L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
 
Personaggi di un tempo: “il Vescovo”
 

Desta meraviglia e commozione constatare che la memoria di un cittadino di Teano, vissuto un centinaio di anni fa, per una sua particolare esibizione popolare, non sia stata offuscata dalla forza demolitrice del tempo, nonostante le guerre, i devastanti eventi bellici conseguiti e subìti, nonché le radicali trasformazioni sociali avvenute sino ai nostri giorni.
Eppure nell'arco di un secolo, si sono avvicendati personaggi che, per le loro gesta e per il loro eroismo, hanno apportato gloria e lustro al paese, ma nessuno di loro è riuscito ad accattivarsi tanta simpatia da parte della gente per tramandare ai posteri il proprio ricordo.
Costui era un modesto cittadino teanese soprannominato “il vescovo” per il ruolo che rivestiva nel mitico ed allegorico corteo funebre da lui stesso ideato ed organizzato che si svolgeva nel giorno di Carnevale, infatti, ancora oggi, i cittadini di Teano, e non solo, lo ricordano e lo esaltano per le sue indimenticabili esibizioni raccontate e tramandate di generazione in generazione.
Il suo vero nome era Pasquale Amendola ed era un personaggio unico per la sua acuta perspicacia, per le sue qualità umane, per il suo senso satirico e per la sua ammirevole ed esaltante oratoria.
Uomo di grande sensibilità, autodidatta, profondamente addolorato ed esasperato nell'assistere impotente alle sopraffazioni, alle angherie, ai soprusi, agli sfruttamenti che sistematicamente venivano perpetrati ai suoi simili, al popolo, ai meno abbienti, da parte dei ricchi, dei nobili, dei latifondisti, degli esattori, degli usurai e da tutti i potenti di allora, senza il minimo ritegno, in assenza del benché minimo senso di coscienza ed umanità. Allora non esisteva la televisione, né la radio, né i giornali locali ed ovviamente neppure le leggi e le provvidenze di oggi, per cui il popolo viveva all'oscuro di tutto, in un profondo stato di precarietà, di miseria e di sottomissione. Egli avrebbe voluto ribellarsi, reagire, contrapporsi con ogni mezzo a quell'andazzo vergognoso che si protraeva e peggiorava nel tempo, ma come poteva? Era un nulla, soltanto un modesto artigiano, un fabbro ferraio, seppur allora era ritenuto un mestiere importante. Inoltre, quello che particolarmente lo deprimeva, era il comportamento dei rappresentanti del Clero, iniziando dal vertice fino ai più modesti sacerdoti, i quali, nelle loro affannose prediche, anziché soffermarsi e stigmatizzare gli scottanti scandalosi problemi sociali, si dilungavano su tematiche teologiche e dogmatiche, senza che nessuno capisse nulla e senza ottenere il benché minimo risultato.
Di fronte a tutto ciò, approfittando dell'atmosfera buffa e grottesca che regnava nel giorno di Carnevale, decise di intervenire, di agire in prima persona, di accusare pubblicamente e mettere alla berlina gli autori, i fautori, i protagonisti di simili abusi con un mezzo molto semplice ed efficace: la satira.
Così nel giorno di Carnevale, ideò ed organizzò un fantastico ed allegorico corteo funebre, ben architettato e ben nutrito, con la partecipazione di personaggi eccezionali e puntualmente sfilava per le vie del paese stracolme di gente plaudente accorse da tutte le parti e lui, seguiva in mezzo ad un folto gruppo di finti prelati, travestito da Vescovo, con la mitra in testa, con il bastone pastorale in una mano, mentre con l'altra benediva i suoi concittadini. Il corteo culminava nella piazza principale del paese, completamente assiepata da gente esultante, ove era stato allestito un palchetto con un pulpito dal quale egli, a viso aperto, senza remore e senza reticenze, si esibiva in una vera e propria arringa su tutti i fatti e i misfatti verificatisi durante l'anno che saggiamente aveva annotato e documentato. Ovviamente, non mancavano episodi spiccioli, tradimenti, alterchi, intrighi, ruberie, contraffazioni commerciali, e tutto ciò che potesse suscitare scalpore tra la gente, assumendo così un aspetto umoristico, evidenziando chiaramente le finalità morali.
Rimane da dire che sul pulpito era poggiato uno speciale libro: il testamento di Carnevale. Lo pseudo Vescovo asseriva che quello fosse il testamento che Carnevale lasciava ai suoi concittadini da cui aveva attinto e preso atto di tutto ciò che aveva pubblicamente esposto, proprio da tale libro e pertanto, Carnevale, avendo in tal modo leso la dignità di tanta brava gente, adesso non meritava altro se non le pene dell'inferno. Pronunciate tali parole, saltavano fuori dal carro funebre numerosi individui travestiti da diavoli, i quali agguantavano Carnevale, un individuo finto morto steso in una speciale bara scoperta poggiata per terra davanti al palco e lo scaraventavano nel carro funebre Con uno schiocco di frusta il cocchiere, nelle vesti di Cerbero, sferzava i cavalli ed il carro partiva a tutta birra facendosi largo tra la folla per condurlo all'inferno con tutti i panni addosso.
La manifestazione così si concludeva in atmosfera osannante, di massima euforia, con la popolazione letteralmente in visibilio, mentre nell'aria venivano fatte esplodere granate in segno di giubilo e la banda musicale intonava la marcia reale.
I commenti dell'esaltante manifestazione e gli argomenti trattati continuavano anche dopo e si protraevano per intere settimane, mentre i personaggi nominati e svergognati pubblicamente per molti giorni non uscivano di casa per non essere derisi dalla gente.
Il corteo allegorico si ripeté per molti anni e divenne sempre più imponente, forbito, atteso ed inaspettatamente ebbe un effetto deterrente sull'intera popolazione. Infatti, si attenuarono di molto gli abusi di molti personaggi dominanti e molti di essi moderarono le loro pretese a vantaggio dei deboli. Le usurpazioni, gli sfruttamenti, le ruberie e quant'altro che prima avveniva spudoratamente alla luce del sole, sparirono quasi del tutto, mentre in città iniziò a farsi luce un barlume di senso morale.
I saggi del paese erano convinti che i discorsi dello pseudo Vescovo, fossero più efficaci e facessero molto più effetto di tutta l'opera di apostolato messa in atto da tutti i Sacerdoti, ed allora ne erano tanti.
Ma, come purtroppo accade anche oggi nel mondo, anche quell'allegorico corteo funebre tanto amato ed acclamato dalla gente, finì, incredibilmente, terminò tragicamente.
Nell'ultimo corteo che sì annunciava di particolare levatura ed interesse e per il quale erano affluite intere schiere di spettatori, accadde l'inverosimile. Mentre sfilava per le vie del paese, uno sconsiderato, un vero e proprio criminale per timore di essere esposto pubblicamente al ludibrio per le sue malefatte, dal suo balcone gli scaraventò addosso una tinozza di acqua ghiacciata che lo colse in pieno, bagnandolo dalla testa ai piedi. Pensò dì smettere, di tornare a casa, ma la gente lo pregava, lo supplicava di non desistere, di non deludere le migliaia di persone che assiepavano la piazza sin dal mattino. Lo asciugarono alla meglio, lo rimisero in sesto ed egli continuò, mentre dai balconi la gente gli lanciava i fiori e gridava: vita, vita, vita!
Ma quando salì sul palco e dal pulpito iniziò la sua arringa, si senti male, avverti dei fortissimi brividi di freddo per cui fu costretto a desistere. Prima ancora che crollasse lo adagiarono su una poltroncina e a spalla, come una vera sede gestatoria che prima veniva usata per i Papi e lo condussero di corsa a casa. Lungo il tragitto la gente lo applaudiva e a gran voce diceva: è un Papa, è un Papa vero, non un Vescovo.
Fu vittima di una broncopolmonite, incurabile per quei tempi ed inutili furono tutte le terapie prescritte da veri luminari fatti accorrere da Napoli al suo capezzale per interessamento dei notabili di allora compresi coloro che furono oggetto di scherno, ma la morte non lo risparmiò nel 1927.
La sua fine suscitò scalpore e profondo cordoglio nell'animo della gente. La notizia venne riportata in prima pagina su tutti i settimanali di allora ed alla famiglia pervennero testimonianze di cordoglio da parte di autorità e personalità del momento, tra cui un telegramma inviatogli da Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d'Italia.
Nel giorno dei funerali il paese si fermò, il Comune indisse un giorno di lutto cittadino e davanti al Municipio venne issata la bandiera a mezz'asta.
Il rito funebre fu ufficiato dall'Abate di Montecassino con il quale quando era in vita aveva avuto un intenso rapporto epistolare e quel giorno, sapute le sue cattive condizioni di salute, era giunto per una visita.
Le esequie furono memorabili. Il paese si gremì di gente come una volta, mentre al passaggio del feretro nessuno si astenne dal lanciargli un fiore con le lacrime agli occhi, e ciascuno, con voce roca, diceva all'altro: si, è stato un grande, un grande uomo.
Ecco questa è la sintesi della storia di colui che anche oggi la gente lo ricorda con lo pseudonimo di “il Vescovo”.
A. P.

(da Il Sidicino - Anno XII 2015 - n. 5 Maggio)