L'esame dei caratteri (contestuali, giuridici e linguistici) e dei rapporti reciproci delle due carte teanesi del 963 (il memoratorio, 26 luglio) e il placito (ottobre) parte dall'esposizione dei tratti in comune: l'oggetto del contendere (alcune terre del monastero femminile di S. Maria in Cingla comprese nei territori della nascente contea teanese); il giudice, Bisantio; e l'attore dei due procedimenti giudiziari, Giovanni («Ioanne», nella grafia del memoratorio) «presbiter et prepositus atque custos» della chiesa e del monasteri.
Dopo una veloce presentazione del contenuto dei due documenti, vengono esposte le notizie pervenuteci sui personaggi che spiccano nelle due carte: il presbiter Giovanni, il suo «advocatorem» Vigelmo e Atenolfo (II) conte di Teano.
La figura chiave risulta quella del presbiter Giovanni, attore nei due procedimenti giuridici, curatore con pieni poteri degli interessi del monastero, organizzatore del trasferimento a Capua e tramite tra Cingla, il principato Capua e Montecassino. Le numerose evidenze documentarie relative agli altri due protagonisti dei due giudicati teanesi del 963 (i giudici Vigelmo, «advocatorem» di S. Maria in Cingla, e Bisantio, magistrato giudicante in entrambi i procedimenti) consentono di ricostruire la fitta rete di rapporti esistente tra il ristretto gruppo di giudici e notai operanti nei territori del principato di Capua nei decenni intorno al 960, legati al potere principesco e, per questo tramite, più o meno strettamente connessi con Montecassino.
Chiariti i ruoli, le posizioni politico-religiose e i rapporti reciproci tra questi personaggi, le due carte teanesi del 963 si rivelano due episodi centrali nella lunga contesa tra S. Maria in Cingla e la neocostituita autorità comitale di Teano. In linea con le azioni giuridiche di tutela e riscatto delle proprietà fondiarie culminate nei due giudicati del 963, il successivo trasferimento (intorno al 969) del monastero a Capua, propiziato e diretto dallo stesso Giovanni, ponendolo sotto la protezione dei principi di Capua, lo sottraeva non tanto alle insidie delle scorrerie saracene (frequenti in quegli anni nei territori dell'alto Volturno) ma soprattutto alle mire dei conti di Teano (e di Aquino, per i terreni contesi nel memoratorio) collocandolo nell'onda lunga del processo allora in atto di restaurazione fondiaria e religiosa di Montecassino.
In questo quadro, si inseriscono e trovano spiegazione i caratteri linguistici e i rapporti intertestuali delle due carte teanesi, tra loro e con i placiti di Capua e Sessa Aurunca. A cominciare dall'innovazione della formula testimoniale in volgare, che, quindi, si rivela non frutto di una generica, per quanto profonda, 'tradizione' giuridica, ma elaborazione di un gruppo ristretto di professionisti, alle prese, in un particolare momento storico (tra le oscillazioni politiche nel principato capuano e l'opera di restaurazione di Montecassino), con concreti problemi procedurali. Così, se nei placiti di Capua e Sessa l'adozione del volgare rimanda in misura diversa al rapporto tra la documentazione precedente (abbreviatura, scriptiones) e gli adempimenti relativi ai sopralluoghi, nelle due carte teanesi, nelle quali non c'è riferimento a documenti precedenti, sembra piuttosto da attribuirsi, nel memoratorio, alla diversa provenienza geografica e al basso livello socio-culturale dei convenuti (latini e arpinati); per il placito, invece, l'adozione del volgare, non riferibile alla scarsa preparazione culturale dei tre testimoni (due sono indicati come «presbiter» il terzo come «subdiaconum et notarium»: quindi tutti e tre ben in grado di deporre in latino) sembra rivolta a quei «ministeriales de Bairano» che, dietro ordine del conte Atenolfo, «iniuste et contra rationem» avevano occupato le terre del monastero, esigendo il raccolto e imponendo tributi.
Segno ulteriore del legame delle formule testimoniali al concreto caso giuridico è, nel memoratorio, l'eliminazione del verbo sao, non necessario e che ricompare, invece, nel successivo placito dove i tre testimoni sono chiamati a deporre su una situazione proceduralmente delicata (per l'estensione delle terre oggetto contese e per il fatto che il depositario e garante del potere giudiziario, il conte Atenolfo, si trova a essere nel contempo anche parte in causa).
Infine, dal confronto del testo latino delle due carte emerge la coincidenza, in larga parte, dei confini della terra oggetto del memoratorio con quelli della prima delle due terre contese nel placito. Il che pone il problema di chiarire i rapporti fattuali tra i due documenti, risolto anche attraverso la determinazione, fin dove possibile, dei confini dei terreni contesi e la loro restituzione in elaborazioni cartografiche, dalle quali tali rapporti risultano con immediata evidenza.
Domenico Proietti
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 11 Novembre) |