L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
 

L'attesa del nuovo

 
L'avvento di un nuovo vescovo segna sempre una svolta nella storia della chiesa locale. Lo ha scritto anche il neo vescovo nel primo messaggio alla diocesi, invitando tutti ad aprirsi al futuro, alla Speranza, "a un nuovo capitolo della storia tutto da scrivere, tutto da scoprire". Per conoscere come è stata vissuta questa attesa, abbiamo chiesto un contributo ad alcuni lettori e ne abbiamo scelti tre, di un parroco, di una claustrale e di un laico, che pubblichiamo.
 
Attesa e Speranza

Attesa e speranza hanno segnato il tempo della nostra chiesa locale nei mesi da Ottobre 2005 a Maggio 2006.
Attesa per conoscere il nuovo pastore della diocesi, speranza che ci fosse assegnato. Ora che questo è realtà aspettiamo di poter trovare la via giusta per aprirci al futuro scrivendo “insieme una nuova pagina di storia”.
È sicuramente confortante per noi sapere che il nuovo pastore si presenta come “sentinella” che aspetta gli si domandi “a che punto è la notte?”.
Isaia da una risposta all'interrogativo: la notte sta per passare, ma il mattino deve ancora arrivare. Ed è proprio quel tempo che manca all'arrivo del giorno che ci fa sperare in un futuro aperto alla ricerca di un “nuovo” che va scritto in comunione perché risulti una pagina di storia che sia gloria di Dio, nonché crescita di questa santa chiesa di Teano-Calvi.
Non che il nostro cammino sia segnato dal tragico spaesamento nell'oscurità della notte, ma, tuttavia, l'impegno sembra non sottrarsi all'inquietudine vigile, di dover distinguere nel buio, i rumori e le ombre che popolano, senza riempirlo, il giorno che si attende.
Non ci sono attese, e non ci sono speranze, se non nel contesto del tempo. Riflettere sul tempo, sul tempo dell'io che non è il tempo dell'orologio, ci avvicina ai modi di essere di esperienze altrimenti insondabili.
L'attesa e la speranza sono le dimensioni costitutive della vita. L'attesa si fa corpo nello sguardo, dove si stratificano il timore, l'angoscia, la speranza e talvolta il silenzio, perché lo sguardo che attende, chiede di rintracciare nello sguardo dell'altro a cui si rivolge una risposta alla sua attesa. E lo sguardo della “sentinella” può restituire speranza all'attesa iscritta nello sguardo di chi attende perché la speranza, guardando più lontano e ampliando lo spazio del futuro, distoglie l'attesa dalla concentrazione sul presente e, liberandola dall'immediato, la dilata in orizzonti che la concentrazione sul presente aveva cancellato.
Speranza, infatti, è l'apertura al possibile, essa fa riferimento a “quei nuovi cieli e quelle nuove terre” che sono promesse dalla scrittura, o forse dalla utopia o anche dalla rivoluzione, dalla trasformazione personale che, a volte temiamo, perché arroccati alla nostra identità assunta come un “fatto” e non come una interminabile e mai conclusa “costruzione”. Noi siamo una costruzione, la nostra chiesa è una costruzione. E se l'attesa è l'ansia che quella costruzione che noi siamo, singoli o chiesa, abbia buon fine, la speranza attiva il nostro comportamento affinché sia nelle nostre mani l'accadere del buon fine. In questo senso possiamo dire che l'attesa è passiva, essa vive il tempo come qualcosa che viene verso di noi, la speranza, invece, è attiva perché ci spinge verso il tempo, come quella dimensione che ci è assegnata per la nostra realizzazione.
Quando l'attesa è disabitata dalla speranza subentra la noia, dove il futuro perde slancio e il presente si dilata in uno spessore opaco dove il tempo oggettivo, quello dell'orologio, cadenza il ritmo sul tempo vissuto che si è arenato, infossato, arrestato. Nella noia ogni attesa è risucchiata, ogni speranza è estinta, non ci sono più né progetti né storia, ma tutto affoga nel gorgo di un presente, dove ogni orizzonte di senso si inaridisce e si spegne.
E lo spazio lasciato vuoto dal futuro, disertato sia dall'attesa sia dalla speranza, viene occupato dal dilagare del passato che divora tutte le attese e tutte le speranze, sottraendo al tempo la sua dimensione a venire.
Senza attesa e senza speranza il tempo si fa deserto che, in assenza di futuro, si espande dal presente muto al passato che ha desertificato amori che non si sono radicati, creatività estinte al loro sorgere, ricordi che non hanno nulla a cui raccordarsi, in quella solitudine frammentata dove l'identico, nella sua immobilità senza espressione, coglie quell'altra faccia della verità che è l'insignificanza dell'esistere.
Sperare non significa solo guardare avanti con ottimismo, ma anche guardare indietro per vedere come è possibile configurare quel passato che ci abita, per giocarlo in possibilità a venire. Un venire libero da sedicenti impostori, a cui siamo ormai assuefatti, troppo impegnati nell'immagine di se o in quella di cui sono sbandieratori, convinti, ma non convincenti, di un ruolo oracolare che non gli appartiene, spesso tristemente esercitato da uffici o pseudo-uffici a danno e pericolo di laici e preti costretti a subire; capaci solo di reinventarsi, riciclarsi per tenere ben strette poltrone o incarichi che devono vederli permanentemente sulla cresta dell'onda.
Cosa ci si aspetta dal nuovo pastore?
Un paradigma di chi, come Michea contro i falsi profeti, non teme di incassare pubblicamente l'opposizione dei suoi contemporanei e, perché no, dei suoi più prossimi, pur di non cedere all'attesa della sorveglianza per essere pronto, quando necessario, a lanciare o l'allarme della notte o l'annuncio dell'alba. Come dall'avamposto della "sentinella di Seir” quindi l'impegno: al dialogo che prepara il riscatto dei tempi; alla messa in opera di contromisure volte ad impostare differenti comportamenti; al sentire profondo di domande che sappiano ricreare il nesso tra le proprie aspirazioni e l'amore per la chiesa; a rileggere gli eventi con gli occhi disincantati e realistici di chi cerca di proporre ponti di comunicazione reciproca piuttosto che muri invalicabili.
Per questo la storia va ricordata, testimoniata, reinterpretata e rivissuta soprattutto con chi l'ha condivisa. Perché la storia non diventi silenzio e necessario che i silenzi vengano indagati, esplorati, interrogati, proprio come la sentinella che indaga il silenzio della notte vigilando su di essa e sugli uomini che da lei attendono l'annuncio.
Cuslos, quid de nocte?
Che l'annuncio sia cantato con le parole dell'Inno:
Già l'ombra della notte si dilegua,
un'alba nuova sorge all'orizzonte:
con il cuore e con la mente salutiamo il Dio di gloria
”.

Don Peppino Leone

 
Cosa ci si aspetta dal nuovo Vescovo?

La maniera più naturale per rispondere a una domanda così difficile e complessa credo sia quella di dire: che faccia cose semplicemente ordinarie.
Provo a rispondere più articolatamente.
Forse ci si aspetta che il vescovo viva in mezzo al suo popolo, che si ponga pure alla testa di qualche corteo se proprio è necessario, ma che stia ogni giorno tra la gente, nella quotidianità, e stabilisca rapporti di paterna intimità con coloro gli si rivolgono.
Forse ci si aspetta che il vescovo stia molti giorni in episcopio a ricevere chi ha da manifestargli qualche esigenza o ha da chiedergli un aiuto spirituale o materiale; che nelle omelie "non usi toni di rimprovero ma, occorrendo, sappia anche riprendere e richiamare con fermezza esprimendola però con toni di patema bontà. Ancor di più ci si aspetta che faccia risplendere gioia e sorriso sul volto dei preti, che coinvolga i religiosi e i laici, che avvinca e unisca tutto il Popolo di Dio, che metta la diocesi in dialogo con le altre chiese locali, aperta al mondo e ai tempi.
Penso poi che molti hanno anche voglia di vedere il vescovo ammantato delle usuali insegne della sua dignità, consapevole che i marmi e gli ori che risplendono nelle grandi basiliche sono stati fatti più
con l'obolo dei poveri che con le largizioni dei ricchi.
Forse c'è anche chi desidera che il vescovo si senta libero di fare l'uso che vuole dei beni di cui dispone, senza ostentazione e senza nascondimenti, che amministri i beni della chiesa in funzione del fine cui sono destinati; che sia parsimonioso nelle spese, munifico nel culto, magnanimo nella carità.
Penso poi che sia diffusa la voglia di avere un pastore promotore di cultura tra il suo popolo, che dialoghi apertamente e schiettamente con tutti i poteri laici senza scontri, riluttanze e compromessi; che rechi soccorso ai deboli senza aggravare i contrasti e senza suscitare sentimenti di rivincita.
Ritengo infine che sia desiderio di tutti che il vescovo risplenda per santità di vita, sia uomo di preghiera, ispiratore di concordia, fautore di unità.
Si dirà che un vescovo, comunque, non potrebbe fare altro che questo. Ma queste cose normali, fatte da un Vescovo ricco di umanità, cultura e zelo pastorale, diventano semplicemente straordinarie.

Antonio De Simone

 
"La terra è arida, ma una mano sapiente..."

La venuta di un nuovo Pastore nell'ambito di una parrocchia, di una diocesi comporta sempre delle inevitabili, poliedriche manifestazioni. Si dà inizio alle cose, ai fatti così chiamati indifferenti per arrivare man mano a quello spessore in cui ogni uomo si rispecchia col desiderio intimo di giungere a una somiglianza reale e fattiva.
ll Vescovo, ii successore degli Apostoli, che io chiamo Pastore, è chiamato a pascolare il gregge affidatogli, ove troviamo pecorelle, agnelletti buoni e meno buoni, si pasce alterità, egoismo, dissonanze, ma in pari tempo non manca la docilità del gregge, la mansuetudine, la bontà, il sacrificio, l'altruismo, l'ascolto, l'imitazione, quel divenire un tutt'uno col Padre.
Sentirsi figli, figlie è l'anelito che sta in fondo ad ogni cuore umano, è quel desiderio soffocato, ma tanto reale, di appartenenza a qualcuno, quel bisogno di aggrapparsi per non scendere nel baratro dell'abisso che ha un nome: solitudine.
Padre, il tuo compito non è facile, non per niente leggero, ma Tu sei stato chiamato dallo Spirito per diventare pietra angolare, per condividere il peso, le gioie di questo nostro popolo.
Già ci sentiamo di essere nel tuo cuore, di appartenerti interamente e mentre le nostre aspettative sembrano tante, osiamo invertire il concetto e chiedere quali sono i desideri che Tu Pastore nostro attendi da ciascuno di noi...
La Chiesa è un solo Corpo, la Chiesa è una sola anima dalle cui origini scaturisce la linfa vitale per la vita di ogni uomo.
Una nuova era, una storia nuova si aprono all'orizzonte. Pastore e pecorelle protagonisti, trama e ordito si intessono, uno scenario si spalanca ai nostri occhi per contemplare insieme le mirabilia Dei.
Lasciamo alle spalle un ciclo di tre lustri guidati dal compiamo nostro amato Padre Francesco, ma dopo lunghi mesi di attesa, la navicella ricomincia la sua traversata. Non indugiare, non avere timore, i momenti di lotta non mancheranno e quando i marosi tenteranno invadere, la forza della preghiera come vessillo spiegato si innalzerà: Dio è con noi, chi sarà contro di noi?
Se pur in terra campana, non ci conoscevamo, tante voci ci hanno sussurrato i tuoi tanti doni, i tuoi carismi, le tue capacità intellettive, ma soprattutto spirituali. Si, abbiamo capito quanto sei grande o Padre!
Uno stuolo di sacerdoti ha coronato i tuoi ventisette anni di sacerdozio ed ora sei atteso qui, in questo lembo di terra teanese, perché altri cuori giovanili possano scoprire il mistero di Cristo e correre sulla via dei suoi comandamenti.
La terra è arida, ma una mano sapiente ed operosa saprà coltivare e far nascere nuovi germogli.
Coraggio o nostro Vescovo Arturo, la tua giovane età, ma ancora la tua santità, feconderà, iraddierà, sublimerà noi tutti, e con Te amato Pastore ci incammineremo sui pascoli ubertosi che Gesù ha donato nelle tue mani per farne già qui in terra un paradiso.
La nostra Vergine Madre, i santi Casto e Paride ti siano guida e conforto. Amen, alleluia!!!

Sr. M. E. M.

(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 7 Luglio)