L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
 
Frammenti d'archivio - Il custode Arturo Zanni
nei ricordi di Amedeo Maiuri
 
 

Nel rileggere il libro di Amedeo Maiuri “Dall’Egeo al Tirreno”, del 1962, nel quale l’autore racconta, tra l’altro, in modo suggestivo la storia di Teanum Sidicinum e dello scavo presso il tempio di Giunone Populonia, mi ha colpito positivamente il riferimento e la descrizione che il grande archeologo fece di Arturo Zanni, allora custode delle antiche rovine della città. Pertanto voglio condividere il capitolo interessato con i lettori de il Sidicino, integrandolo con delle foto in possesso dal figlio Fernando, già Dirigente del Comune di Teano, in cui sono rappresentati il padre e gli operai che lavorarono allo scavo archeologico presso il citato tempio. (Luigi Di Benedetto)

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“Senza la ricerca archeologica, di Teano dei Sidicini sapremmo solo quello che c’insegnano anche i più umili manuali di storia: che cioè, minacciati dai Sanniti, avrebbero fatto ricorso ai Capuani, e non riuscendo i Capuani a difendere i Teanesi e sé stessi, avrebbero invocato l'aiuto di Roma: da ciò l'intervento romano in Campania e la lunga tremenda guerra sannitica finita con la formazione del primo grande Stato romano e italico del Mezzogiorno d'Italia. Evento di gran lunga superiore a quella prima guerriglia di confine.
Era una delle città più singolari della Campania. Al di fuori del confine, pur non potendo sconfessare una comune origine con gli osci campani, fece parte a sé e con quell'epiteto di Sidicini tenne a rivendicare la sua appartenenza ad un ramo diverso da quello delle genti capuane, come certe famiglie nobili tengono a distinguersi col nome del proprio feudo da quello del ceppo comune. Appoggiata a un gran dosso di monte, in una posizione di vedetta e di avamposto, era destinata a ricevere il primo urto degli Italici che si fossero affacciati alle porte della Campania. Così fu dei Sanniti quando dall'altopiano di Alfedena e dalla gola d’Isernia discesero al piano non per pascolare i loro armenti, ma con le armi e con il proposito di conquista.
La città godeva beatamente la gran luce della civiltà ellenistica e fu la scoperta delle necropoli del III e IV secolo a.C. di Gradàvola e di Nobile a rivelarci la civiltà ancora ignota dei Sidicini: arche del sepolcro finemente dipinte, stele e edicole funerarie, vasellame con la più elegante decorazione dipinta e a rilievo e non senza le firme dei ceramografi locali; donne ingioiellate di auree collane e di orecchini e, come appariva dalle statuette deposte nel sepolcro, abbigliate secondo l’alta moda del tempo; sembrava che l'arte e la moda fossero risalite dalle rive dello Jonio a quella città di monte e di selva, fatte più per la rudezza del costume italico che per le finezze e le preziosità ellenistiche.
Ma quando chiuse la dura partita con i Sanniti, primo atto fu di mettere fra Teano e Capua, come un valido cuneo di difesa, la colonia latina di Cales che, fra l’altro, con i sui ceramisti gettò sul mercato una così abbondante messe di vasellame da compromettere l'industria dei teanesi. Eppure, nonostante la presenza di quegli incomodi coloni, Teano romana prosperò, si ampliò oltre la cerchia delle vecchie mura, dilagò nei campi, corse incontro alla via Latina, sicché oggi che è tornata a raggrumarsi intorno alla vecchia arce italica, l'esplorazione di Teano costituisce, insieme con quella di Cales e di Sessa Aurunca, la condizione necessaria per intendere la funzione storica che ebbero quelle tre città alle porte della Campania e l’antica Terra di lavoro. Per questo ho salutato con gioia i saggi di scavo che si propongono di esplorare il primo monumento della Teano sidicina e romana: il presunto tempio di Giunone Populonia; bene è cominciare nelle città antiche dagli dèi.
Per raggiungere lo scavo si circuisce il perimetro della città lungo il muro della fortificazione sepolto tra una volta corona di querce così frondose e croscianti sotto il vento di maestrale da portare la frescura del monte vicino. I campi si alternano in riquadri di folta verzura e di magro frumento e, dove il frumento è magro, la nostra guida afferma d’aver sondato muraglie e pavimenti per ogni dove. Quello che la tradizione umanistica locale vuole fosse il tempio di Giunone Populonia, venerata a Teano da sacerdotesse di gran prosapia, si trova tra un più denso folto di querce e un campo di frumentone pallido e stento. Mentre si attende che raccolgano quelle poche pannocchie, i primi saggi hanno già delimitato, tra un duplice portico a nord e un possente muro di terrazzamento a sud, l’area del santuario. Non s’è messo ancora in luce il tempio ma se n’è scoperto il deposito sacro, la stipe votiva che rivela di per sé la natura e il carattere del culto.
Una delle trincee di scavo è capitata su una favissa sacra, uno di quei depositi con cui periodicamente e ritualmente si sgombravano le pareti e la cella dei templi del loro strabocchevole numero di ex-voto, seppellendoli nel terreno e facendo posto ad altri ex-voto. A manciate, a sporte, a ceste vengono fuori dalla terra le statuette votive di tipo femminile offerte alla dea, forse a Giunone Populonia, forse a Cerere, comunque a una divinità della fecondazione della terra e della maternità. Testine e statuette ispirate alle più rare forme della bellezza femminile con acconciature di gran moda e vesti e movenze che richiamano le belle terracotte tarantine. Tra tutte quelle eleganze muliebri i volti e le figure virili continuano invece a ispirarsi alla tradizione dei plasticatori italici e sembrano volutamente contrapporsi per condannare con la loro rudezza patriarcale quelle esotiche mondanità. Ma a giudicare dallo stravincente numero delle statuette femminili si direbbe che quella protesta non avesse fortuna.
Zanni assuntore di custodia, l'ultimo gradino nella graduatoria del ruolo dei custodi, meriterebbe una promozione sul campo. Magro, nervoso, irrequieto come un archeologo neofita alle sue prime armi, ha saggiato, perforato tutto quel campo di frumentone con il picco di ferro e mi descrive quel che si vede e quel che non si vede, come se avesse avanti agli occhi un negativo radiografico. Cacciato nella trincea, raccoglie gli ex-voto con occhi d'Argo; se avesse avuto l’incarico da una sacerdotessa del tempio di numerare e inventariare tutte le statuette rotte e sane di quel deposito non lo farebbe con più religioso fervore. E una volta scavate e ripulite amorosamente dall'incrostazione del terreno col risvolto della giubba, col fazzoletto di colore, col fiato, e stivate e sigillate in scatole, scatoloni e cassette nell’angolo più segreto della casa, nell’attesa d’una bella sala di Museo, le conosce e le ricorda tutte come fossero ritratti di famiglia: la testa più bella, degna di Venere, con la più elegante e architettata capigliatura raccolta in tre tuppé; la damina leziosa e contegnosa come una gentildonna del settecento veneziano; la matrona drappeggiata e seduta come una dea in trono; un putto, un Eros, col volto ridente fra un'arruffata corona di riccioli e, da ultimo (ma c’è voluto l’aiuto delle donne di casa per ritrovarlo nella custodia), un giocattolo per bimbi, una culla con un bambino dormente e il sonarello per fargli compagnia e conciliargli il sonno.
Tocco ormai dalla febbre della scoperta galoppa il bravo Zanni per le campagne di Teano, dalle grotte del teatro alla masseria di Loreto, dal tempio di Giunone alle terme del Bagno nuovo, dalle muraglie della Trinità alla necropoli di Gradàvola a dar la caccia agli scavatori di frodo, a sorvegliare il cavo dei pozzi e tener d’occhio qualche automobile sospetta.
La sera, rifacendo il cammino tra le querce, l’ho visto a un tratto ghermire tra l’erba con una falcata, come un nibbio, un frustolo di terracotta; s’è guardato attorno e l’ha nascosto guardingo dentro un cespuglio. L'avrebbe raccolto il giorno dopo per restituirlo al deposito sacro del tempo.”

(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 4 Aprile)