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Quando si dice borbonico - 2

 

Il Corriere della Sera del 10 marzo scorso ha pubblicato l'articolo Per l'integrazione degli immigrati rifacciamoci al modello di Ferdinando I del 1817 che privilegia l'interesse dello Stato a firma di Magdi Allam, il giornalista egiziano battezzato dal papa la notte di Pasqua in S. Pietro con il nome di Cristiano.
L'autore illustra il contenuto della legge 17 dicembre 1817 di Ferdinando I sulla concessione della cittadinanza agli stranieri. La norma stabiliva che “potranno essere ammessi al beneficio della naturalizzazione del nostro regno delle Due Sicilie: I. Gli stranieri che hanno renduto, o che renderanno importanti servizi allo Stato; 2. Quelli che porteranno dentro lo Stato de talenti distinti, delle invenzioni, o delle industrie utili; 3. Quelli che avranno acquistato nel regno beni stabili, su i quali graviti un peso fondiario almeno di ducati cento all'anno", sempre però in presenza dell'ulteriore requisito di aver dimorato nel territorio del regno per almeno un anno consecutivo. Potevano inoltre avere la cittadinanza “quelli che abbiano avuta la residenza nel regno per dieci anni consecutivi, e che provino avere onesti mezzi di sussistenza; o che vi abbiano avuta la residenza per cinque anni consecutivi, avendo sposata una nazionale".
Dopo aver sottolineato “la semplicità della legge sulla cittadinanza di Ferdinando l, che si esaurisce in 3 articoli, e la complessità di quelle attuali che arrivano a 49 articoli nel caso della Turco-Napolitano e a 38 articoli nel caso della Bossi-Fini" l'autore sottolinea che la “differenza vera è che, a dispetto del fatto che si trattasse di una monarchia assoluta, lo Stato era meno interventista rispetto alla nostra Repubblica e conteneva il suo ruolo nella definizione degli orientamenti generali della strategia politica. Nella sostanza una volta affermato che la concessione della cittadinanza è limitata a coloro che tramite il loro operato servono al benessere dello Stato o che in ogni caso non rappresentano un onere finanziario allo Stato, non serve in effetti aggiungere altro". Allam spiega infine, senza remore, le ragioni del fallimento di tutte le politiche attuali per disciplinare l'immigrazione: “oggi non si parte dal primato dell'interesse nazionale bensì dall'accettazione aprioristica delle istanze individuali degli immigrati. Ed è cosi che in un contesto dove l'insieme della classe politica ritiene che non si debba neppure sanzionare come reato l'ingresso clandestino in Italia, si finisce per concedere diritti su diritti a tutti, compresi i clandestini che risiedono illegalmente sul territorio nazionale, mentre si è estremamente restii a esigere l'ottemperanza dei doveri per la paura di essere tacciati per razzisti".
Se invece di Garibaldi fosse venuto Magdi-Cristiano Allam a “liberarci”!

Don Buttà

(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 4 Aprile)