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Un altro dipinto di Orazio De Garamo ad Aversa
 
 

La Madonna del Rosario, un titolo originato dall'usanza medioevale di adornare le statue della Vergine con una corona di rose, simbolo delle preghiere “belle e profumate”, sostituita in seguito dalla recita delle preghiere stesse (denominata giusto appunto Rosario), è una delle più frequenti raffigurazioni con le quali la Chiesa venera Maria. Di solito la Vergine con questo titolo è rappresentata mentre, seduta in trono con il Bambino Gesù in braccio, è in atto di porgere, unitamente al Bambino, la corona del Rosario, costituita da una serie di grani (tanti quante sono le preghiere da recitare), a san Domenico di Guzman e a santa Caterina da Siena, inventore della pia pratica l'uno, accanita propugnatrice del culto a Maria l'altra. Intorno a questa immagine sono spesso presenti, in numero di quindici, il più delle volte raffigurati in cerchi, i cosiddetti Misteri del Rosario, ossia una serie di rappresentazioni degli episodi più significativi della vita di Gesù e di Maria.
Talvolta a far da corona alla Vergine, insieme a san Domenico e a santa Caterina, compaiono altre figure di santi e sante, in genere appartenenti all'Ordine domenicano, ma anche di santi e sante legati al culto dei luoghi per i quali furono prodotti i dipinti; altre volte ancora, assieme a loro compaiono le figure dei personaggi legati alla vittoria ottenuta dai cristiani sui musulmani nella storica battaglia di Lepanto del 1571, che la tradizione attribuisce appunto all'intervento della Vergine, e cioè Pio V, don Giovanni d'Austria, Filippo II, Anna ed Eleonora d'Austria, i quali avevano caldeggiato e finanziata la spedizione. Non mancano, tuttavia, raffigurazioni che sfuggono a queste “regole” iconografiche: è il caso, ad esempio, della bella pala che sovrasta l'altare della seconda cappella di sinistra della chiesa di San Biagio ad Aversa, dove la Madonna del Rosario e il Bambino distribuiscono il Rosario, rispettivamente a san Giovanni Evangelista e a san Luca, raffigurati l'uno, in primo piano sulla sinistra mentre scrive il libro dell'Apocalisse sull'isola di Patmos, che fa da sfondo a tutta la composizione; l'altro, in lontananza, mentre dipinge il quadro della Vergine, secondo una leggenda tramandata dal monaco Gregorio del monastero di Kykkos, dove si narra che Maria, desiderosa di lasciare un'immagine di sé, consapevole del talento artistico di san Luca, gli chiese di farle un ritratto. A ben vedere l'opera è un unicum, dal momento che gli unici altri dipinti in cui la Vergine del Rosario compare con uno dei due santi, nella fattispecie san Giovanni, si riferiscono ad una pala tardo cinquecentesca conservata nella chiesa di San Martino a Gargano sul Garda, di mano di Francesco Giugno, pittore attivo prevalentemente a Brescia e Mantova, dove, però, l'evangelista è in compagnia di san Domenico, e alla seicentesca pala della chiesa parrocchiale di Ferrari, una frazione di Serino, nell'Avellinese, di mano del pittore pugliese Carlo Rosa.
Già ricondotta dal Parente alla scuola di Bernardino Siciliano e successivamente attribuita a un manierista napoletano seguace di Giovan Bernardo Lama e Girolamo Imparato, la pala aversana appartiene, in realtà, alla rara produzione del pittore teanese Orazio de Garamo, che la realizzò nel 1623 come testimonia l'epigrafe in basso a destra, dove la scritta «OR.GA.TE.», erroneamente riportata dal Parente come «RO.GA.TE.», è stata da me sciolta in OR(ratius) (de) GA(aramo) T(h)E(anensis); così come appare, del resto, per esteso, nell'altra tavola realizzata dal pittore per la chiesa di San Pietro a Majella, sempre ad Aversa, scoperta da Giulio Santagata e già oggetto di un mio precedente articolo su questa stessa rivista (“Nero su Bianco” - a. XIX, n.14 del 2 ottobre 2016, pp.60-61), a cui si rimanda anche per i pochi dati biografici sul pittore a tutt'oggi disponibili che dettai in quella occasione.

Franco Pezzella
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 4 Aprile)