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L'iscrizione della della Cappella di Sant'Antonio Abate
a Pantuliano (I parte)
 

La chiesa di S. Giovanni Battista in Pantuliano (foto di Giuseppe Marchione)

1. L'etimologia di Pantuliano
Pantuliano, oggi frazione del Comune di Pastorano, nei secoli di antico regime era uno dei casali di Capua. Circa l'etimologia del toponimo, qualche cultore di storia locale, che vedeva l'impronta della civiltà greco-romana dappertutto, lo faceva derivare da un “Panteon” (considerando che Pastorano derivava da un tempio al dio Pan, Bellona dalla omonima dea della guerra, Sparanise da un tempio ad Espero, Casapulla da Apollo, ecc.). tale etimologia a noi appare troppo fantasiosa.
Il prof. Giancarlo Bova in un saggio pubblicato sulla rivista Le Muse (1) lo riconduceva invece a “pantano” ad indicare una zona paludosa nelle immediate vicinanze del Volturno. Ma sul piano morfologico tale etimologia ci appare non del tutto soddisfacente: come spiegare l'amplificazione di “pantano” in Pantuliano? Come si giustifica il gruppo -uli- ?
Noi propendiamo per un'altra ipotesi, proponendo una derivazione del toponimo da un nome personale, anche in considerazione del fatto che il suffisso –ano si usa per indicare “terreno di proprietà di …”; per esempio Camigliano = terreno di un proprietario di nome di Camillo, Partignano, terreno di uno di nome Paterno; idem per Pastorano (2).
Pertanto si potrebbe ricorrere al nome Pantaleo a cui si aggiunge il suffisso –ano e si avrà Pantaleo-ano; nella formazione del toponimo è importante sottolineare la resistenza della consonante liquida (L), mentre è più giustificabile la trasformazione della vocale (a) che la precede e delle altre due vocali (eo) che la seguono; la “a” si è trasformata prima in “o”, poi in “u”; delle due vocali che seguono la liquida, la “o” è caduta e la “e” è diventata “i”. Questa è la nostra ricostruzione del toponimo. Si deve aggiungere, per la presenza del nome Pantaleo nella zona capuana e calena nel periodo basso medievale, che essa si spiega con la diffusione del culto di tale Santo; si può consultare a tal proposito il Santuario Capuano di Michele Monaco (3): alla data del 18 febbraio si indica la “Commemoratio ossium Sancti Pantaleonis Mart. Quando caput eiusdem mart. Per Henricum de Vlmine militem de Costantinopoli ad nos tranlatum”.
Aggiungiamo che Pantaleo e Pantaleone è un cognome diffuso nel Sud ed anche al centro; esso è la cognominizzazione del nome Pantaleo o Pantaleone, affermatosi in Italia con l'introduzione tra XI e XII secolo del culto di S. Pantaleone di Nicomedia (già diffuso dal V sec. in Oriente); dal tardo latino Pantaleo derivato dal greco Pantaléon, formato dall'avverbio “panta” = del tutto, interamente, e da “léon = leone; quindi: leone in tutto, veramente un leone, forte come un vero leone (4).
Il toponimo Pantuliano compare in varie pergamene dell'Archivio arcivescovile di Capua; in particolare da quella del 1226, la più antica finora a nostra disposizione si apprende che nell'agosto di quell'anno un certo Giovanni de Bonohomine e la moglie Maria alienano a Giovanni de Vayrano, abitante “de loco Pantoliani” due pezze di terra … (5); successivamente il toponimo compare anche negli anni 1243, 1258, 1265 e 1274 (6).

2. La chiesa parrocchiale di San Giovanni
Dal punto di vista religioso, Pantuliano appartiene all'Arcidiocesi di Capua e costituisce una anomalia, nel senso che si inserisce a cuneo nella Diocesi di Calvi (d'altra parte per il passato anche la parrocchia della vicina San Secondino dipendeva da Capua; e ancora oggi fanno parte della diocesi capuana Leporano e una parrocchia di Giano: Santa Lucia).
Titolare della parrocchia di Pantuliano è San Giovanni; ma … quale San Giovanni? Il Battista o l'Apostolo ed Evangelista? F. Granata dedica a Pantuliano alcune pagine della sua Storia Sacra (7) in cui scrive che la Chiesa è sotto il titolo di San Giovanni Apostolo ed Evangelista. Oggi il patrono è invece il Battista.
Nelle “Rationes decimarum Italiae” (8) nell'ambito della diocesi di Capua, vengono citate per gli anni 1308-1310 due chiese a Pantuliano: quella di San Marco e quella di San Giovanni: ad Pantulianum (n. 2395 a p. 182) e ad Pantalianum (n. 2539 a p. 188); nelle decime del 1326 viene chiamata S. Iohannis de Partiliano (forse una confusione con la vicina Partignano della diocesi calena) (n. 2726, p. 199: interessante anche il nome del prete dal quale veniva versata la somma di denaro: “a dompno Thomasio Coquo” (si pensi al cognome del committente della cappella di S. Antonio Adecoci!); mentre nel 1327 è chiamata S. Iohannis de Panteliano; a versare la decima è lo stesso don Tommaso Coquo (n. 2906, p. 210).

Ecce Homo (foto di Giuseppe Marchione)

3. La Cappella di Sant'Antonio
Accanto alla chiesa, verso la metà del XV secolo, fu costruita una cappella intitolata a San Antonio. Ma di quale Sant'Antonio si tratta? Dell'Abate o del Santo di Padova? Osservando gli affreschi all'interno della cappella, si capisce che si tratta di Sant'Antonio Abate. Ma a noi interessa sottolineare proprio l'assenza di qualificazione del Santo. Probabilmente nel Quattrocento, dire “Sant'Antonio” significava far diretto riferimento al Santo Abate. Il motivo è forse da ricercare nel fatto che Antonio Abate era un Santo meridionale, mentre quello da Padova era appunto un settentrionale; inoltre quest'ultimo era Santo da un paio di secoli, il suo culto era “recente”, mentre l'Abate era noto da oltre un millennio.
Suo biografo è S. Atanasio, suo amico e zelante discepolo, che non trascurò nessun particolare che potesse illuminare la personalità, le abitudini, il carattere, le opere e il pensiero del caposcuola del monachesimo. Nato a Come nel cuore dell'Egitto, a 20 anni abbandonò ogni cosa per seguire alla lettera il consiglio di Gesù: … Va', vendi ciò che hai, … Sulle rive del Mar Rosso condusse per 80 anni vita di anacoreta. (9) Morì più che centenario nel 356 e venne seppellito in un luogo segreto; ma nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono una lunga migrazione che da Alessandria d'Egitto e Costantinopoli si sarebbe conclusa in Francia nell'XI sec.; l'attraversamento dell'Italia meridionale contribuì a diffonderne il culto. La sua popolarità si diffuse in tutto il mondo cristiano; lo si invocava come guaritore di varie malattie fra cui il “fuoco di Sant'Antonio”. Divenne anche il patrono degli animali domestici, tant'è vero che ancora oggi il 17 gennaio si usa far benedire sul sagrato delle chiese che gli sono dedicate cavalli, asini, cani e gatti. Venne raffigurato con un maialino al fianco. In Francia fu costruita una chiesa e poi un ospedale e si fondò una confraternita di religiosi: uno dei più antichi privilegi concesso ad essa fu quello di poter allevare maiali per uso proprio; i porcelli potevano circolare liberamente fra strade e cortili se portavano una campanella di riconoscimento, il loro grasso serviva a curare l'ergotismo che venne chiamato il “fuoco di Sant'Antonio”. Perciò il maiale divenne nella iconografia un suo attributo insieme con il bastone a Tau, simbolo dell'anacoreta, e con la campanella. Poi gli si attribuì il patronato sui maiali e per estensione su tutti gli altri animali domestici. La festa del Santo divenne a poco a poco una delle più popolari fra i contadini (10).
Dunque un Santo antico, proveniente dall'Oriente, un Santo contadino, il cui culto si diffuse nella società agricola del Meridione (11).

Crocifissione (foto di Giuseppe Marchione)

4. Il contributo di Nicola Borrelli
Il primo ad interessarsi di questa “graziosissima” Cappella fu quasi un secolo fa, lo storico pignatarese Nicola Borrelli (12), il quale nella Rivista Campana (13), da lui diretta, pubblicò nel 1924 un breve saggio dal titolo: “Una Cappella quattrocentesca presso Pignataro Maggiore” (14) il superlativo che abbiamo su riportato è tratto appunto da questo saggio; esso è corredato da quattro foto: 1. La Chiesa parrocchiale di Pantuliano con a sinistra il piccolo ingresso della Cappella di S, Antonio, 2. L'ingresso, 3.Un particolare degli affreschi, 4. Interno: l'altare.
Il Borrelli, dopo una lunga introduzione di carattere polemico su una Relazione della Deputazione Provinciale di Terra di Lavoro, allora da poco data alle stampe, a proposito dell'importanza del Museo Campano per aver donato al Museo di Berlino una statua preromana, Museo Campano apprezzato più dai Tedeschi che dai “naturali” (cioè dai Campani), entra in argomento affermando: “Non sarei … sorpreso se una monografia di un tedesco illustrasse un giorno la Cappella di S. Antonio in Pantuliano: un monumento di cui son sicuro che la quasi totalità dei miei conterranei ignora l'esistenza. E che sia così lo attesta l'ingiuria che il tempo ha fatto e va tuttora facendo di quegli interessantissimi affreschi, senza che alcuno abbia mai richiamato su di essi l'occhio dei preposti alla tutela delle Antichità e Belle Arti, onde se ne scongiurasse il completo dissolvimento! Fortuna – prosegue lo storico - … che qualcuno dei dipinti si conservi in buono stato; fortuna che la graziosissima Cappella sia sfuggita alla barbarica «rinnovazione» della Chiesa Parrocchiale, cui è annessa, e sia stata risparmiata da un progettato restauro” …
Seguono delle annotazioni sulla iscrizione “in bei caratteri gotici del tempo”, sulla data di fondazione, sul committente, sulla dote, sull'obbligo del cappellano; il Borrelli prosegue con la descrizione della Cappella, fornendone le misure (m. 4 per 4) (15); ma “dei soggetti delle pitture e della loro trattazione tecnica dirò altra volta esaurientemente”; la promessa qui fatta però non fu mantenuta: infatti nei fascicoli restanti dell'anno 1924, non se ne parla più; la Rivista cessò di essere pubblicata (il che avveniva a spese del Direttore). Il Borrelli ha continuato a scrivere su varie riviste, ma non ci risulta che abbia ripreso la trattazione della Cappella di Pantuliano (a dire il vero, molti suoi saggi e articoli sono sparsi in riviste ormai introvabili!).
Nella parte restante del saggio, il Borrelli afferma che “la più parte degli affreschi è perduta e solo il lato destro della Cappella presenta ancora qualche quadro in discreta conservazione” e ne indica alcuni. E spiega infine il motivo de “la rovina delle pitture del nostro bel monumento del Rinascimento” che “è dovuta all'umidità prodotta dal terrapieno che, dal lato sinistro, minaccia addirittura la statica della Cappella” e conclude con un suggerimento alla R. Sopraintendenza dei Monumenti: “per garantire almeno ciò che resta, sarebbe tempo che si pensasse ad isolare dal terrapieno il lato sinistro della Cappella” o almeno sostituire la porta d'ingresso con un cancello per facilitare la necessaria areazione.
Dopo questa segnalazione del Borrelli, si dovette provvedere ad eliminare il terrapieno: quando ciò avvenne? A sinistra della Cappella poi si costruì la Canonica per il parroco: quando? Probabilmente negli anni Cinquanta del secolo scorso.

5. Il contributo di Giuseppe Marchione
Verso il 2006 il dott. Giuseppe Marchione (16) di Sparanise ci consegnò una breve relazione sulla Cappella di Pantuliano perché venisse pubblicata su Le Muse, ma – non ricordiamo per quale motivo – quella relazione restò nel cassetto; ora la riprendiamo in mano e la rileggiamo con grande interesse, occupandoci anche noi dello stesso argomento.
Anzitutto il Marchione trascrive l'iscrizione per intero, ma per sei volte appone il punto interrogativo ad altrettante parole che non riusciva a decifrare; inoltre nella quarta parola del primo rigo leggeva REGIO, ma manifestava il suo dubbio con dei puntini sospensivi prima e dopo la stessa. Ciò nonostante, riusciva a cogliere il senso generale del testo.
Il Marchione si dilungava poi a stabilire un rapporto temporale tra la Chiesa parrocchiale e la Cappella, facendo considerazioni di tipo architettonico e riportando citazioni sulla chiesa tratte dalle Rationes decimarum Italiae, nei secoli XIII e XIV Campania (17), che testimoniano la presenza della Chiesa parrocchiale di San Giovanni agli inizi del Trecento. Sottolinea poi le forti analogie, ma anche le differenze, tra la Cappella di Pantuliano e quella, pure dedicata a S. Antonio, che si trova a S. Angelo d'Alife. Seguendo poi il saggio del Borrelli, riporta le dimensioni, la copertura a volta, la perdita degli affreschi; segue la descrizione degli affreschi conservati, di cui fornisce 13 foto. Riferisce dunque il Marchione che la cappella, delle dimensioni di circa 4 metri per 4 (18), ha una copertura a volta a due vele, divise da un archetto, anch'esso affrescato, come le pareti e la volta. Gran parte degli affreschi è andata perduta, ad eccezione di quelli del lato destro, che fa corpo con la chiesa parrocchiale di San Giovanni. Abbastanza ben conservati erano negli anni Quaranta, due dei quattro evangelisti (San Marco e San Matteo) ed alcune figure femminili, allegoria della Giustizia, della Carità e della Fede. La cappella si presenta a navata unica, suddivisa in due campate, ognuna delle quali ha una copertura a forma di doppia volta incrociata.
Gli affreschi ricoprivano in origine tutta la superficie muraria, ma attualmente sono rimaste discretamente conservate solo le pitture delle due volte e della parete dell'altare. le otto vele di cui è composta la prima volta sono affrescate da scene tratte dalla vita del Santo.
Sulla parete dell'altare, altre scene della vita di S. Antonio Abate; al centro una nicchia incorniciata da un arco acuto sul quale sono dipinti i 12 Apostoli e il Cristo benedicente. Il S. Antonio di questa nicchia è di fattura seicentesca; sulla parete laterale sinistra è raffigurato San Giovanni Battista; dell'evangelista Giovanni è raffigurato il simbolo insieme con gli altri tre nei quattro angoli della volta. L'Autore aggiunge alla fine alcuni riferimenti bibliografici: B. Daprà: Un ciclo di affreschi quattrocenteschi nel casertano: Arch. G. Iannotta: Origine della Parrocchia di san Giovanni Evangelista di Pantuliano; N. Borrelli, di cui già abbiamo detto (e D. Caiazza, che però tratta di una cappella di S. Antonio Abate a S. Angelo di Raviscanina). I titoli di questi saggi sembrano non fare riferimento alla epigrafe, che è l'oggetto principale della presente ricerca.
Dopo aver riferito il contributo di vari studiosi quali il Bova, il Borrelli e il Marchione, a questo punto riportiamo l'intera iscrizione: per prima ne trascriviamo il testo così come si presenta nell'originale; poi riporteremo il testo con le necessarie integrazioni; infine la traduzione. (Fine I parte)

Cristo benedicente (foto di Giuseppe Marchione)

NOTE
(1) - Anno VII, n. 1-2, gennaio-agosto 2005, “Un insediamento normanno nel Sud d'Italia: il caso di Pantuliano”, pp. 5-8.
(2) - Vedi I nomi di persona in Italia, Dizionario storico ed etimologico, UTET, ecc.
(3) - Parte quarta, I nomi dei Santi che furono venerati a Capua, Napoli, Ottavio Beltrani, 1630, p. 463.
(4) - Cfr E. De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, Mondadori, 1978, s. v.; si veda anche A. Martone, Origine dei toponimi, parte prima in LE MUSE, Anno III, n. 3, sett. Dic. 2001, pp. 23-26; e parte seconda in Idem, Anno IV, n. 2. Maggio-agosto 2002, pp. 34-38).
(5) - G. Bova, Le pergamene sveve della Mater Ecclesia Capuana, 1201-1228, I, ESI, Napoli, 1998: n. 97, pag. 264.
(6) - Ibidem, Le pergamene sveve … (1240-1250), III, Napoli 2001, p. 323; Le pergamene sveve … (1251-1258), IV, Napoli, 2003, p. 376; Le pergamene sveve … (1259-1265), V, Napoli 2005, p. 505; Le pergamene angioine … (1274-1277), III, Napoli 2012, p. 73.
(7) - Storia Sacra della Chiesa metropolitana di Capua, 1766, pagg. 38-39 del 2° tomo, Libro III, Cap. 1°.
(8) – A cura di Mauro Inguanez, Leone Mattei-Cerasoli e Pietro Sella, Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, 1942.
(9) - Cfr. M. Sgarbossa – L. Giovannini, Il Santo del giorno, edizioni Paoline, Roma, 1978, pp. 39-41.
(10) - Cfr A. Cattabiani, Santi d'Italia, Rizzoli Milano 1993, pp. 105-11.
(11) - Cfr anche M. Walsh, Il grande libro delle Devozioni popolari, Piemme, Casale Monferrato, 2000, p. 220.
(12) - Per un quadro d'insieme della vita e delle opere dello studioso pignatarese, vedi il numero speciale de Le Muse, Anno V, n. 1-2, (XIII-XIV) genn.-agosto 2003.
(13) - Cfr. A. Martone, N. Borrelli e la Rivista Campana, Capys n. 30, 1997, pp. 30-50; inoltre il saggio di G. Rotoli nel citato numero speciale delle Muse, pp. 41-56.
(14) - Anno III, luglio 1924, n. 6, pp. 5-8.
(15) - In realtà dalle misure prese dal geom. Raffaele Testa la Cappella risulta larga m.4, ma la sua lunghezza è invece m. 6.
(16) - Internista presso l'Ospedale di Sessa Aurunca, membro del Gruppo Archeologico falerno-caleno; ha pubblicato su Le Muse: Architettura sacra a Pignataro, anno VIII, n. 2-3 (XXIII-XXIV, maggio-dicembre 2006, pp. 95-101; L'Angelo e il Pellegrino, anno XII, XXXIV-XXXVI, 2010, pp. 11-18.; Viabilità e territorio tra tardo antico e Medio Evo in Una villa romana tra gli ulivi – San Rocco – Francolise, Mincione, Sparanise, 2012, pp. 45-48.
(17) - Op. cit.
(18) - Si veda la nota 15.

Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno XI 2014 - n. 11 Novembre)