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Rinvenute le lettere del Fogazzaro al canonico sparanisano

Mons. Francesco De Felice
 

Una scoperta inaspettata. Mi sono capitate tra le mani le lettere inviate dal grande scrittore modernista e autore del «Santo» e del «Piccolo mondo antico», Antonio Fogazzaro, al canonico sparanisano mons. Francesco De Felice, autore di prose e poesie di gusto decadente. È capitato per caso, in una biblioteca abbandonata, mentre cercavo altro. Tra carte e giornali ancora chiusi nel cellofan, infatti, mi sono imbattuto in sei interessanti lettere inviate dal Fogazzaro al poeta, filosofo e canonico sparanisano. Nella prima lettera, scritta dal Fogazzaro nel giugno 1895, si scopre l'amicizia del canonico De Felice col Fogazzaro e con mons. Bonomelli: «Sarà una gran consolazione – scrive il Fogazzaro - per me il trovarmi nell'intimità con monsignor Bonomelli e con don Francesco al quale ho scritto pregando che mi faccia vedere meno gente possibile, perché di veder gente, sopratutto gente nuova, mi sento profondamente stanco…».
L'opera più contrastata del Fogazzaro, «Il Santo» aveva trovato comprensione nel segretario del cardinale Capecelatro, tanto che in una sua lettera scritta al De Felice (Roma il 12 novembre 1905) il Fogazzaro scrive: «Combattuto con violenza da destra e da sinistra, ho bisogno di questi conforti. Le assicuro che leggendo i giudizi di Alfonso Capecelatro riferitimi da lei, mi vennero agli occhi lacrime di gratitudine a Dio». Rasserenato dal giudizio indulgente del prelato verso «ll Santo», il Fogazzaro scrisse ancora una volta al canonico sparanisano, (Roma il 15 febbraio 1906) chiedendogli di farsi suo interprete presso il cardinale Capecelatro. Gli scrive: «Ottimo don Francesco. Ricevo in questo momento la cara sua. Non so in quali termini propriamente abbia scritto il P. Valdambrini: so che scrisse di una possibile condanna di talune proposizioni del «Santo». Come se un romanzo fosse un trattato di teologia! Benedetto potrebbe tenersi di venire equiparato a Rosmini. Che dire quanto alle due questioni? Io non sono teologo. Quanto al dubbio in cui possano essere le anime circa la sorte loro, appena uscite di vita, penso, senza arrivare all'ipotesi rosminiana di uno stato quasi incosciente che segua la morte, come l'ignoranza della propria sorte non escluda che questa sia decisa. Non v'è dubbio che le anime interamente pure e le anime reprobe passino tosto, quelle all'eternità del premio, queste alla eternità del castigo. Ma il Purgatorio deve pure esistere e forse la maggior parte delle anime deve passare di lì… E quanto alla credenza di Benedetto mi pare che non possa contraddire al Concilio Fiorentino ove alle parole «Cielo» e «inferno» si dia il senso di uno «stato» e non di un luogo… Scrivo a precipizio e mi accorgo di scriver male. Però ella mi avrà capito. E le stringo la mano con affettuosa gratitudine. Suo A. F.» Da Roma il Fogazzaro, nell'aprile 1906 si sposta a Vicenza e qui, il grande romanziere scrive al canonico De Felice altre due lettere. La prima è del 17 aprile. Il Fogazzaro scrive: «Ottimo amico. La sua lettera è un vero balsamo. Adesso ne aspetto un altro! Voglia dire a sua Eminenza, ringraziandolo delle sue preghiere, che se fossi stato avvertito, col riguardo solito ad usarsi agli scrittori cattolici, dell'erroneità di quella proposizione riguardante lo stato delle anime dopo la morte, avrei promesso di correggerla ed anche di toglierla nella prossima ristampa. Caro amico, privato di Cristo ingiustamente, sento Cristo più che mai, sento più che mai le mie miserie ed il desiderio di liberarmene». Appare chiara la volontà di accettare, con sottomissione, le censure al suo libro per non rischiare di perdere la possibilità di avvicinarsi ai sacramenti. Nell'ultima lettera, scritta a Vicenza il 20 aprile 1906, infatti, l'animo del Fogazzaro è rassegnato e si confessa liberamente al nostro canonico De Felice, della comprensione avuta a Milano: «Ottimo amico. Unanime parere di sacerdoti di Milano cui feci interrogare contemporaneamente a lei, fu che nessuna disposizione autorizzasse il rifiuto ai sacramenti... Ebbi la Comunione alla cattedrale di Milano e per consiglio di quel sacerdote oggi la riceverò nella mia parrocchia di Vicenza. Da Milano, per mia spontanea volontà, scrissi al Crispolti una lettera da pubblicarsi, nella quale dichiaro di voler prestare al Decreto quella obbedienza che è mio dovere di cattolico, cioè di non discuterlo e di non voler operare in contraddizione di esso utilizzando nuove traduzioni, ristampe ecc. La lettera uscirà, forse è già uscita, nell'Avvenire d'Italia. Voglia dir questo, La prego, a Sua Eminenza». Una vero e proprio atto di sottomissione.

Paolo Mesolella
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 2 Febbraio)