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Don Adolfo L'Arco, "il salesiano del sorriso"
 
 

Più di dieci anni fa, il 25 luglio del 2010, moriva a Pacognano di Vico Equense, alla veneranda età di 94 anni, don Adolfo L’Arco, interessante figura di teologo e filosofo salesiano nato a Teano, nella piccola frazione di Fontanelle, il 24 maggio del 1916, giorno della festa di Maria Ausiliatrice, patrona principale della congregazione salesiana, di quella stessa famiglia religiosa la quale, quasi come se il tutto fosse stato predestinato, l’avrebbe accolto, ancora giovanissimo, tra i suoi figli, dopo che - in seguito ad un “folgorante” incontro con le teorie educative espresse da don Giovanni Bosco nello scritto Il sistema preventivo nell’educazione della gioventù (1877) - aveva chiesto ed ottenuto di entrare a far parte dell’Ordine fondato dal futuro santo per l’educazione dei giovani nelle scuole e nelle varie istituzioni (oratorî, convitti, collegi). Accolto, il 30 novembre del 1934, nel noviziato salesiano di Portici, il 1° dicembre dell’anno successivo Adolfo fece la prima professione sacerdotale e tre anni dopo, il 7 dicembre del 1938, quella perpetua. Il 17 marzo del 1945 era ordinato sacerdote. Conseguita, in prosieguo di tempo, la laurea in filosofia presso l’Università di Napoli, si affermò ben presto, per la sua preparazione teologica e filosofica, nonché per la profondità dei suoi scritti, come uno dei maggiori studiosi della materia, per cui, dopo una prima esperienza d’insegnante di filosofia e storia nei licei del Vomero e di Caserta, dove fu altresì assistente degli universitari cattolici della F.U.C.I., i superiori pensarono bene di assegnarli progressivamente anche gli insegnamenti di teologia e filosofia presso le Case di Castellamare di Stabia, Torre Annunziata, Salerno, Vico Equense, e per qualche tempo di Cisternino, in provincia di Brindisi. Incarichi che don Adolfo tenne a lungo fino a tarda età ma che non gli impedirono di svolgere, nei momenti liberi dagli impegni didattici, i compiti di confessore, predicatore e animatore di esercizi spirituali nel corso delle molte missioni mariane che tenne in Italia e anche all’estero per conto del santuario della Vergine di Pompei. Il contatto umano, la disponibilità al dialogo e, soprattutto, la capacità di porsi in maniera immediata, serena e sorridente negli stati d’animo o nelle situazioni delle persone che gli si rivolgevano (Don Bosco sorridendo entra in casa vostra recita il titolo di uno dei suoi scritti) erano i tratti salienti della sua esperienza umana e cristiana. Peculiarità che gli erano valse, nel 1973, l’invito a tenere la rubrica religiosa del sabato sera sul I° canale della RAI “Tempio dello spirito” e che si ritrovano, peraltro, nella maggior parte degli oltre sessanta libri che scrisse. In questa sede, per esigenze di sintesi, ne ricordiamo solo alcuni: Itinerario alla gioia, Le mani che sollevano il mondo, entrambi del 1954; Sorgenti di gioia del 1983, quasi «un testamento spirituale, redatto per gli amici che, grazie a Dio, sono molti ed eccellenti»; Il Cristo in cui spero (il suo libro più impegnativo, una sorta di manuale di teologia per laici) del 2007 e La leva del mondo: la preghiera, dello stesso anno. Copiosa fu anche la sua produzione agiografica che registra titoli dedicati, tra gli altri, oltre che a Don Bosco, al beato Bartolo Longo, al venerabile Giorgio La Pira, al futuro San Giovanni XXIII, a Sant’Alfonso, a Sant’Eustachio, Patrono di Fontanelle e al Servo di Dio Giacomo Gaglione.
Tuttavia la cultura di don Adolfo non si limitava agli studi teologici, filosofici e agiografici, come verrebbe da pensare, ma si estendeva, altresì, alla conoscenza delle maggiori letterature mondiali, tale che questa “miscela” di sapere gli permetteva di avere una visione universale della vita che era capace di tradurre in poesia e “cristificare” nel senso del pensiero espresso dal teologo francese Teilhard De Chardin nella sua opera principale, Il fenomeno umano, dove Cristo costituisce il momento conclusivo di una specie in evoluzione oltre l’uomo stesso. Illuminante in proposito la lettura del Messaggio di Teilhard De Chardin. Intuizioni e idee madri, che don Adolfo scrisse nel 1964. Anche a Pacognano, dove si era ritirato negli ultimi anni, don Adolfo aveva continuato a scrivere e soprattutto a predicare richiamando attorno a sé non solo frotte di fedeli, giovani e meno giovani, ma anche di sacerdoti e suore ammirati dalla sua cultura, dalle sue narrazioni, sempre serene, gioiose, sorridenti, spesso intercalate da venature umoristiche, fossero esse spiegazioni, interpretazioni o solo testimonianze di vita. Parimenti ammirato da tanta amabilità pastorale, il Rettore Maggiore don Pascual Chávez Villanueva, nono successore di don Bosco, il 17 marzo del 2005, in occasione del suo 60° anniversario di sacerdozio, gli aveva scritto: «La Congregazione salesiana è orgogliosa di avere un figlio come lei e chiede al Signore altre vocazioni come la sua». Più tardi, don Antonio Martinelli, teologo, già direttore del Centro di Pastorale Giovanile Salesiana prima a Torino e poi a Roma e per dodici anni Consigliere generale negli organismi mondiali della Congregazione Salesiana come responsabile del Dicastero delle Comunicazioni Sociali e della Famiglia Salesiana, avrebbe scritto: «Non so se qualcuno di voi possa riferire che don L’Arco abbia compiuto qualche miracolo, ma io posso affermare che ha fatto un grande miracolo: ha fatto sorridere le persone! Nel volto e nell’animo!».
Nel mese di dicembre del 2018, le spoglie mortali di don Adolfo furono traslate da Vico Equense nella chiesa del Cuore Immacolato di Maria annessa all’Opera Salesiana di Caserta, dove riposano nell’area sottostante l’altare della Madonna di Pompei.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 10 Dicembre)