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Isola Liri, l'eccidio dimenticato

 

Primavera tragica quella del 1799 per Isola Liri, graziosa cittadina dell'alta Terra di Lavoro, ad un tiro di schioppo da Sora, nota soprattutto per le sue incantevoli cascate. Di certo l'accadimento più nefasto della sua lunga storia. Dopo l'effimera parentesi repubblicana in quel di Napoli, le truppe francesi, incalzate da presso dai “sanfedisti” del cardinale Ruffo, si ritiravano precipitosamente verso Roma. La marcia dei laceri soldati d'oltralpe, attaccati di continuo dalle masse filoborboniche, non conosceva ostacoli. Tutto veniva travolto e distrutto. L'obiettivo era quello di giungere il più presto possibile nelle regioni del nord Italia per frenare l'iniziativa della coalizione austro-russa che aveva colto importanti successi sul campo di battaglia. Attraversata la valle del Liri lasciandosi dietro una lunga scia di sangue, il 12 maggio le truppe del generale Watrin, uno dei tanti contingenti dell'esercito giacobino, penetrate in Isola del Liri, trucidarono 537 persone tra cui 350 poveretti che si erano rifugiati nella chiesa di San Lorenzo e che trovarono la morte mentre assistevano alla messa. Ma veniamo ai fatti. Giunti in prossimità del borgo, avendo trovato le porte sbarrate, gli ufficiali francesi inviarono due dragoni a parlamentare con gli insorgenti isolani affinché fosse lasciato loro libero il transito. Dalle mura della città partì, invece, una fitta scarica di fucileria che uccise i due soldati. Ciò scatenò la furiosa reazione dei giacobini che, guadato il fiume, mentre Mammone e i suoi accoliti si davano alla fuga, entrarono in Isola e dettero inizio alla atroce mattanza con saccheggi, distruzioni, incendi, stupri e furti sacrileghi nelle chiese dove fecero scempio e incetta di reliquie e di oggetti sacri. Fu un giorno terribile per Isola Liri. L'arciprete Nicolucci riportò sul registro dei morti della chiesa di San Lorenzo la seguente annotazione: “12 maggio 1799. E' degno di memoria né mai da dimenticarsi questo giorno di Pentecoste in cui il pazzo impeto dei Francesi travolse nella rovina noi e le nostre case, facendone strage. Tutto devastò, tutto rapì il nemico: non scamparono al bottino né greggi né armenti, non sopravvisse uomo; non vi fu donna, ancorché fanciulla, non contaminata dalla violenza dei soldati; quegli empi profanarono gli altari e le cose più sacre. Chi vuol saperne di più legga a pagina 263 di questo libro la dolorosa nota e vedrà perché un solo medesimo giorno registri la morte di cinquecento e più persone”. Non ancora appagati i soldati d'oltralpe si riversarono su Porrino, popolosa frazione di Monte San Giovanni, in territorio papalino, e qui uccisero altre dieci inermi persone. Una di esse, tale Maria Pede, di 72 anni, fu bruciata viva in piazza. Il giorno seguente (13 maggio) fu la volta di Casamari. All'interno dell'austera abbazia il cieco furore dei predoni giacobini provocò la morte di sei monaci di santa vita. Fatalità volle che degli uccisi ben quattro fossero di nazionalità francese. Tornando all'eccidio di Isola Liri, nel 1899, a cent'anni dal tragico evento, la municipalità cittadina collocò nella chiesa di San Lorenzo, sulla parete di destra rispetto alla porta d'ingresso, una epigrafe marmorea che così recitava: “Il di 12 maggio 1799 qui caddero massacrati dalle milizie francesi 533 cittadini. Il popolo isolano nel giorno del centesimo anniversario pose”. Da allora, se si eccettua qualche raro momento storico-commemorativo, su un fatto così drammatico è calata fitta e impenetrabile la nebbia dell'oblio. Sui libri di storia, inspiegabilmente, non c'è spazio per la tragedia di Isola Liri. Eppure quel 12 maggio, giorno di Pentecoste, trovarono la morte tanti poveri innocenti. I cronisti dell'epoca raccontano che il copioso sangue delle vittime colorò di rosso il fiume Liri. Ciò malgrado il silenzio continua a regnare sovrano. Un'altra grande ingiustizia della nostra storia patria alla quale, prima o poi, qualcuno dovrà porre rimedio.

Fernando Riccardi
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 3 Marzo)