L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
 
Frammenti d'archivio:
da «Passeggiate Campane» di Amedo Maiuri
 
“La bella di Teano” - La stele funeraria ritrovata
U. Hoepli ed. Milano, 1938
 
 

...Saluto a Ventaroli gli ultimi beati vigneti del Falerno, scendo all'Episcopio per rivedere la bella chiesa sorta sulle rovine del tempio dell'antico Forum Claudi, dove umili pittori regionali hanno dipinto scene di arti e mestieri così come le avrebbe dipinte un pittore popolano sulle mostre delle botte­ghe a Pompei, e salgo al borgo di Casale di Carinola da cui mi giunge la notizia di una scoperta: un gran cippo in tufo trasportato fin là dal tenimento di Teano. Sono atteso come un giudice sul corpo del reato.
Avvenimento grosso: tutto il paese è in subbuglio e quan­do l'archeologo, affiancato dalla «benemerita», infila la stra­da principale del borgo e poi scompare in un vicoletto lutu­lento dove le case fuligginose danno la mano alle siepi di biancospino, una truppa di villici ed un scalpiccio di piedi incalza da presso come nella processione delle «rogazioni» dietro il tabernacolo del santo. M'accorgo che con la mia giacca di fatica, accanto al carabiniere roseo lustro e bonario, faccio la figura di un detenuto tradotto al carcere mandamen­tale.
Nel cortile della casa il blocco giace capovolto a terra simile al coperchio d'una tomba; tutto in cerchio una siepe di volti silenziosi, attenti e curiosi come attorno al giocoliere del mercato; tra le gambe degli spettatori e quelle scarpe grosse, chiodate, unte di sevo, guizza ogni tanto un bel paio di piedini nudi; spuntano un capivo arruffato, una camiciola a sbrendoli e due occhietti mobili e vivi di una bimba o di uno «scugniz­zo». «Forza, compare!».
Due o tre uomini di fatica afferrano il blocco da uno dei capi, e i tre che apparivano dianzi insaccati e impacciati nelle giacche di fustagno, ridiventano tre schiene, sei braccia, tre voci rabbiose e concordi tese nello sforzo. Mentre il lastrone è ancora in bilico, una femmina punta in quel viluppo due polsi nocchieruti come due stanghe, e la pietra è drizzata in piedi.
Nel vacuo di un'edicola, scavata nel blocco nero di tufo, appare un mezzo busto di donna giovane e bella, con un sorriso stilizzato sulle labbra da statua arcaica, le forme piene del volto, le ciocche dei capelli disposte a frange intorno alla fronte; acconciatura composta di sposa o di giovane madre tolta dall'ombra del suo sepolcro. È una stele funeraria dell'im­mensa necropoli di Teano, del paese dei Sidicini, le cui donne amavano ornarsi di oreficerie preziose in vita e in morte. Bisbiglio di ammirazione all'intorno. Una scultura che riappare misteriosamente dal grembo della terra al di fuori della vera e propria zona di scavo, tra solchi di seminato e ceppaie di castagne, in un vallone nascosto, ha sempre qualcosa di un'ap­parizione sacra, di un prodigio; e quel ritratto di donna am­mantata e volta con lo sguardo fisso innanzi a sé entro il cavo di quell'edicola, sotto quel frontoncino con le due palmette e il rosone scalfiti, più che scolpiti, nel grigio della pietra, richiama alla mente l'icone sacra di un tabernacolo al primo crocicchio d'una via tra i campi.
Si aspetta il responso. «È una santa?»; «Vatte a tròva di quanti secoli arrète»; «Quante migliàra vale?».
Lo scopritore (ha un cognome che è tutto un programma di vita: Faticato) è confuso nel vocio della folla; parla per lui il compare, un perticone ispido, segaligno, aggressivo; fa la sto­ria drammatica della scoperta e del trasporto con due paia di buoi giù per il fosso del «Galluccio». «Da lasciarci i buoi in quei dirupi e rimetterci le stanghe del tiro; e poi, mentre uno di loro correva a denunciare il fatto al brigadiere (per mettersi a posto col Governo), due notti di veglia accanto alla statua, neanche se fosse ancora viva; e il seminato e un bel campo di fagioli – ch'era un piacere a vederli – distrutti per il gran scalpiccio della gente venuta come cavallette dai casali e dai paesi all'ingiro».
Entriamo per ragionare più pacatamente nelle stanze del pianterreno, preceduti dalla donna nocchieruta; un focolare spento, pochi rami appesi, quattro sedie sghembe. L'uomo, dopo l'emozione della scoperta, è stato ammalato; pare un po' svanito; ha l'aria di aver subìto un incantesimo; non sa poi come rigirarsi tra i consigli del compare, le rabbiose invettive delle donne di casa, le profferte dell'avvocatuccio del paese e la ridda delle « migliàra » che gli turbinano nella mente. E quella testa di donna scolpita nel tufo, che continua a guar­darlo fisso come la buon'anima della sua mamma.
Ora la partita s'apre tra me e lui; da buon villico sa che deve giocare di astuzia; io sono per lui qualcosa tra l'ingegne­re e l'agente del fisco; mi previene e trae silenziosamente dalle pieghe più segrete della giacca di fustagno un pacco di carta bollata e me lo consegna con gesto di un plenipotenziario che vi rimetta una nota diplomatica: sono le ricevute quietanzate dei boari e degli sterratori e la perizietta dei fagioli andati a male.
Ahi! ahi!, la stele funeraria della bella teanese mi riappa­re tra odore d'inchiostro, di cancelleria e carte di curiali. Dietro di essa vedo spuntare il berretto del giudice che pro­nuncia con voce stentorea: «Voi Faticato Nicolantonio, confermate di aver rinvenuto, in un fosso di vostra proprietà, un manufatto antico...?».
Ma – sarà stato tutto merito del sorriso bonario e pacifico del carabiniere di servizio – dopo un po' di schermaglia, la sorte del cippo è assicurata. La «bella di Teano» andrà a tener compagnia alle statue delle madri di Capua, e nel silen­zio raccolto delle sale deserte, alle madri sedute in trono e ai pargoli dormenti, qualcosa avrà da raccontare della sua dolce vita di un tempo.

(da Il Sidicino - Anno XI 2014 - n. 4 Aprile)