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Da Teano a Auschwitz

 

Alla fine dell'inverno del 1989 intrapresi un lungo viaggio per raggiungere la Polonia, cuore dell'Europa, meta il campo di sterminio di Auschwitz. La Polonia, distrutta dall'invasione tedesca nell'ultima guerra con sei milioni di morti, la metà dei quali ebrei, e poi assoggetta alla dominazione russa, in quell'anno era alla ricerca di una identità nazionale.
Una Nazione liberata ma non libera, ovunque filo spinato, muri di cemento, soldati armati pronti a sparare avvilivano la popolazione. Da poco era finita la legge marziale imposta dal generale Jaruzelski e soltanto dopo la perestrojka di Gorbaciov sorsero i primi movimenti sindacali dell'operaio Walesa, “Solidarnosc". Anche l'intervento del Papa Woityla apportò una maggiore stabilità politica e un graduale miglioramento socio-economico.
La primavera nel mese di aprile non era ancora arrivata in Polonia. Il durissimo inverno rendeva l'aria circostante molto pungente. I monti Tatri, Sudeti, Beschidi, eccezionale scenario naturale, erano ancora innevati, i laghi gelati, i boschi e le campagne brulle. Dai camini dei casolari fuoriusciva un denso fumo nero che formava un unico corpo con la nebbia fitta mentre un acre odore di carbon fossile permeava ogni angolo di paesi e città, resi ancor più cupi da un pallido sole i cui raggi non riuscivano a penetrare la nebbia.
Lasciata Roma e passata Vienna giunsi a Katowice, capoluogo della Slesia, e infine raggiunsi Oswiecim, nome polacco della città martire, intrisa di sangue innocente, la città degli orrori, della morte, della barbarie.
All'ingresso del campo c'è un enorme cancello in ferro sul cui arco è scritto in tedesco: ARBEIT MACHT FREI, in italiano: IL LAVORO RENDE LIBERI. Questa frase, scritta dal comandante generale Rudolf Hob ideatore del funesto campo di concentramento, dava il benvenuto ai deportati civili e militari che, ignari della propria sorte, avanzavano sfiniti e spinti dalla fame e dalla sete, senza conoscere che li attendeva la morte e giammai la libertà.
Il perimetro del campo era racchiuso da un muro altissimo ai cui lati si ergono torri con fari che di notte rendevano vano ogni tentativo di fuga, impossibile anche per il controllo di soldati armati con cani poliziotti e del filo spinato ad alta tensione.
Il campo di concentramento era diviso in tre settori:
Campo principale - Stammlager – residenza delle truppe tedesche e centro amministrativo;
Campo Birkenau in località Brzeninka - luogo di arrivo dei convogli ferroviari;
Campo Monowitz dove si produceva gomma sintetica.
All'arrivo i deportati venivano selezionati: uomini, donne, bambini, militari, civili. Tutti venivano spogliati dei propri indumenti e rasati. Dopo il bagno venivano identificati con foto e vestiti di casacca a strisce con numero e stella a sei punte. I prigionieri non ebrei invece della stella sulla casacca portavano un triangolo: verde per i criminali politici e comuni, nero per gli asociali, viola per i testimoni di Geova, rosa per gli omosessuali, marrone per gli zingari, rosso per coloro che avevano tentato la fuga.
I malati venivano subito soppressi, i bambini separati dalla madri, le fedi, gli oggetti d'oro, le pellicce ritirati e inviati in Germania. Orologi, scarpe, fotografie, protesi, occhiali, bambole,valigie,attrezzi da barba, ecc. venivano sequestrati. Oggi questi reperti sono esposti in vetrine insieme ai capelli dopo la rasatura.
Al mattino i deportati, guardati a vista, erano condotti al campo di Monowitz, dove si produceva gomma sintetica che veniva inviata al colosso chimico Farben in Germania. Chi cercava di sottrarsi al lavoro, chi si dichiarava malato, gli storpi, i ciechi, bambini insofferenti che cercavano i genitori, erano condotti in stanze dal cui soffitto fuoriusciva un potentissimo gas, lo Zyklon B, un composto con acido cianidrico, e soppressi. Altri prigionieri dovevano poi provvedere a trasportare i corpi ai forni crematori. Le ceneri venivano raccolte e inviate alle industrie chimiche.
Con l'avanzata dell'Armata rossa Hitler ordinò la distruzione del campo per nascondere le prove del genocidio, ma il disegno non riuscì. I Tedeschi dovettero scappare lasciando tracce indelebili della loro ferocia. Il campo di Auschwitz annovera tra le vittime: Anna Frank, famosa per il suo Diario; Edith Stein, proclamata santa con il nome da religiosa di Teresa Benedetta della Croce; il francescano S. Massimiliano Koble.
Terminata la visita, esci e calpesti il sentiero pensando a quei miseri che lo avevano percorso ignari di andare a morire.

Arnaldo Minerva
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 3 Marzo)