così triste. / Un racconto d'altri tempi/ nella mia memoria insiste. / Fresca è l'aria e l'ombra cala,/  scorre il Reno quietamente; / sopra il monte raggia il sole/ declinando all'occidente. / La bellissima fanciulla/ sta lassù, mostra il tesoro / dei suoi splendidi gioielli,/ liscia i suoi capelli d'oro. / Mentre il pettine maneggia,/ canta, e il canto ha una malia / strana e forte che si effonde/ con la dolce melodia. / Soffre e piange il barcaiolo,/ e non sa che mal l'opprima, / più non vede scogli e rive, fissi gli occhi ha su la cima. / Alla fine l 'onde inghiotte/ barcaiolo e barca…Ed ahi! / Questo ha fatto col suo canto/ la fanciulla Lorelai.
Claudio legge Manzoni: Promessi sposi
Addio, monti sorgenti dalle acque, ed elevati al cielo; cime ineguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente non meno che sia l'aspetto dei' suoi più familiari; torrenti de' quali distingue lo scroscio come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è triste…
Alessandro legge Jacques Prévert: Per fare il ritratto di un uccello.
Per prima cosa dipingere una gabbia / che abbia la porta aperta / quindi dipingere / qualcosa di grazioso / qualcosa che sia semplice / qualcosa che sia bello / qualcosa d'utile / per l'uccello / mettere poi la tela contro un albero / in un giardino / in un bosco / o in una foresta / nascondersi dietro quell'albero / senza dir niente / e senza muoversi… / Talvolta l'uccello arriva svelto / ma può anche mettere anni ed anni / prima che si decida / Non scoraggiarsi / aspettare / aspettare se occorre anche per anni / la rapidità o la lentezza d'arrivo dell'uccello / non ha nulla a che fare / con la riuscita del quadro / Quando l'uccello arriva / se arriva / osservare il silenzio più assoluto / aspettare che l'uccello entri nella gabbia / e quando l'avrà fatto / richiudere dolcemente la porta col pennello / e poi / cancellare una per una tutte le sbarre / avendo cura di non toccare le piume dell'uccello / Fare a questo punto il ritratto dell'albero / scegliendo il suo ramo più bello / per l'uccello / dipingere allora il fogliame verde e la freschezza del vento / il pulviscolo del sole / il rumore degli insetti nascosti nell'erba / nella calura estiva / poi aspettare che l'uccello abbia voglia / di mettersi a cantare / Ma se non canta / è un gran brutto segno / è segno che il quadro è venuto male / ma se canta è invece buon segno / segno che il lavoro va firmato / E qui voi strapperete / con gran dolcezza a quell'uccello / una sua piuma e scriverete / il vostro nome in un angolo del quadro.
Rosanna recita Trilussa: La vispa Teresa aveva tra l'erbetta / al volo sorpresa / gentil farfalletta / e tutta giuliva gridava a distesa: L'ho presa! L'ho presa!
Massimo, creativo, continua: Se questa è la storia che sanno a memoria / i bimbi di un anno, pochissimi sanno / che cosa le avvenne quand'era ventenne / Un giorno di festa la vispa Teresa, uscendo di chiesa, / si alzava la vesta per farsi vedere / le calze “chiffonne” / che a tutte le donne fa molto piacere. / Armando, il pittore, vedendola bella le chiese il favore / di far da modella / Teresa arrossì ma disse di sì / “Verrete?” – “Verrò: ma badi però…”Parola d'onore!” / rispose il pittore. Il giorno seguente Armando l'artista / stringendo furente la nuova conquista / gridava a distesa: T'ho presa! T'ho presa!” A lui supplicando Teresa gridò / “Sù sù mi fai male la spina dorsale. Mi lasci che anch'io / son figlia di Dio… Se ha qualche problema parli alla mamma…” / A tale minaccia Armando tremò / dischiuse le braccia / ma quella restò. Perduto l'onore / sfumata la stima / la vispa Teresa più vispa di prima / per niente pentita / per niente confusa / capì che l'amore non è che una scusa. / Per circa tre lustri fu cara a parecchi: tra giovani e vecchi / oscuri ed illustri la vispa Teresa fu presa e ripresa / Contenta e giuliva s'offriva e soffriva, / ( La donna che s'offre se apostrofa l'esse ha tutto interesse / a dire che soffre) / Ma giunta ai cinquanta con l'anima affranta col viso un po' tinto* col resto un po' finto / per torsi d'impaccio dai prossimi acciacchi / apriva uno spaccio di Sali e tabacchi / Un giorno un cliente chiedendo un toscano… / le porse la mano così…casualmente, / Teresa la prese e la strinse e gli chiese: “Mi vuole sposare? Farebbe un affare”. Ma lui di rimando rispose: “No no! Vivendo e fumando che male ti fò?” Confusa e pentita Teresa arrossì / Dischiuse le dita e quello fuggì. / Ed ora Teresa pentita davvero non ha che un pensiero: d'andarsene in chiesa / Con l'anima stracca si siede e strabacca offrendo al Signore gli avanzi di un cuore che batte la fiacca. / Ma spesso fissando con l'occhio smarrito la polvere gialla / che resta sul dito le sembra il detrito di quella farfalla / che u giorno ghermiva stringendola viva. / Così come allora Teresa risente la voce innocente che prega ed implora: ”Deh lasciami! Anch'io son figlia di Dio!” / Fu proprio un bel caso!” sospira Teresa fiutando la presa che sale nel naso. “Se qui non son lesta mi scappa anche questa”, E fiuta e rifiuta tossisce e sternuta. Il naso è una tromba che squilla e rimbomba e pare che l'eco si butti allo spreco…Tra un fiotto e un rimpianto tra un soffio… e un eccì la vispa Teresa / lasciamola lì.
Laura C. legge Reiner Maria Rilke: I quaderni di Malte Laurids Brigge
… i versi significano così poco, quando li si scrive in troppo giovane età! Bisognerebbe avere la forza di attendere, per raccogliere in sé per tutta una vita (per tutta una lunga vita, possibilmente) i succhi più dolci. Perché i versi non sono, (come tutti ritengono) sentimenti. I versi sono esperienze. / Per scriverne anche uno soltanto, occorre prima aver veduto molte città, molti uomini, molte cose. Occorre conoscere a fondo gli animali; sentire il volo degli uccelli; sapere i gesti dei piccoli fiori quando si schiudono all'alba. Occorre poter ripensare a sentieri dispersi in contrade sconosciute; a incontri inattesi, a lontani tempi di infanzia; al padre e alla madre che eravamo costretti a ferire quando ci porgevano una gioia incompresa da noi perché fatta pe altri; a giorni trascorsi in stanze silenziose e raccolte; a mattini in riva al mare; a tutti gli oceani. E non basta. Occorre poter ricordare molte notti d'amore, sofferte e godute, grida di partorienti. / Occorre avere assistito moribondi, aver vegliato lunghe ore accanto ai morti, nelle camere ardenti, con le finestre chiuse e i rumori che vi entravano a flutti. / E anche ricordare non basta. Occorre saper dimenticarli, i ricordi, possedere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé non sono ancora poesia. / Solo quando divengono in noi sangue, sguardo, gesto; quando non hanno più nomee più non si distinguono dall'essere nostro, solo allora può avvenire, in attimo rarissimo di grazia, dal loro folto prorompa e si levi la “prima parola di un verso”…
Paola legge Abner Rossi: Esiste solo il tempo della mia follia
Siete soli? / Avete portato la vostra anima? / No? / L'avete lasciata nella vostra auto spiaccicata nello specchio del vostro bagno stamani mentre v mettevate la maschera adatta per fingere di essere, essere, essere…il niente al plurale, come plurali sono i vostri desideri inespressi ma vantati come quando il sole vi acceca, nelle mattine dell'inverno dell'anima o dell'estate della virtù che nessuno ormai … ha? / Peccato! avreste potuto sfruttare il vostro biglietto di sola andata… / Per dove? Bah! / Andare… da qui dove si trova la mia follia, a voi stessi, quando voi stessi vi gloriate delle immagini che scorrono nella vostra vita tra conferenzieri dispersi come pirati nullatenenti o come giovani ragazze che si pensano eterne per il possesso della esperienza di vecchie bagasce nobili e ricche… di un futuro certo di indifferenza. / Dunque siete soli?. Lo immaginavo. / Anch'io! / Non trovate che la solitudine sia… per certi versi imbarazzante? Imbarazzante come quando un bambino ti chiede “perché”… quando il perché non lo sai e se anche tu lo sapessi non potresti esprimerlo per le parole che usi e che sono vuote come nidi abbandonati da secoli neri. Sì neri, perché il tempo se diventa un pensiero e poi parola, si fa nero sulla bocca degli uomini. /Beh, allora andiamo? / Dove? / Qui o là, dove tutto si sporca e diventa spettacolo! / Sarebbe meglio trascinarla in strada la nostra anima, dove farle vivere una vita vera, infine. / Come fosse pietra con cui lastricare strade apparenti, come tutte quelle che illusoriamente percorriamo. Strade che potrebbero però portare in alto. / Non che il alto ci sia niente, ma il niente dell'alto è un altro niente. / Perché solo alcuni di voi, volano.
Marisa coordina e legge Pablo Neruda: Ode al pomodoro
La strada si riempì di pomodori, mezzogiorno, estate, / la luce si divide in due metà / di un pomodoro scorre per le strade il succo. In dicembre senza paura il pomodoro, invade le cucine, entra per i pranzi, si siede riposato nelle credenze, tra i bicchieri, i porta burro, le saliere azzurre. Emana una luce propria, maestà benigna. Dobbiamo purtroppo assassinarlo: affossa il coltello nella sua polpa vivente, è una rossa viscera un sole fresco, profondo, inesauribile, riempie le insalate del Cile, si sposa allegramente e per festeggiare si lascia cadere l'olio figlio essenziale dell'ulivo / sui suoi emisferi socchiusi si aggiunge il pepe la sua fragranza, il sale il suo magnetismo: sono le nozze del giorno / il prezzemolo issa la bandiera / le patate bollono vigorosamente / l'arrosto colpisce con il suo aroma la porta, / è ora andiamo! E sopra il tavolo, nel mezzo dell'estate, il pomodoro astro della terra, stella ricorrente e feconda, ci mostra le sue circonvoluzioni i suoi canali, l'insigne pienezza e l'abbondanza senza ossa senza corazza, senza squame né spine, ci offre del suo colore focoso e la totalità della sue freschezza.
L'Accademia si chiude con il canto a due voci (Marisa & Massimo) di Core 'Ngrato.

Teano, 18 aprile 2015, dal Belvedere della Masseria San Massimo.

Lucio Salvi
(da Il Sidicino - Anno XII 2015 - n. 6 Giugno)