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L'Invenzione della Vera Croce di Alessandro Ermit
nella chiesa di Santa Croce a Pignataro Maggiore
 

 

La chiesa conventuale del monastero di Santa Croce di Pignataro, più conosciuto con la denominazione di convento di San Pasquale dal nome della collina sulla quale fu eretto nella prima metà del Settecento, accoglie sull’altare maggiore, inserita in una fastosa cornice in stucco, una pala d’altare che raffigura due dei momenti salienti della cosiddetta “Leggenda della Vera Croce”: quello dell’Invenzione (ossia del ritrovamento del sacro legno che aveva accolto Gesù crocifisso) da parte di Elena, madre dell’imperatore Costantino, avvenuto durante un pellegrinaggio dell’imperatrice a Gerusalemme giusto appunto per riportare alla luce e alla venerazione dei cristiani la croce e qualche altra testimonianza della Passione di Cristo; e quello dell’Esaltazione (ovvero del rientro della stessa a Gerusalemme per opera dell’imperatore bizantino Eraclio I, dopo che, nel 614, era stata sottratta da Cosroe, re dei persiani, durante l’assedio alla città).
La “Leggenda” ebbe origine, probabilmente, in Siria, verso la fine del IV secolo, sulla scorta di una precedente narrazione nota come “Leggenda di Giuda Ciriaco” e di alcuni sommari resoconti dei Padri della Chiesa (i santi Ambrogio, Giovanni Crisostomo e Paolino di Nola) circa il rinvenimento della croce sul Golgota e il trasporto di essa a Gerusalemme. Riferimenti che - arricchiti, in seguito, da spunti tratti dal Libro di preghiera di Wessobrunn (della fine del sec. VIII) e dalla Collectio Canonum et conciliorum, un manoscritto redatto a Pavia nel secondo quarto del IX secolo conservato nella Biblioteca Capitolare di Vercelli - e in collegamento, per di più, con la consolidata tradizione dell’adorazione della Croce di san Francesco e degli ordini francescani, trovarono più tardi, nel 1260, una più organica narrazione nella “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine. Senza addentarci oltremodo nella lunga e complessa storia narrata da Jacopo che sarà, peraltro, la fonte iconografica letteraria più utilizzata dagli artisti toscani che tratteranno il tema nei secoli seguenti - a partire dal ciclo affrescato da Agnolo Gaddi nella Cappella Maggiore in Santa Croce a Firenze (1380-1390) fino a quello magistrale di Piero della Francesca nella Cappella Maggiore della chiesa di San Francesco ad Arezzo (1452-1466), passando per i cicli realizzati da Cenni di Francesco in San Francesco a Volterra (1410) e da Masolino da Panicale nella Cappella di S. Elena in S. Stefano ad Empoli (1424) - in questa sede ci limiteremo a raccontare brevemente che, nel 312, l’imperatore Costantino, dopo la visione della croce nella famosa battaglia di Ponte Milvio vinta su Massenzio che pose fine alle persecuzioni dei cristiani, decise di inviare la madre Elena a Gerusalemme a cercare il sacro legno sul quale era stato sacrificato Gesù. Qui, l’imperatrice, appreso che Giuda, il rabbino ebreo della locale sinagoga, era a conoscenza del posto sul Golgota dove era seppellita la Croce ma che era riluttante a svelarlo, dopo averlo tenuto per sette giorni in una cisterna senza cibo né acqua, lo convinse a farsi rivelare dove era questo luogo, raggiunto il quale, il 14 settembre del 1320, secondo la tradizione, la Croce fu portata finalmente alla luce e con essa anche quelle che erano servite per i due ladroni compagni di martirio. Sempre secondo il racconto, Elena per identificare quella sulla quale era morto Gesù, sfiorò con il legno un defunto e questi resuscitò. Dopo di che fece separare la Croce in diverse parti di cui la principale venne lasciata a Gerusalemme mentre l’altra l’avrebbe poi portato con sé a Roma per custodirla in quella che diventerà la basilica di Santa Croce in Gerusalemme. La parte di Gerusalemme sarebbe stata poi trafugata, come già si accennava, da Cosroe re dei persiani, ma successivamente recuperata dopo complesse vicende dall’imperatore Eraclio, e riportata trionfalmente nella Città Santa.
L’opera di Pignataro presenta in un’armonica sintesi i principali personaggi delle due vicende: il giudeo che aveva indicato il luogo del ritrovamento mentre, in una gloria di angeli e cherubini innalza la Croce; Elena di fronte ad essa che, radiosa, indica agli astanti il defunto resuscitato quale tangibile testimonianza della verità del ritrovamento; l’imperatore Eraclio, che, anacronisticamente (con un salto in avanti di ben due secoli), paludato nelle vesti regali, si appresta a riportare la Croce a Gerusalemme, evento che trova, peraltro, più compiuta raffigurazione nel piccolo inserto che s’intravede immediatamente a ridosso della testa di Elena.
In calce al dipinto la firma e la data (ALEX ERMIT 1758) attestano che si tratta di un’opera realizzata in quell’anno da Alessandro Ermit, un misconosciuto pittore settecentesco le cui uniche opere a tutt’oggi note, oltre a quella di Pignataro, sono il Ritratto del Beato Giovanni Marinoni, firmato e datato 1762, conservato nella sacrestia della chiesa della Pietà di Teggiano e la Madonna del Soccorso, firmata e datata 1791, che si conserva nella cappella omonima di Punta Licosa, una frazione di Castellabate, nei pressi dello storico Palazzo Granito. La committenza, invece, può essere sicuramente attribuita ai Frati alcantarini che, fondatori della chiesa e dell’attiguo monastero nel 1729, ne dettarono verosimilmente anche l’iconografia, mentre, sotto il profilo compositivo e pittorico non possiamo esimerci dall’osservare che l’impianto spaziale della scena è audace e denota nell’impasto cromatico, estremamente variegato, le buoni doti di colorista dell’autore; capacità esaltate viepiù dalle studiate torniture e dalle teatrali ed enfatiche posture delle figure, a tratti anche esagitate come nel vortice degli angeli e cherubini intorno alla Croce.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XIX 2022 - n. 5 Maggio)