L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
 

Un'ordinazione fuori dell'ordinario

 
 

Piano di Sorrento, 30 giugno. Enormi, festose fioriere ci segnalano l'approssimarsi della Basilica di S. Michele Arcangelo, la chiesa parrocchiale di Don Arturo, oggi pomeriggio inaccessibile ai laici poiché li dentro indosseranno i paramenti i due cardinali, le decine di vescovi e le centinaia di preti che partecipano al rito dell'ordinazione.
Una sera d'estate nella Penisola Sorrentina, e per di più nell'ultimo giorno di giugno, lasciava presagire lunghe file di auto e di pullman, ingorghi, soste e sfibranti sudate nell'afa di questa torrida estate e invece stasera tutto fila liscio. Il dispositivo di traffico funziona a meraviglia perché intorno a Don Arturo ruota un mondo di volenterosi che non richiede l'intervento dei tanti volontari necessari per tentare soltanto di mandar bene questo tipo di manifestazioni.
Alle 19 il corteo esce dalla basilica. Dietro una luccicante croce processionale d'argento, sfila una lunga teoria di seminaristi, un'altra ancora più lunga di preti e poi tanti vescovi mitrati, infine il cardinale
Giovanni Battista Re, Prefetto della S. Congregazione per i vescovi, con a lato il cardinale Michele Giordano, che domani cederà la cattedra di S. Aspreno al nuovo arcivescovo cardinale Sepe, e mons. Felice Cece, arcivescovo di Sorrento e già vescovo di Teano negli anni '80. Come Cristo, in più d'una maniera, ha capovolto l'ordine precedente, cosi la Chiesa ha invertito l'ordine delle precedenze: majores sequuntur - il potere è servizio. Don Arturo si trova a metà del corteo perché è vescovo sì, ma solo eletto, quindi viene dopo i preti e prima dei vescovi. Gli sono accanto il vicario della diocesi di Sorrento e l'amministratore di quella di Teano, le sue due diocesi che nel discorso di ringraziamento, a conclusione del rito, chiamerà amorevolmente: "diocesi madre" e “diocesi sposa”.
Mentre il corteo, lento e solenne, raggiunge l'altare posto nel campo sportivo vicino alla basilica, la gente applaude con calore e compostezza e Don Arturo risponde con pari compostezza, schiudendo le labbra al canto dell'inno d'ingresso.
Sul grande palco tappezzato d'azzurro è stato eretto un altare ornato con uno di quei paliotti ricamati in oro che erano in uso anche nelle nostre chiese, nelle grandi solennità, ma che nessuno ha più visto da anni. Lo sfondo del palco, composto da tre grandi pannelli, ci sorprende non poco e ci rimanda col pensiero ...a casa. C'è il biondo e nudo Crocefisso trecentesco della cattedrale di Teano, riprodotto a grandezza naturale tra una teoria di candidi angioletti alati. Don Arturo ha voluto far imprimere quell'immagine anche sugli inviti distribuiti al clero, forse per far capire a tutti che si sente già teanese e posto in croce.
Questo vescovo comincia a piacermi.
La cerimonia ha inizio con un indirizzo di saluto di Mons. Cece, come sempre essenziale, chiaro ed esauriente. Spetta poi a don Aurelio De Tora, amministratore diocesano, chiedere a nome della diocesi al cardinale Re di ordinare don Arturo e lo fa con la sua bella voce, chiara e distinta, ma stavolta sensibilmente tremante. Da alcuni anni non si dice più consacrare ma ordinare, però si continua a dire consacrante e conconsacranti. Incongruenze lessicali di riforme poco pensate. ll vicario di Sorrento legge quindi la bolla papale di nomina datata 13 maggio, anniversario delle apparizioni di Fatima.
Ha inizio la celebrazione liturgica, segnata da grande raccoglimento nonostante si svolga all'aperto, accompagnata da una schola smisurata, che tra poco eseguirà anche alcuni canti composti dall'Ordinando. Don Arturo, è notorio, compone musica sacra e suona molto bene la chitarra, ma nella cerimonia della sua ordinazione episcopale fa cantare il Gloria e il Sanctus della Missa de Angelis, insuperata espressione dell'omofonia gregoriana, musica aggregante, cattolica, che fa esprimere all'unisono sidicini e carrottani.
Questo vescovo mi piace proprio.
Il rito si snoda secondo un cerimoniale antico. Don Arturo si prostra ai piedi dell'altare, faccia a terra, mentre si canta la non breve Litania dei Santi che include anche San Paride e San Casto, i suoi due nuovi patroni e lontani antecessori, messi però a distanza l'uno dall'altro nella lunga elencazione: prima Casto, tra i martiri, e poi Paride, tra i confessori. Penso che dobbiamo rassegnarci noi Teanesi a non primeggiare, almeno in questo, sui Caleni. I martiri precedono i confessori perché, lassù, siedono più vicino al Trono.
Il cardinale e i due conconsacranti impongono le mani sul capo di Don Arturo che in questo istante diventa vescovo. Ora è monsignore ed eccellenza; prima del Concilio avrebbe assunto anche i titoli di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro e Barone del Castello di Rocchetta. Uno per uno, vengono ora a imporgli le mani tutti gli altri vescovi, compreso Mons. Felice Leonardo che nessuno oserebbe ritenere il più anziano tra i vescovi presenti. Due diaconi, rivestiti di ricche dalmatiche, pongono sul capo di Mons. Aiello il libro del Vangelo con tutto il suo simbolico schiacciante peso, poi il Cardinale Re gli unge la testa, lasciando fluire da un'ampolla l'olio crismale con esagerata abbondanza che tutti notano. Quando gli pone sul capo lo zucchetto, nonostante il cerimoniere si sia premurato di asciugarlo ripetutamente con un lino, compare sulla seta rossa una vistosa macchia d'unto. Segue la liturgia eucaristica. Intanto cala la sera, si accendono i fari e il rito volge al termine. Il neo vescovo, accompagnato dal cardinale e dal “suo” vescovo, scende dal grande palco per la prima benedizione da vescovo alla folla plaudente. Ha un portamento austero ma del tutto naturale, amabile; appare commosso ma il volto è sereno, disteso. Porta una sobria mitria e impugna un pastorale d'argento con l'effigie dei Buon Fastore cesellata nel riccio.
Monsignore è stato in silenzio tutto il tempo. Ha concelebrato con gli altri ma la sua voce si è sentita soltanto quando, per ben nove volte, ha risposto “Si, lo voglio” alle domande del celebrante che, per nove volte come prescrive il rituale, gli ha chiesto di impegnarsi per il suo gregge, di essere fedele al pontefice romano, di conservare il deposito della Fede ecc. Finalmente è venuto il momento di ascoltarlo.
ll suo discorso è breve, denso, per nulla immaginabile. ll tono della voce fermo e accattivante, privo d'ogni minimo accento tribunizio, capace di tenere tutti in religioso ascolto. Il neo vescovo ovviamente ringrazia tutti, senza dimenticare il Nunzio Apostolico in ltalia, Mons. Paolo Romeo, che nei mesi scorsi ha preso parte alla complessa procedura della sua nomina e ha voluto partecipare di persona al rito dell'ordinazione.
ll primo discorso prelatizio Mons. Aiello lo sviluppa glossando il Miserere: su di se cuce l'invocazione penitenziale che apre il salmo e suscita tanta tenerezza; di noi, Teanesi e Caleni insieme, parla solo verso la fine, quando giunge al versetto in cui il Salmista invoca la riedificazione delle mura di Gerusalemme ed esorta i suoi a riparare le crepe nelle mura della città santa. Mi pento di aver giudicato un'esagerazione il fatto che i giovani dell'Azione Cattolica parrocchiale mettevano in rete ogni domenica le sue omelie. Facevano benissimo perché i discorsi di questo Vescovo vanno letti o, per lo meno, riascoltati.
Sono quasi le nove quando il corteo dei celebranti ritorna in chiesa. Un uomo che mi sta seduto davanti chiede al vicino quante centinaia di seminaristi ha la diocesi di Sorrento. Molti, risponde l'altro, precisando però che tra i chierici che stanno sfilando ci sono anche i giovani della parrocchia di S. Michele, che non sono seminaristi ma chierichetti un po' cresciuti perché i ragazzi di Don Arturo a quattordici anni non si disperdono, continuano a frequentare la parrocchia e con crescente impegno. Il pianese si accorge che sto ascoltando interessato e aggiunge, compiaciuto forse della mia maleducazione, che ogni domenica la messa di don Arturo ha (aveva!) inizio con il corteo di tanti accoliti ed è (era) sempre messa solenne. Mi allontano pensando che da queste parti prendono molto sul serio le cose di Dio e fanno della domenica la Pasqua della settimana.
Stiamo quasi raggiungendo l'auto, godendoci la brezza che solo ora si leva sul golfo, quando incontriamo un prete della nostra diocesi. La faccia trasuda sudore e tanta felicità, come non ne avevo mai vista prima. È felice perché, come tutti gli altri sacerdoti, ha ricevuto in regalo la casula indossata per la celebrazione, sulla quale è ricamato il motto episcopale: Custos, quid de nocte? È un regalo di non poco valore, ma soprattutto ricco di significato, che il Prelato ha voluto fare ai confratelli rinunziando a ricevere tanti singoli regali personali che volevano fargli.
Il prete non lo palesa, ma sono certo che freme perché passi presto questa coda di nottata che ci separa dal 15 luglio. E sono anche certo che terrà quella casula riservata per le grandi occasioni. Magari se la farà porre addosso per l'estremo viaggio, quello oltre la lunga notte di questa vita.
Questo Vescovo mi piace sempre più.

Adelgarius

(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 7 Luglio)