L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
 
Il Gentiluomo
 
Conversazione estemporanea di un onest'uomo
 

Correva l'anno 2014 e le cose non andavano molto bene
Non è facile definire che cosa s'intende, oggi, con la parola “gentiluomo”.
Questo termine è lungi dall'avere il significato con il quale era usato nei secoli scorsi; sarebbe forse più adatto, per evitarne le inesatte interpretazioni, sostituirlo con una delle seguenti frasi: “uomo da bene”, “persona per bene”, “ persona bene educata”, ma non è importante il termine, che può essere sorpassato, bensì il significato che ad esso è dato leggendo.
Gentiluomo non vuol indicare chi appartiene ad una stretta cerchia di persone che ritengono di avere il diritto ereditario a questa qualifica, mancando magari di elementari basi di educazione civile e morale, ma, al di sopra di ogni classe sociale, con tale parola si indicano tutti gli uomini di buona volontà, che agiscono sempre nei limiti delle strettissime leggi dell'onore e che, per non arrecare danni agli altri, imparano e fanno proprie le norme del ben vivere create proprio a questo scopo.
Gentiluomo fu certo colui che, morendo, lasciò ai figli un testamento morale che suona così: "Raccomando ai miei figli di essere cittadini devoti alle leggi; di essere benevoli e tolleranti verso le oneste convinzioni di chi non la pensasse a modo loro. Siano generosi, buoni, entusiasti d'ogni nobile azione e di ogni sacrificio, e, più che il successo, li innamori la rettitudine della vita, l'altezza degli ideali, la fermezza e generosità del carattere, il dovere di solidarietà umana verso tutte le infinite miserie che l'egoismo umano ha accumulato sulla terra (dal testamento spirituale del padre del defunto On. Marcello Soleri – roba di altri tempi).
Nella nostra esposizione useremo il termine “gentiluomo” in questo senso e con questo significato (nel caso di una donna useremo il termine “gentildonna”, ma, per comodità, in questo testo useremo sempre il maschile essendo i termini equivalenti). Un uomo, o donna, che abbia le qualità di carattere, di animo e di cuore (senso dell'onore, lealtà, senso del dovere, volontà, energia, entusiasmo, perseveranza, forza d'animo, fede, fiducia, buon senso, giudizio, acume, coraggio, decisione, tatto, perspicacia, spirito di collaborazione, chiarezza di percezione, self-control, semplicità, iniziativa, giustizia, assiduità, comprensione) per il solo fatto di “saper trattare con gli altri”, sia superiori sia dipendenti, e per la sensibilità che gli deriva dalle sue doti e dall'esperienza, è certamente un gentiluomo nel più profondo significato della parola. Sono molti i fattori che influiscono nel rendere un individuo capace di essere un gentiluomo: il più delle volte essi sono innati: (ma, si badi bene, non dipendono dal “censo”) o si identificano con l'educazione e l'ambiente morale, nel quale si è sviluppato il fanciullo, o sono stati acquisiti per educazione che è stata impartita. Il difficile e delicato compito della società e sopratutto della scuola è di risvegliare nel fanciullo e nei giovani, tutte le qualità in ciascuno innate per dar vita ad un retto e forte carattere di ogni membro della società; ma è chiaro che, qualora particolari condizioni di ambiente non lo abbiano fatto, occorre anche insegnare e indicare loro quali sono le norme, le usanze, i costumi, che regolano le relazioni sociali tra persone beneducate, sia nell'ambiente familiare che nell'ambiente esterno.
Se si tiene presente che il gentiluomo si comporta verso se stesso, quando è solo, come se fosse in pubblico e che considera la correttezza e l'educazione come scopi a cui tendere sempre e che il giudizio cui più da valore e più maggiormente teme, esso è il proprio giudizio, ed è evidente che sono da condannarsi, perché sono falsi, tutti i modi errati di pensare all'educazione come un modo di “gabbarsi a vicenda”, come “una vernice”, un'ostentazione, una esibizione di falsa signorilità con cui apparire agli occhi del prossimo perfetti nella forma e nella sostanza.
Una persona per bene, nel significato più completo di questa espressione, per istinto, userà maniere e modi che sono in accordo con il suo corretto modo di pensare, la sua coerenza sarà evidente anche nelle azioni.
Abbiamo insistito su ciò per dimostrare la “biunivocità” dell'essenza intima del gentiluomo e del buon cittadino, per far si che sia possibile comprendere come si possono considerare i due problemi interamente separati e come invece le qualità peculiari dell'uno siano anche quelle dell'altro.
Pero si può giustamente osservare che si può essere gentiluomini senza dover forzatamente diventare “Condottieri” o “Capi politici”, perché, pur avendo molte delle doti necessarie per i primi, possono mancare quegli elementi di forza di animo indispensabili per i secondi.
Data la stessa essenza della figura morale del nobile d'animo e del gentiluomo, è ovvio che, per ciò che riguarda le qualità spirituali, quanto abbiamo detto precedentemente può essere qui ripetuto, ma, mentre prima ci siamo preoccupati di mettere in rilievo le doti del cuore e dell'intelletto, ora tratteremo brevemente le altre qualità e cioè di quelle indispensabili perché la forma delle azioni sia consona alla rettitudine dello spirito.
Il gentiluomo come poc'anzi definito, sente istintivamente i doveri che ha verso se stesso e verso la società, doveri che possono limitare la sua libertà a favore del benessere degli altri.
L'imporsi l'osservanza di alcune norme di etichetta al punto tale che esse divengano istintive, non è snobismo o fatuità, ma rispetto di se stessi e degli altri.
Di queste norme ricordiamo solamente le seguenti: La sincerità, la pulizia, la correttezza nel vestire, la puntualità, il sapersi presentare agli altri, lo spirito, la conversazione, la capacità di osservazione, l'autocontrollo.
La sincerità.
Il modo col quale si intende questa “virtù” è assai profondo e non è limitato al normale concetto che limita la sincerità alle sole parole ed allo scritto: essa sconfina nel più alto campo della lealtà morale, circa la quale bisognerebbe discorrere a lungo. Il gentiluomo deve essere sempre sincero e prima di tutto con se stesso; deve avere la coscienza serena e deve essere sempre fedele al suo modo di vedere e pensare, purché questi siano onesti e in accordo con ciò che infallibilmente la coscienza indica come giusto.
Da un comportamento sincero, spontaneo e abituale nascono come corollari altre belle e indispensabili doti, tra le quali possiamo elencare: la dignità, la naturalezza, la semplicità, la serietà, e non ultima la probità.
La più importante manifestazione della sincerità va intesa, come già detto, nell'aver presente, non come norma, ma come intima ed istintiva convinzione, che la correttezza, il mantenersi aggiornati e l'imparare, vanno curati sempre e non solamente per non sembrare maleducati.
Chi non pensa ed agisce in questa maniera e si preoccupa solo dell'apparenza, può essere il più perfetto dei “formalisti” ma sarà sempre incapace di un pensiero profondo e di un sentimento nobile e sincero; presto o tardi il suo stesso modo di vita lo tradirà e sarà possibile per gli altri inquadrarlo al suo giusto posto e definirlo come vale.
Bisogna sforzarsi ogni giorno, ogni ora, per migliorare se stessi; bisogna fare l'abitudine costante alla cortesia e tale che essa, come un rivestimento cristallino, riveli la serietà del pensiero e la finezza dell'animo.
La pulizia.
Come con la “sincerità” si richiede la più completa pulizia morale, perché il proprio animo deve poter apparire agli occhi di tutti quale esso è, senza mistificazioni, così pure si richiede alla persona per bene l'attenzione più scrupolosa alla pulizia personale, osservata in modo che essa divenga una “buona abitudine”, senza la quale non ci si possa sentire a proprio agio. Anche la pulizia personale, che per taluni casi diviene puramente igiene, non deve essere osservata per timore dei giudizi degli altri, ma solamente per se stessa, perché si deve sentire forte e prepotente il desiderio di essere puliti. Non bisogna limitarsi a considerare puliti coloro che “fanno il bagno” almeno tre volte la settimana e si lavano il collo e le orecchie tutti i giorni (questo è il minimo che si possa fare per osservare l'igiene personale), ma è necessario considerare anche e soprattutto il modo col quale vengono “tenute” la capigliatura, la bocca, le unghie, etc.
Si può accennare al fatto che taluni, oltre a portare i capelli nel modo meno adatto per non far dubitare della loro pulizia, non badano neppure al modo col quale dovrebbero curare le mani.
Non è necessaria l'opera della “ manicure “ per tagliarsi regolarmente le unghie, pulirle, dar loro un colpo di lima onde togliere le punte aguzze, scalzare un poco la pelle alla base dell'unghia, e lavarle accuratamente con lo spazzolino adatto. Più di ogni altra parte del corpo, le mani sono in continuo contatto con gli altri e sono sotto la loro continua osservazione. È non soltanto rispetto per se stessi, ma anche doveroso riguardo per il prossimo, avere le unghie pulite, non orlate di nero, perché, ad esempio, offrendo un oggetto (che potrebbe anche essere qualche cosa di commestibile), sarebbe molto sgradevole vedersi opporre un netto rifiuto, dopo che un paio di occhi attenti e precisi abbiano chiaramente manifestato il disgusto sorto al vedere le mani di chi offre l'oggetto.
È bene accennare che, purtroppo, vi è qualcuno che nell'età giovanile (ed anche oltre) porta con se l'onicofagia (si mangia le unghie), vizio infantile che scivola nell'abitudine.
È assolutamente necessario guarire, l'onicofagia rispecchia un anormale sviluppo della personalità. Altra osservazione importante si può fare riferendosi a coloro che non ritengono opportuno radersi tutti i giorni e che, trascurando tale norma, danno prova di non comprendere come una “ barba” di dodici ore possa dare l'impressione di una scarsa pulizia.
Si osservi giustamente che il grado di civiltà dei popoli e, di conseguenza, dei singoli, si può misurare dal consumo di acqua e sapone, ed è molto più ammirevole una povertà pulita che una dubbia eleganza.
La correttezza nel vestire.
La correttezza nel vestire porta come conseguenza l'eleganza che - si badi bene - non consiste nell'eccentricità e nella sovrapposizione casuale o balorda dei dettami ultimi della moda, ma nell'adattare gli stessi ai propri caratteri somatici e psichici, all'età, alla condizione sociale; essa consiste soprattutto nella disinvoltura, e nel buon gusto: qualità che un po' si hanno per natura e un po' si acquistano con l'esercizio.
Indubbiamente, per formare la persona elegante concorrono anche il colore dei guanti, della cravatta, delle calze, etc, ma non è tutto: è indispensabile uno “stile”, una “nota personale”, affinché la moda possa dare un indirizzo, essa non deve essere come una uniforme per tutti.
La puntualità.
Un vecchio proverbio dice che “la puntualità è la virtù dei re”, ciò significa che un uomo deve porre particolare attenzione ad essere sempre puntuale, poiché con i suoi eventuali ritardi può procurare disturbo e noia a molti altri uomini. In effetti la puntualità, per una persona bene educata, è uno dei primi doveri.
Recarsi ad un convegno più tardi dell'ora stabilita è grave mancanza di riguardo verso quelli che attendono. Il ritardo ai pranzi ed inviti in genere è proprio un atto di cattiva educazione.
Recarsi a teatro, a un concerto, ad una conferenza quando queste manifestazioni siano già incominciate, oltre ad essere un atto veramente scorretto verso gli artisti, è una flagrante maleducazione verso il resto del pubblico.
Non c'è gente più sciocca di quella che crede di darsi delle arie, “di riuscire elegante”, mancando di puntualità e suscitando un coro di più o meno tacite proteste. Chi manca di riguardo per gli altri non ha diritto di pretenderne per sé.
Talvolta può accadere che il ritardo avvenga per cause indipendenti dalla propria volontà; in tal caso è doveroso chiedere scusa a chi ci ha atteso e, se in locali pubblici, aspettare ad entrare quando si può farlo il meno rumorosamente e con il minor fastidio possibile per gli altri.
Da una continua e abituale osservanza della puntualità nasceranno come corollari: la precisione, l'ordine, la tempestività e la semplicità, tale complesso di doti non possono non far parte del carattere del vero gentiluomo.
Il sapersi presentare agli altri, lo spirito e la conversazione.
Per “ sapersi presentare” non s'intende quell'insieme di piccole formalità, con le quali si fa conoscere il proprio, nome e la propria attività, ma quel complesso di doti che bisogna possedere ed esternare per apparire “ben graditi” alla società, nella quale si vive e verso la quale si hanno anche dei doveri.
Una persona per bene deve sempre escludere “la garanzia” offerta da un amico o da un conoscente e deve apparire al giudizio intelligente di altri quale esso può manifestarsi.
È necessario cioè che non si possa dire, quasi a constatazione, che “l'abito non fa il monaco” e questo può accadere a chi, impeccabile nella forma esteriore, ad un esame un po' più approfondito dimostri di non essere altrettanto impeccabile nell'animo e nel cuore. Questo “sapersi presentare” consiste quasi totalmente in tre qualità:
a) Il modo di fare.
Elementi essenziali ne sono: il modo di salutare, di guardare, di sorridere, di parlare: elementi il cui valore e la cui portata cambiano secondo le persone, cui ci si presenta, secondo i luoghi, l'ora e le occasioni.
b) Lo spirito.
Con questa parola s'intende ciò che in genere si chiama “stato morale”. Non è certo di buon gusto e neppure generoso, portarsi dietro e ovunque si vada, il fardello delle proprie disgrazie, preoccupazioni e miserie. È un po' difficile trovare qualcuno che non abbia ansie per la salute o imbarazzi economici e altre piccole o grandi pene e miserie personali o di famiglia. Non si può caricare sulle spalle del prossimo anche le nostre preoccupazioni! Sarebbe motivo di tristezza e di dispiaceri.
È bene ricordarsi che la vita è per se stessa “slancio” e di conseguenza gioia: da questa scaturisce la confidenza, l'iniziativa ed infine dispone noi ad aprirci agli altri e gli altri ad aprirsi a noi, perché, eliminando la diffidenza, si lanciano in tutte le direzioni potenti correnti di simpatia.
Bisogna imporsi l'abitudine di non essere “pessimisti” e di non presentarsi in pubblico accigliati, con lo sguardo spento, il viso “appeso”. È necessario essere sereni, sorridenti, gentili e soprattutto generosi: la simpatia e la gioia che si emanerà sarà indice di vita e di salute per noi e motivo di serenità per tutti.
Se un giorno vi doveste sentire tristi, malinconici, desiderosi di solitudine, o reagite con violenza con voi stessi per imporvi di essere meno turbati, o dovete astenervi dall'accettare, per quel giorno, contatti con gli altri.
c) La conversazione.
È bene si ricordi che un uomo intelligente qualifica, quasi sempre con esattezza, i suoi simili attraverso una conversazione. È consigliabile, anzi necessario, evitare il più possibile: di parlare troppo di se o delle proprie cose; di pettegolare; di far dello spirito non a proposito o di non buona lega; di fare dei discorsi arrischiati; di usare parole a doppio senso; di parlare “troppo” di cose tecniche; di fare il “bene informato”. Il tono della voce deve essere adatto all'ambiente ed alle persone. Non si dice qualche parola, durante uno spettacolo, con lo stesso tono con cui si parla in un salotto; ne ci si rivolge a persone anziane, che possono avere il timpano un po' “indurito”, come si parla ai giovani.
d) La capacità di osservazione.
Non esiste uomo che sia privo di difetti e di manchevolezze: è un assioma ben noto. Volendo tendere sempre al proprio miglioramento è necessario sviluppare la propria capacità di osservazione. Il mondo, per chi sappia “vedere”, è pieno di ammaestramenti che ci vengono offerti in ogni luogo ed in ogni tempo.
L'uomo, educato e corretto deve sempre porre molta attenzione nell'osservare ciò che avviene attorno a lui, avrà modo di imparare qualche cosa e di perfezionarsi; imparerà a sviluppare così il suo “senso dell'equilibrio”, che gli eviterà situazioni imbarazzanti e gli farà evitare anche le più leggere sfumature del “ridicolo”, che è il peggior nemico della “maturità, della serietà e del decoro”.
e) L'autocontrollo.
L'uomo, nella più alta concezione di questa parola, rappresenta uno “spirito”, nel quale sono presenti tutti i principi del bene e del male; con il suo “libero arbitrio”, sceglie la rotta da seguire nella vita; lui sa esaltare le sue qualità buone e sa tenere soggiogate ed inoffensive quelle cattive. Un uomo è sempre presente a se stesso, sa dominarsi, sa ciò che vuole. Dai più violenti urti subiti, da forti sentimenti alle più banali manifestazioni della vita quotidiana, i suoi nervi saranno sempre pronti e controllati. Un gentiluomo non trascende mai, non giunge mai ad eccessi, in ogni momento sa dominarsi e imporsi la più corretta, ed equilibrata linea di condotta.
Queste sono le qualità di un gentiluomo, ma… io lo sono?
Il mio giudizio è troppo severo! … Spero nell'indulgenza dei lettori !!!

Fred

(da Il Sidicino - Anno XI 2014 - n. 8 Agosto)