L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Franco Pezzella
 
 
Un inedito dipinto di Domenico Guarino a
Casafredda di Teano
 
Casafredda di Teano, Madonna del Carmelo
adorata dai santi Pietro e Paolo
 

Sull’unico altare della chiesa parrocchiale di Casafredda di Teano dedicata a San Pietro Apostolo, inserito in una cona in stucco di gradevole effetto affiancata da due nicchie che accolgono le statue del Sacro Cuore di Gesù e del santo titolare, si ammira un dipinto, modanato e centinato, raffigurante la Madonna del Carmelo adorata dai santi Pietro e Paolo, firmato e datato 1749 in basso a sinistra dal pittore napoletano Domenico Guarino (Guarino D…1749) (fig.1). Il dipinto riprende la consueta iconografia della Vergine del Carmelo, un culto mariano che, nato alla fine del XII secolo per opera di alcuni eremiti latini giunti al seguito dei crociati in Terrasanta sul Monte omonimo per cercare tracce delle presenze profetiche di Elia ed Eliseo, si diffuse qualche secolo dopo in tutto il Meridione d’Italia, in particolare a Napoli, con la fondazione del convento cosiddetto del Carmine Maggiore da parte di alcuni monaci dell’Ordine in fuga dall’Oriente a causa della minaccia musulmana dopo la caduta del Regno Latino nel 1291. Qui era ed è tuttora molto venerata un’effige della Madonna del Carmelo comunemente indicata dal popolo come “La Bruna” o anche “Mamma Schiavona” per via del colore brunastro della pelle, cui sono state attribuite, fin dai secoli passati, formidabili doti taumaturgiche. Basti ricordare che Federico d’Aragona, re di Napoli, il 24 giugno del 1500, invitò tutti i malati del Regno a recarsi presso la chiesa del Carmine per implorare la grazia divina di guarire dalle loro infermità dopo che, agli inizi di quell’anno, nel corso di un pellegrinaggio dell’icona a Roma in occasione dell’Anno Santo, i numerosi devoti al seguito riferirono, come recita una poesia napoletana dell’epoca, di «surdi c'a 'ntisero li canti delli muti» e di «cichi che videtteru li struppiati abballare avuanti alla Madonna do' Carmine». Un’antica leggenda, piuttosto diffusa, tramandata dal monaco Gregorio del monastero di Kykkos, a Cipro, riporta che il suddetto dipinto era stato realizzato, alla pari di tanti altri variamente conservati a Roma (ben sei), Częstochowa, Oropa, Crea, Gerusalemme, Madrid, Malta, Frisinga, Bologna, Bari e Padova, nientedimeno che da san Luca. In realtà, sembra opera di scuola toscana del XIII secolo appartenente al tipo detto “della tenerezza”, in cui i volti della Madre e del Figlio sono accostati in un’espressione di dolce intimità secondo il modello bizantino della Madonna Glykophilousa (= del dolce bacio). Fatte queste opportune premesse, prima di tornare a trattare della pala teanese, va altresì premesso, che, in assenza di notizie storiche precise, è ipotizzabile che il culto per la Madonna del Carmelo fosse stato introdotto nelle diocesi sidicina con l’avvento di Stefano, vescovo carmelitano della contigua diocesi di Calvi dal 1343 al 1345 o forse di un suo successore, quell’Antonio Del Fede, teologo fiorentino di gran fama, anch’egli carmelitano, che fu vescovo di Calvi dal 1415 al 1443. A questo lasso di tempo, risale, peraltro, un ciclo di affreschi di scuola umbra del XV secolo, riportato alla luce nel 1967 sulla parete absidale della cappella dedicata alla Vergine del Carmelo in località Valle Cupa di Marzano Appio, con giusto al centro una bella raffigurazione della Vergine con questo titolo, che costituisce anche la più antica testimonianza del culto in diocesi (fig.2). Non va comunque escluso che il culto fu caldeggiato, probabilmente, anche dai monaci carmelitani che fin dal 1590 si stanziarono con una chiesa e l’attiguo monastero (corrispondente al vecchio ospedale S. Rocco) nella parte alta della vicina città di Sessa Aurunca, fuori la porta detta "delli ferrari". Tornando alla pala del Guarino, che misura cm.125 x 205, va evidenziato come essa - alla pari della maggior parte dei dipinti di carattere devozionale del tempo, improntati ad evocare con elementi fortemente espressivi l’adorazione per la Vergine Maria - si sviluppa mediante un assetto ascensionale che pone all’apice, entro una cornice di nubi e di angeli, le figure della Madonna e del Bambino, caratterizzati dal volto dolce e misericordioso, nell’atto di abbracciarsi teneramente, così come sono raffigurati nell’icona napoletana, mentre la parte inferiore è occupata, invece, dalle figure degli apostoli Pietro e Paolo, riconoscibili per i rispettivi attributi iconografici - le chiavi decussate per il Principe degli Apostoli, la spada per l’Apostolo delle Genti - e non già dalle Anime Purganti nell’atto di essere liberate dalle fiamme del Purgatorio come è dato vedere in numerosi dipinti coevi. È noto, infatti, che la Madonna del Carmelo è venerata anche come particolare protettrice delle anime del Purgatorio, in quanto in una delle rivelazioni a santa Brigida, affermò: «Io sono la Madre di tutte le anime che si trovano in purgatorio ed intervengo continuamente con le mie preghiere per mitigare le pene che meritano per le colpe commesse durante la loro vita». L’apparizione faceva il paio con la visione mariana avuta qualche anno prima, il 16 luglio del 1251, da Simone Stock, un frate carmelitano inglese poi santificato, allorquando la Vergine gli consegnò uno scapolare, un piccolo pezzetto di stoffa che riproduce il grembiule utilizzato dai confratelli durante il lavoro per non sporcarsi, altrimenti conosciuto come “abitino”, promettendo a chiunque fosse morto indossandolo, che sarebbe stato preservato dal fuoco eterno dell’inferno; una promessa che veniva ratificata, per di più, dal pontefice dell’epoca, Giovanni XXII, con la cosiddetta “Bolla sabatina”, in virtù della quale il privilegio si estendeva, con il passaggio direttamente in Paradiso fin dal primo sabato dopo la morte, anche a quanti destinati al Purgatorio indossassero, nel momento del trapasso, lo scapolare. In tempi relativamente più prossimi a noi, il 16 dicembre del 1910, il pontefice Pio X, concesse con un apposito decreto, la facoltà di poter sostituire lo scapolare tradizionale, costituito da due quadratini di tessuto marrone o nero, uniti da cordoni, che porta cucite sui due lati le immagini della Madonna e quella del Sacro Cuore di Gesù o dello stemma dell’Ordine, con una medaglia benedetta che contenga impresse le stesse effigi.
Ricordato dal De Dominici per le tele realizzate nella chiesa napoletana di San Nicolò alla Dogana e per i restauri condotti sugli affreschi di Micco Spadaro nella certosa di San Martino oltre che nella chiesa dell’Incoronata, Domenico Guarino (Napoli, 1683 -1750), dopo un iniziale apprendistato presso la bottega di Paolo de Matteis fu, in seguito seguace, prima del Giordano e poi del Solimena, della cui maniera fu il più fecondo diffusore in Basilicata. Qui fu attivo, infatti, fin dal 1720, nell’abbazia di S. Antonio di Pomarico, dove realizzò i dipinti raffiguranti la Maddalena penitente, S. Apollonia, S. Carlo, S. Rocco; nella chiesa madre di Pisticci, sulle cui pareti lasciò alcune tele rappresentanti la Madonna del Carmine e la Madonna del Pozzo e altre raffiguranti i Misteri del Rosario; nell’altra chiesa cittadina di Sant'Antonio, dove tra il 1747 e 1748 realizzò una serie di tele raffiguranti S. Donato, S. Antonio, S. Biagio, S. Apollonia, S. Caterina, S. Eligio, S. Liborio e la Porziuncola; nella chiesa di S. Antonio da Padova di Stigliano, con il San Francesco che riceve l'indulgenza alla Porziuncola; nella chiesa del Sacro Cuore di Genzano di Lucania con altre sette tele raffiguranti: S. Rosa, S. Agata, S. Barbara S. Apollonia, S. Cecilia, l’Annunciazione, la Porziuncola; nella chiesa di San Nicola di Savoia di Lucania con l’Immacolata, la Cacciata dei mercanti dal Tempio, Gesù tra i dottori, la Cacciata di Eliodoro, il Diluvio Universale, la Conversione di San Paolo, una Scena di battaglia; nella chiesa Madre e in quella della Trinità di Atella, rispettivamente con una Presentazione al Tempio, la Madonna con Bambino, S. Giuseppe e S. Antonio nella prima, e con un S. Carlo, S. Ludovico, S. Michele nella seconda; nel convento del S.S. Crocifisso di Forenza con la Comunione degli apostoli, Storie della Passione, il Martirio di S. Barbara, S. Cecilia, S. Francesco, S. Maria Maddalena; nella chiesa del convento di Salandra con una Madonna con bambino, S. Antonio, S. Francesco, S. Gennaro, S. Giovanni Battista, S. Giovanni da Capestrano, S. Leonardo, S. Nicola, S. Rosa, S. Vito e un Santo Vescovo; nella cattedrale di Venosa con il Matrimonio mistico di S. Caterina; nella chiesa di S. Maria del Sepolcro di Potenza con una Via Crucis (opere analoghe si ritrovano, altresì, nella chiesa madre di Genzano, a Lauria nella chiesa di S. Giacomo, a Grassano nel convento del Carmine). All’attività di restauratore e pittore Guarino affiancò anche quella di scultore per la quale è ricordato come rifinitore, nel 1727, della cappella Mazza nella chiesa della SS. Annunziata di Salerno iniziata da Ferdinando Sanfelice.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 5 Maggio)

Valle Cupa di Marzano Appio
parete absidale della cappella dedicata alla Vergine del Carmelo