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Avventure del pensiero: l'amicizia

 

L'amicizia. O solitudini di massa, ciascuno davanti al suo computer, vittime di bulimia informatica pensando di non perdere neppure un frammento di mondo!
Ma non più l'amicizia, che è quel rapporto duale che evita alla solitudine di impazzire e alla gran massa di affogare.
Oggi “Amicizia” è diventata una parola che cataloga, per esempio, amori che non si vogliono svelare, rapporti coniugali resi esangui dalla quotidianità, conoscenze utili a scambi di favori, relazioni ipocrite che un giorno possono rivelarsi vantaggiose.
Nulla di più, nulla di autentico, ma soprattutto nulla che possa dare espressione a quel bisogno di narrazione, di racconto, di immaginazione, di allusione, di cui si nutre la nostra anima quando nei fatti vuole trovar dei significati, nel dolore un argine, nella gioia una comunicazione, nella monotonia della ripetizione un lampo di novità.
Tutto ciò non è possibile nella solitudine dove il dolore dilaga e la gioia resta inespressa, e neppure nella gran massa che concede “espressione” solo all'applauso o allo slogan, ma unicamente nell'amicizia dove la parola si fa affabulotoria, immaginifica, confidenziale, segreta e soprattutto fuoriesce dalla “concretezza”, oggi da tutti invocata ed eretta a valore, che altro non è se non un limitarsi nel linguaggio, uno stare ai fatti, come richiede il “sano realismo” degli esseri umani di poche parole, a cui non verrebbe mai in mente di chiedere alla luna “che ci fa in cielo” o a se stessi che ci fanno qui sulla terra.
In solitudine queste domande restano inespresse o soffocate. In mezzo alla gente che quotidianamente frequentiamo possono generare qualche sospetto, perché sono domande troppo cariche di senso per poterlo esplorare in solitudine, e troppo fuori dall'usuale per poter essere accolte in pubblico come domande serie.
Eppure queste sono le domande di cui si nutre l'anima, domande poco realistiche ma cariche di simbolismo, per dare spazio alle quali gli antichi greci, accanto al singolare e al plurale, inventarono il “duale”, che è lo spazio dell'amicizia, dove ogni parola che rinvia ad un'eccedenza di senso non rischia di apparire parola folle, perché l'ascolto dell'amico non è solo razionale, ma aperto a tutti gli sconfinamenti di senso che è prerogativa del cuore.
Ma dove trovare il tempo? Si giustificano i più. Non a caso l'amicizia è diffusa tra i giovani che hanno a disposizione tanto tempo, e riprende in età senile quando non si ha null'altro a disposizione che il tempo.
Seneca scriveva in una delle Lettere a Lucilio: “Omnia aliena sunt tempus tantum nostrum est”.
Ma che dire di una cultura che concepisce l'amicizia come una perdita di tempo? Non inganniamoci? Non è il tempo che ci manca è la capacità di stare l'uno con l'altro in quella forma intermedia che non è la fusione dell'amore, è la capacità di muoverci in quella zona di confine tra le prescrizio della ragione e quegli sprazzi di follia che di continuo attraversano la nostra anima e che solo l'amicizia sa cogliere.
Perché proibirci questo spazio? Quale spietata tirannide ci impone di stare ai fatti?
Tra l'anonimato del pubblico e la solitudine del privato vogliamo conservare quello spazio intermedio, propiziato dall'amicizia, che riduce quella dissociazione a cui la nostra vita ci costringe quando ci obbliga a non essere mai in pubblico quello che veramente siamo e a vergognarci un po' in privato delle nostre pubbliche performance.
Tuteliamo l'amicizia. Forse è l'unico spazio che ci rimane per un residuo di sincerità, una sorta di riunificazione con noi stessi dalla dissociazione che ci è imposta, una forma di auto riconoscimento secondo quel modulo che Platone che ci indica là dove dice: “Se uno, con la parte migliore del suo occhio guarda la parte migliore dell'occhio dell'amico, vede se stesso”.
A meno che ciascuno non sia diventato per se stesso il maggiore ingombro da evitare, qualcuno con cui si sa che rapporti avere, qualcuno da evitare, quando non da affogare con le cose da fare, per non trovarci mai a tu per tu con questo sconosciuto che lo sguardo accogliente dell'amico potrebbe incominciare a raccontare, a delinearne i contorni, a propiziarci l'incontro.
È infatti la scoperta di noi quello che l'amicizia favorisce e propizia.
L’amicizia è un sentimento vicendevole d’affetto, comprensione e fiducia, conciliato da consuetudini di vita e da affinità di carattere. Consiste tutta in quel reciproco legame delle anime e per questo essa è un istituto morale il cui significato e valore sta nella realtà del disinteresse.

Sergio Pompa
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 7 Luglio)