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Recensioni: La Costellazione dell'Impossibile - Poesie - di

Pasquale Mesolella
 
 

Questa silloge rappresenta il punto più sofferto della mia paziente indagine, il desiderio estremo di un'ascesi irraggiungibile”. L'ultima fatica letteraria di Pasquale Mesolella, poeta e saggista di Teano, residente da molti anni a Prato, è già circoscritta in questa “nota” posta all'inizio del suo libro “La costellazione dell'impossibile”, appena pubblicato da Pentalinea di Prato. Pasquale, nonostante la sua continua ricerca e le tante domande, non è riuscito a capire i segreti del mondo, a raggiungere l'ascesi. E meno male, diciamo noi: avremmo perso quel senso di impotenza e di disillusione che traspare dalla sua poesia. Una ricerca affannosa e allo stesso tempo inutile, che ci dà un senso di mancanza, di perdita, di tristezza, di solitudine, ma anche di rabbia: un Dio che non dà spiegazioni, una vita fatta di uomini eternamente a sbranarsi, verità spoglie, misere e trasandate, quattro bandiere rosse ormai stropicciate, e la rabbia, perché, scrive: “Per altre ragioni si potrebbe/ perfino sopravvivere a questa cloaca immonda di sopraffazioni.../ perché il mondo ruota sottosopra/... e non c'è sguardo di bimbo martoriato che tenga/ sorriso compassionevole di vecchio tremante all'appello...”. Una vita ingiusta e ipocrita, quindi, fondata sull'utilitarismo e sulla violenza e che rende l'uomo indifeso ed offeso. Una sottile rassegnazione, percepita da un uomo maturo che vede nei contrasti della vita, nella solitudine e nella separazione un forte disincanto.: “Vale più nulla la luna bianca/il caldo sole/ la stagione nuova/...se i corpi divisi non si trovano uniti, se i cuori induriti non si fondono insieme”.
È l'essere per la morte di Heiddeger: con il passar del tempo il poeta accetta il suo destino di solitudine e morte, tutto il resto è la commedia della vita terrena, solo apparenza, solo una felicità di carnevale. Perché “oltre il sipario della finta rappresentazione/ c'è un cumolo di maschere/inservibili per la recita”.
In attesa della morte, viviamo nella sofferenza, nell'incomprensione e nei ricordi che, a volte, sono l'unico sollievo alla sofferenza. Soprattutto quando rivivono i ricordi dei luoghi e delle cose care. Scrive: “inutili e sofferte emozioni/ frenetiche galleggiano stasera /nella vasca zampillante di ricordi”. E ancora: “Muto e disperso in ogni angolo è il dolore/ di chi si ostina come me/ a rincorrere chissà che/...”.
“La morte – diceva Heidegger - sovrasta l'uomo. La morte non è una semplice presenza non ancora attuatasi, ma è un'imminenza che ci sovrasta. Un temporale può essere imminente; la riparazione d'una casa, l'arrivo d'un amico, possono essere imminenti. La morte è per l'uomo la possibilità di non-poter-più-esserci. Ed  in questo sovrastare dell'esserci a se stesso, dileguano tutti i rapporti con le altre cose, con le altre persone. Per Heidegger l'esistenza autentica è pervasa dall'angoscia per la consapevolezza della propria finitudine. L'essenza dell'esserci è la finitezza, l'essere mortali. E se la morte è la mia possibilità più certa e insuperabile questo mi porta a non godere delle altre possibilità che mi si presentano nella vita, perché ogni possibilità, ogni gioia, può essere annullata in ogni momento dalla morte. Scrive Pasquale “Demiurgo potrebbe farlo apparire/... questo misero uomo/ se di continuo non lo avvolgesse/ questa infinita finitudine del vivere”. A questo senso di perdita viene meno anche il sostegno della fede, della religione, perché il poeta scopre “la misera ragione dei credenti/ a smuovere la fede nell'eterno”. E rimane incerto sul credere, sulla speranza,  sulla memoria, avvicinandosi “al filo atroce dell'assurdo e dell'indeciso”. Si chiede: “Come potremo ripararci da questo/ contrastato ed irreparabile oblio?”. Intanto però viviamo la vita mascherati, come se fossimo in una commedia, dove tutto ci appare un carnevale e all'ultimo atto di questo carnevale “tutto sommato ci dispiace/ di non poterci più mascherare”.  Di qui l'accorata “Preghiera di un ottuagenario”: “Aiutatemi ad accettarmi cosi come vi pare/ per quelle ore che non ho contate/per quella giovinezza che non ho varcato/per quella tenerezza che non ho provato.” In attesa che cali definitivamente il sipario sulla vita e terminerà questo “impenetrabile sipario di parole”. Non mancano però attimi di serenità dedicati agli affetti familiari, ai luoghi cari, all'autunno: come le poesie dedicate alla madre Caterina, al figlio Luca, a Prato (la città dell'esilio), alla sua amata Teano, ai vecchi che “per un nonnulla sorridono/a un minimo cenno di benevolenza”. Ma anche poesie d'amore, di un amore mancato:”Ora sai che non ti conviene starmi vicino/ e volermi ostinatamente bene/. Ora sai che non devi più amarmi”.

Paolo Mesolella
(da Il Sidicino - Anno XII 2015 - n. 8 Agosto)