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Riflessioni iconografiche in margine ad un dipinto di
Girolamo Cenatiempo nella chiesa di S. Francesco a Teano
 
 

Ad una prima e sommaria occhiata, il convegno di santi che si sviluppa sotto l’immagine dell’Immacolata nel dipinto, firmato e datato 1726 da Girolamo Cenatiempo, che si osserva sulla controfacciata della chiesa di San Francesco a Teano, sembrerebbe rimandare all’ennesima rappresentazione di una delle iconografie più diffuse della Vergine Maria, ovvero quella del suo immacolato concepimento nel seno della madre Anna, comunemente denominata Disputa dell’Immacolata Concezione; una rappresentazione - presa a prestito nella sua struttura, ovviamente con le opportune variazioni, dai vari pittori che nei secoli hanno trattato il tema, dalla Disputa del Sacramento di Raffaello che si trova nella Stanza della Segnatura in Vaticano - dove la Vergine, sospesa tra cielo e terra in un vortice di angeli- ora ritta su una mezzaluna, coronata di stelle mentre schiaccia la testa del serpente, ora inginocchiata sulle nuvole davanti al Padre Eterno nell’atto di toccarla con la sua verga per esentarla dal peccato originale - sovrintende un’assemblea di Dottori, teologi e santi che discutono sulla sua immacolata concezione nel seno della madre. Come si ricorderà, una dottrina, elaborata fin dal V secolo da Agostino d’Ippona, affermatasi gradualmente nel corso del Medioevo e definita, dopo lunghe dispute, solamente nel 1854 con la proclamazione del dogma da parte di Pio IX, sostiene che la Vergine Maria in quanto era stata predestinata fin dal principio dei tempi a fungere da “vettore” dell’incarnazione di Cristo, doveva ella stessa essere stata concepita “senza concupiscenza”. Ebbene, ad una più attenta osservazione, ancorché le sue pessime condizioni di conservazione ne pregiudicano una più attendibile lettura, la composizione del Cenatiempo sembrerebbe prefigurarsi piuttosto come la rappresentazione della Meditazione di alcuni profeti e santi sul mistero dell’Immacolata Concezione, un tema iconografico quasi sempre indicato dagli storici come una generica raffigurazione dell’Immacolata Concezione e santi, ancorché il celebre mariologo francese Jacques de Mahuet distingua ben sette tipi di rappresentazioni dell’Immacolata: le immagini storiche dipendenti dai Vangeli apocrifi, quelle simboliche ispirate alla Bibbia, quelle allegoriche o del trionfo dei vizi, quelle sul serpente, le dispute, le figurazioni ideali e le immagini del XX secolo. Manca, infatti, rispetto alla Disputa uno degli elementi che la faccia ritenere tale, vale a dire la presenza dei Dottori della Chiesa che - divisi tra gli assertori del dogma (i cosiddetti “immacolisti”, come S. Ambrogio, S. Agostino, S. Anselmo d’Aosta), e i negazionisti (i cosiddetti “macolisti”, come S. Bernardo di Chiaravalle, S. Alberto Magno, S. Tommaso d’Aquino e S. Bonaventura) - disputano giustappunto tra di loro. Le poche figure di profeti e santi che si riescono a riconoscere nella pala teanese, fortunosamente sopravvissuta ai bombardamenti alleati dell’ultimo conflitto mondiale, sembrano ricondursi, invece, a partire da sinistra, ai profeti David e Isaia (seppure con qualche dubbio), a san Francesco, a un santo vescovo, forse san Paride, e al beato Duns Scoto, secondo uno schema che li vede convergere intorno alla protagonista con un atteggiamento, per l’appunto di meditazione.
La presenza di re Davide, che sembrerebbe identificabile come tale per un oggetto vagamente somigliante ad un’arpa che regge tra le mani (suo precipuo attributo iconografico), va messa in relazione con la 2ͣ antifona dei salmi 23 e 45 laddove egli canta: «L’Altissimo ha santificato la sua dimora, alleluia». Lo affianca, genuflesso, con la fronte alta e canuta e la barba lunga, una figura che benché priva dell’attributo iconografico della sega, lo strumento con il quale fu martirizzato e che il più delle volte lo identifica, dovrebbe raffigurare il profeta Isaia, il cui rapporto con la rappresentazione dell’Immacolata è strettamente correlato con una delle sue profezie, quella in cui rivela: «Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Libro di Isaia 7,14-17). Al centro della corona dei profeti e santi sottostante l’Immacolata non poteva mancare, ovviamente, essendo la chiesa dedicata a san Francesco, l’immagine del Poverello di Assisi, che genuflesso, la mano sinistra volta verso i fedeli per mostrare le stimmate, è raffigurato nell’atto di rivolgere uno sguardo tenerissimo alla Vergine. Come ricordano alcuni biografi (Tommaso da Celano, San Bonaventura da Bagnoregio), Francesco era «animato da indicibile affetto per la Madre del Signore Gesù», la donna che, come lui stesso affermò, aveva dato a Cristo «la vera carne della nostra umanità e fragilità» (Lettera ai fedeli). Lo affiancano, sulla destra, entrambi anch’essi genuflessi, un vescovo, che va quasi sicuramente identificato con san Paride, primo vescovo di Teano e suo Patrono, e il beato Duns Scoto. Vissuto in tempi decisamente lontani dalle dispute teologiche intorno al dogma dell’Immacolata Concezione, qui san Paride trova probabilmente collocazione proprio in quanto primo presule e protettore della città, come a voler rappresentare le meditazioni dei teanesi tutti sul mistero dell’incarnazione di Maria nel grembo di sant’Anna. Ben altra valenza ideologica ha, invece, la presenza di Duns Scoto, il famoso “Dottor Sottile”, riconoscibile oltre che per l’abito francescano, per un libro aperto tra le mani chiaramente riferibile alla sua fervida attività di filosofo e teologo, all’interno della quale intervenne, tra l’altro, nelle dispute circa il concepimento immacolato di Maria, di cui diventerà uno strenuo difensore con l’elaborazione della cosiddetta “teoria della redenzione preventiva o preservativa”, secondo la quale anche la Madonna, che secondo la dottrina del tempo si riteneva fosse stata santificata mentre ancora si trovava nel grembo di sua madre o alla nascita, era stata redenta sì fin dalla nascita da Dio, ma con una redenzione preventiva, prima e fuori del tempo, in previsione dei meriti di suo figlio Gesù.
L’autore del dipinto, Girolamo Cenatiempo, che sicuramente fu affiancato da un frate con funzioni di iconografo nella stesura dell’opera, è figura di artista a lungo attivo fra il 1705, anno in cui firmò e datò la sua prima opera conosciuta, il S. Benedetto in atto di congedarsi da S. Scolastica nella chiesa di S. Pietro a Majella di Napoli, dove era presumibilmente nato, e il 1742, quando affrescò la cappella di S. Francesco di Paola nel santuario di S. Maria di Pozzano (Castellammare di Stabia). In questo lungo arco di tempo fu operoso soprattutto a Napoli dove realizzò altre tele e affreschi per la cappella di S. Pietro Celestino sempre in S. Pietro a Majella, per la chiesa di S. Maria della Sapienza, per la chiesa del Gesù Vecchio, per la chiesa di S. Maria di Donnaromita, per la chiesa di S. Pietro martire, per la chiesa della Nunziatella, per la Missione dei Vergini, per la chiesa della Compagnia della Disciplina della Santa Croce. Non meno prolifica fu la sua produzione a L’Aquila dove lavorò a più riprese, prima per la basilica di S. Bernardino, poi per le chiese di S. Margherita e di S. Amico, per il Palazzetto dei Nobili, su commissione dei Gesuiti, per la distrutta chiesa di S. Maria Maddalena (le tre tele superstiti sono ora conservate nel Museo Nazionale d’Abruzzo) e infine per la cattedrale dei SS. Massimo e Giorgio. Altri interventi sono registrati a Caivano (ch. di S. Pietro), a San Severo (ch. della Santissima Trinità), ad Avigliano (ch. S. Maria degli Angeli), a Fidenza (cattedrale). Gli studiosi gli attribuiscono, inoltre, alcune tele conservate nella Quadreria di Palazzo Imperiali di Latiano.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 4 Aprile)