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Lo Spleen, tedio esistenziale

 

Ippocrate riteneva che la milza (spleen in greco) producesse un umore che creava nell'individuo la ipocondria. Ed in anatomia per ipocondrio si intende la regione sottocostale dove, a sinistra, la milza ha sede.
La parola spleen ne ha fatto di strada. Oggi significa malinconia, insoddisfazione, scontentezza, noia. È un atteggiamento sentimentale di umore tetro, di tedio esistenziale che fu rappresentato dagli scrittori soprattutto francesi ed inglesi del secolo XIX di spiritualità romantica e decadente. Uno studio fatto in Australia da un docente di psicologia conclude che lo spleen potrebbe essere la formula necessaria per il successo, perché aumenta le prestazioni (performances) cognitive, la capacità persuasiva, lo spirito critico.
Una ritenuta negatività che si trasforma – nell'interpretazione attuale – in un inatteso fattore positivo. La psichiatria ha trasformato questo dolore fisiologico (lo spleen) in un disturbo depressivo.
Un sentimento dagli aspetti misteriosi che ci rende più concentrati, meno ingenui e creduloni. La tristezza costituisce una risposta a sconfitte e avversità: è una reazione di adattamento, un regresso in sé per risparmiare risorse psicologiche e segnalare un bisogno di aiuto. Un'autodifesa.
Lo spleen può comparire al crepuscolo, nella nebbia, in autunno per la minore intensità della luce solare, nella solitudine. Si può essere soli tra cento persone. L'anziano sopraffatto dalla solitudine non ha più voglia di relazionarsi con gli altri. Il mondo di fuori gli interessa poco. Si chiude in sé; di un personaggio ne parla anche Gomorra, il best seller di Saviano. L'anziano è concentrato sui propri ricordi e sulla propria decadenza fisica, di cui tiene una contabilità costante e spietata.
Luigi II di Wittelsbach, il re folle nato il 1845 e morto in circostanze misteriose nel 1886, andava a passeggiare di notte nei boschi profumati dalle rose dell'Isola del lago incantato Starnberg in Baviera, in preda a spleen leggendo poesie; ed ad incontrare la cugina l'irrequieta imperatrice Sissi (Elisabetta d'Austria) per amarla e per condividere il tedio e le insoddisfazioni. Alla luce delle torce portate dai fedeli servitori in una cupa atmosfera da tregenda, nel silenzio interrotto dai versi agghiaccianti degli uccelli notturni.
Una soluzione ne Il fardello del Tempo dal Lo spleen di Parigi di Baudelaire, poeta francese (1821-1867): “Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull'erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l'ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: È l'ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare.”

Lucio Salvi
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 10 Ottobre)