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Anno V Era Fascista: nasce la provincia di Frosinone

 

Era il 1927, anno V dell'Era Fascista, quando il governo dell'epoca, su vigoroso impulso del “premier” Benito Mussolini, diede il là alla costituzione di una nuova creatura amministrativa, smembrando il territorio della Terra di Lavoro e inglobando una cospicua porzione della provincia di Roma. Nasceva, dunque, la provincia ciociara con Frosinone capoluogo. Sono passati ormai più di ottant'anni ma di quell'accadimento si sono perse le tracce e, persino, i ricordi. Eppure in quel 1927 si verificò un evento epocale. Qualcuno, infatti, pensò bene di abbattere la millenaria barriera naturale costituita dal Liri e di accorpare, con una operazione chirurgica di alta precisione, pezzi di territorio posti sull'uno e sull'altro versante del fiume, andando così a stravolgere un equilibrio geografico, ma anche culturale e socio-economico, che era rimasto inalterato per tanti secoli. La nuova provincia, dunque, veniva alla luce con un grave vizio di origine: il parto era andato a buon fine ma la neonata racchiudeva in sé tutte le molteplici contraddizioni tipiche di un asettico assemblaggio fatto solamente di “taglia e cuci”. Dando uno stesso tetto a territori molto diversi tra loro si mantenevano in vita tutte quelle differenziazioni che ancora oggi risaltano in maniera evidente. Un unico contenitore ma nettamente spaccato in due tronconi, “papalini” al nord e “regnicoli” al sud, con il vecchio fiume Liri che continua, nonostante tutto, a rimanere un ostacolo insormontabile. Ma perché fu creata la provincia di Frosinone? E' lo stesso Mussolini a spiegarlo nel celebre discorso dell'Ascensione del 26 maggio 1927. “Perché ho creato 19 nuove Province? Per meglio ripartire la popolazione; perché questi centri provinciali abbandonati a se stessi producevano un'umanità che finiva per annoiarsi e correva verso le grandi città dove ci sono tutte quelle cose piacevoli e stupide che incantano coloro che appaiono nuovi alla vita. Abbiamo trovato all'epoca della marcia su Roma 69 province del Regno. La popolazione era aumentata di 15 milioni, ma nessuno aveva mai osato toccare questo problema, e di penetrare in questo terreno, perché nel vecchio regime l'idea o l'ipotesi di diminuire o di aumentare di una provincia, di togliere una frazione ad un Comune, e putacaso l'asilo infantile ad una frazione di comune, era tale problema da determinare crisi ministeriali gravissime. Noi siamo più liberi in questa materia, e allora, fin dal nostro avvento, abbiamo modificato quelle che erano le più assurde incongruenze storiche e geografiche dell'assetto amministrativo dello Stato italiano”. Un impeto di decisionismo e la necessità di ribaltare situazioni stagnanti e deleterie: queste le motivazioni dello stravolgimento amministrativo che interessò l'intera Penisola. Anche se, al di là della versione ufficiale, balzano fattori assai meno nobili, almeno per ciò che concerne Frosinone. Dando vita alla provincia ciociara Mussolini volle soprattutto ridimensionare Caserta, città alquanto tiepida nei confronti del regime e covo pullulante di riottosi antifascisti. La notizia ufficiale giunse il 6 dicembre del 1926. Così Mussolini comunicava la buona nuova al commendatore Antonio Turriziani, podestà di Frosinone: “Oggi su mia proposta il Consiglio dei Ministri ha elevato codesto Comune alla dignità di Capoluogo di Provincia. Sono sicuro che con il lavoro, con la disciplina e con la fede fascista codesta popolazione si mostrerà sempre meritevole della odierna decisione del Governo Fascista”. Il testo di tale messaggio, scolpito su di una lapide di marmo, venne affisso in Piazza della Libertà che, da allora, si chiamò, appunto, Piazza VI Dicembre. A quel tempo Frosinone non era una città particolarmente popolosa. Contava, all'incirca, 14 mila abitanti, assai, meno, dunque, di centri quali Alatri, Veroli, Ferentino, ma anche di Sora, Cassino e Pontecorvo. Eppure come capoluogo fu scelto proprio Frosinone. Forse perché, come spiega Costantino Jadecola in un suo bel libro (“Nascita di una Provincia”, Tipografia Arte Stampa, Roccasecca 2003), “a favore di Frosinone giocava evidentemente il fatto di ospitare, già dal XIII secolo, il rettore di Marittima e di Campagna, la provincia meridionale dello Stato Pontificio, nel cui contesto occupò un tempo un ruolo sempre più rilevante sino a divenire, agli inizi dell'Ottocento, sede di delegazione apostolica”. Di tali eventi, però, si parla poco e niente. Gli stessi organismi istituzionali hanno fatto completamente passare inosservato l'ottantesimo anniversario della nascita (2007). Una cosa inspiegabile ed anche singolare in un Paese dove si festeggia anche la ricorrenza più insignificante. Anche perché altrove (tanto per non fare nomi, Latina, la cui provincia, allora Littoria, venne istituita nel 1934), si stanno già da tempo alacremente organizzando per dare la giusta rilevanza ad un accadimento di grande importanza storica. A Frosinone, invece, non si è mossa foglia. Forse per il fatto che il “padre” legittimo della “creatura” è stato, niente meno che, Benito Mussolini? “A pensar male si fa peccato ma spesso si coglie nel segno” diceva qualcuno che in quanto ad astuzie politiche non era secondo a nessuno. Il fatto è, comunque, che tale persistente silenzio ha fatto passare inosservato un trauma gravissimo che ha prodotto conseguenze più che nefaste. Un territorio omogeneo dal punto di vista storico, sociale, culturale, economico e, persino, eno-gastronomico, è stato smembrato in maniera arbitraria, cervellotica ed assurda. Cassino e il cassinate, ma anche Sora e il sorano, hanno perso la loro secolare e naturale connotazione meridionale per essere inserite di peso in quel limbo indistinto che prende il nome di Italia centrale. E, solo qualche anno dopo, la stessa “prava” sorte subirono Minturno, Formia, Gaeta e le altre realtà del Golfo, ingabbiate in una anonima ed impalpabile provincia pontina. Una ferita dolorosa e lacerante, una ferita che non potrà mai rimarginarsi.

Fernando Riccardi
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 12 Dicembre)