L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
 
Libera e il quarantesimo anniversario della Legge Basaglia
 
 

Con il 2018 si apre per Libera e per il nostro giovane presidio teanese dedicato ad Antonio Landieri, un nuovo anno di impegno per tenere alta l'asticella dell'attenzione riguardo ai temi della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione.
Il compito è quello di riuscire ad avvicinarci un po' di più a quell' ideale di giustizia sociale che troppo spesso sembra fuggire lontano. Ancora oggi siamo costretti a registrare innumerevoli casi di diseguaglianza (non tutti infatti godiamo degli stessi diritti e possibilità), di negazione e limitazione della libertà personale e collettiva, di barriere che impediscono la realizzazione delle persone secondo le loro aspettative e capacità. Serve quindi provare a fare qualcosa di più attraverso l'opera di educazione e formazione che da sempre Libera porta avanti nelle scuole ma anche e soprattutto mediante azioni concrete di sostegno a chi troppo spesso viene lasciato solo e dimenticato indietro. Per proseguire su questa strada abbiamo certamente bisogno dei giovani attraverso gli occhi dei quali possiamo intravedere il futuro, della loro innovazione e delle loro idee, ma allo stesso tempo non possiamo dimenticare il percorso fatto fino ad oggi fra errori e conquiste, sconfitte e vittorie.
Una tappa fondamentale nella lotta per la giustizia sociale è stata sicuramente l'emanazione della Legge 180 cosiddetta “Legge Basaglia”, dal nome dello psichiatra veneziano che ne dettò le linee guida e si impegnò affinché venisse approvata.
Quest'anno ricorrerà il quarantesimo anniversario dall'entrata in vigore di tale legge che sancì la chiusura dei manicomi e soprattutto indicò una via territoriale e comunitaria nella presa in carico delle persone affette da malattie psichiatriche. Basaglia mise in evidenza le condizioni disumane in cui vivevano gli internati e l'impossibilità di pensare a una qualsiasi terapia psicologica o biologica in un luogo che riduceva la persona ad oggetto identificandola con la malattia. I “pazzi” venivano privati degli affetti personali, della libertà di movimento e di attività, la vita manicomiale era scandita dalle regole classiche di un'istituzione totale con gli ambienti ben separati e le sbarre ad impedire il contatto fra le persone. Ed è proprio nell' impossibilità di sviluppare rapporti umani, legami contrassegnati dallo scambio e dal racconto reciproco, che Basaglia vede configurarsi una situazione senza soluzione per i suoi pazienti. Fortemente convinto della valenza anti-terapeutica degli istituti psichiatrici dell'epoca, dapprima cercò di modificare la morfologia fisica dei manicomi da lui diretti, abbattendo muri e porte, eliminando qualsiasi tipo di contenzione e di metodi chiaramente debilitanti quali l' elettroshock, l'insulinoterapia, le docce fredde, la lobotomia, per poi restituire ai pazienti la loro dignità di persone capaci di vivere insieme agli altri, di dare libero sfogo alla propria personalità e di organizzare la vita comunitaria dandosi regole condivise. Si concretizzò l'idea dello psichiatra che un altro modo era possibile, che l'intero complesso della vita manicomiale, con le sue regole, i suoi ruoli e abitudini ben definiti creavano una struttura capace di influenzare i comportamenti di tutti coloro che ne facevano parte, impedendo al malato di esprimere la sua reale sofferenza. Una sofferenza psichica che nell' impostazione della psichiatria dell'epoca diventava malattia etichettabile con una diagnosi. La persona che diventa “la sua malattia”, l'uomo che si trasforma “nel pazzo” e la chiusura a qualsiasi possibilità d' espressione del proprio malessere non permettevano, secondo Basaglia, di cogliere a pieno il vissuto di sofferenza caratterizzante la malattia psichica, un vissuto unico per ognuno e quindi sfuggente alle leggi della nosografia psichiatrica.
La Legge 180 diede inizio al processo di progressiva chiusura dei manicomi terminato non molto tempo fa e permise anche di cominciare a pensare e realizzare un sistema di prevenzione e presa in cura dei soggetti psichiatrici a livello territoriale, che non rimettesse in moto quei meccanismi di esclusione sociale tipici degli istituti. Una delle criticità che la Legge Basaglia produsse fu proprio quella dell'incapacità e impreparazione da parte di famiglie e delle comunità nell' accogliere chi fino ad allora era stato internato. Non fu semplice e ancora oggi tale difficoltà non è stata superata del tutto, eppure sono tantissime le esperienze di welfare comunitario che sono nate anche e soprattutto nella nostra regione. A tal proposito vogliamo raccontare ciò che ogni giorno accade su molti dei beni confiscati alla criminalità organizzata in provincia di Caserta. A Maiano di Sessa Aurunca, Aversa, Castelvolturno, Casal di Principe, Pignataro e non solo, le cooperati- ve sociali alle quali i beni confiscati sono stati affidati, si impegnano ogni giorno a dare ospitalità e lavoro a soggetti svantaggiati fra i quali molti provengono da un passato manicomiale o di OPG. Sono proprio queste persone che impegnandosi in attività agricole ridanno vita a quei terreni che prima erano casa dei boss malavitosi e mezzi attraverso i quali riciclare il denaro proveniente dagli affari illeciti. E fra quelle coltivazioni, simbolo del potere criminale, oggi trovano riscatto ragazzi dal passato non facile, storie di ex- tossicodipendenti, di malattia psichica, di criminalità e carcere. Lo fanno lavorando la terra, vedendone crescere i frutti. È la cosiddetta “agricoltura sociale” capace di ridare dignità alle persone e di far si che trovino il loro “luogo nel mondo”, in mezzo agli altri, con gli altri e per gli altri.
Anche sul territorio sidicino sono presenti terreni confiscati alla camorra, in particolare a Pugliano, e anche qui vorremmo che tali pratiche diventassero quotidiane. Crediamo che anche quei terreni debbano diventare luoghi di dignità, liberta e realizzazione personale per tutti quelli che sono inciampati in ostacoli troppo grandi nel corso della loro vita. Se Franco Basaglia quarant'anni fa ha aperto il varco, noi oggi siamo chiamati a coltivarlo, a dimostrare che la sua strada non era sbagliata, che un altro modo c'è e funziona.

(da Il Sidicino - Anno XV 2018 - n. 1 Gennaio)