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L’invasione dei piemontesi e il saccheggio del Sud
 

Partiamo dalla premessa che non è nostra intenzione mettere in discussione l'unità realizzata nel 1861, che in verità sarebbe dovuta essere un fatto positivo per tutti gli italiani della penisola, divisa allora in molti stati tra i quali vogliamo sottolineare che quello più importante (da parecchi punti di vista) era il Regno delle Due Sicilie. Ciò che invece mettiamo in discussione, e lo diciamo in maniera energica, è il modo in cui quell'unità fu fatta! Bando alla retorica risorgimentale, vorremmo che a chiare lettere venisse riconosciuto pubblicamente che a rimetterci le penne fummo noi meridionali, a tutto vantaggio del Nord. Purtroppo solo pochi, e a denti stretti, lo riconoscono; mentre la maggior parte degli storici e delle pubbliche istituzioni continua a suonare la fanfara di Fratelli d'Italia, che inneggia ad una “fratellanza” che non c'è mai stata!
È necessario far conoscere agli italiani di oggi tutti i misfatti della cosiddetta UNITÀ, misfatti occultati dalla storiografia ufficiale che deliberatamente ci ha trasmesso una visione unilaterale di quell'evento, deformando la verità storica, trasformando un avventuriero in eroe e un re donnaiolo, interessato solo ad ampliare il suo piccolo regno, in un re dai grandi ideali di libertà.
Invitiamo pertanto i lettori a riflettere sul florilegio che qui di seguito proponiamo; sono brani di articoli di giornali dell'epoca, dichiarazioni di deputati al nuovo parlamento, di storici di ambo le parti (De Sivo e D'Azeglio), per chiudere con il giudizio espresso da Antonio Gramsci.
Francesco Proto Carafa, Duca di Maddaloni: “lntere famiglie veggonsi accattar l'elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest'uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati del Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio dei napoletani. A facchin della dogana, a camerieri a birri, vengono uomini del Piemonte. Questa é invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra dl conquista. Il governo di Piemonte vuole trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizzarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala.”
Giacinto de Sivo: “Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. l piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell'orrore e nella desolazione; fucilaron impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli.”
Massimo D'AzegIio: “Pare non bastino sessanta battaglioni per tenere il Regno. Ma, si diranno, e il suffragio universale? Io non so niente di suffragio, so che al di qua del Tronto non ci vogliono sessanta battaglioni e di là si. Si deve dunque aver commesso qualche errore; si deve quindi o cambiar principi o cambiar atti e trovar modo di sapere dai napoletani, una buona volta, se ci vogliono, si o no. Agli italiani che, rimanendo italiani, non vogliono unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibugiate”.
Papa Pio IX, 30 settembre 1861: “Aborre invero e rifugge l'animo per dolore e trepida nel rammentare più paesi del regno napoletano incendiati e rasi al suolo, e quasi innumerevoli, integerrimi sacerdoti e religiosi e cittadini di ogni età, sesso e condizione, e gli stessi malati indegnissimamente ingiuriati, e poi eziandio senza processo, o gettati nelle carceri o crudelissimamente uccisi.”
Pietro Calà Ulloa: “Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla merce dei loro padroni. L'immoralità dell'amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari.”
Il Nomade, giornale liberale, 12 settembre 1861: “Non parliamo delle dimostrazioni brutali contro i giornali; non parliamo dell'esilio inflitto per via economica; non parliamo delle fucilazioni operate qua e la per isbaglio dalle autorità militari; ma degli arresti arbitrari di tanti miseri accatastati nelle prigioni senza essere mai interrogati”.
Secondo la rivista «Due Sicilie» diretta da Antonio Pagano: Migliaia in carcere - Ma quanti erano i detenuti del Sud a marcire nelle galere italiane? Un'indicazione si trova in una lettera del savoiardo Menabrea, al ministro della Marina, il nizzardo Augusto Riboty. Menabrea sostiene che sarebbe stato «utile e urgente» trovare «una località dove stabilire una colonia penitenziaria per le molte migliaia di condannati» che popolavano gli stabilimenti carcerari. E troviamo anche la Marina militare. La Forza armata si prestò ad esplorare una serie di luoghi adatti alla deportazione dei meridionali. ll Borneo e le isole adiacenti, innanzitutto, ma anche secondo «Due Sicilie» «l'est dell'Australia».
Proto di Maddaloni, deputato meridionale al parlamento, in una seduta del 1861: “l nostri concittadini vengono fucilati senza processo, dietro l'accusa di un nemico personale, magari soltanto per un semplice sospetto ...”.
Oscar De Poli in un articolo pubblicato sul giornale “De Naples a Palerme” 1863 - 1864 scrive: «Il sedicente “democratico” Regno d'Italia iniziò una politica di spoliazione delle risorse nelle zone conquistate, opprimendo le culture locali e soffocando nel sangue le rivolte popolari che nel Meridione assunsero alle dimensioni di guerra civile. … secondo il ministro della guerra di Torino, 10.000 napoletani sono stati fucilati o sono caduti nelle file del brigantaggio; più di 80.000 gemono nelle segrete dei liberatori; 17.000 sono emigrati a Roma, 30.000 nel resto d'Europa, la quasi totalità dei soldati hanno rifiutato d'arruolarsi... ecco 250.000 voci che protestano dalla prigione, dall'esilio, dalla tomba… Cosa rispondono gli organi del Piemontesismo a queste cifre? Essi non rispondono affatto».
L'Osservatore romano, 1863: “Il governo piemontese che si vede presto costretto ad abbandonare il suolo napoletano, si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli.”
Antonio Gramsci: “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti.”
Questo florilegio è tratto da un opuscolo a carattere divulgativo dal titolo: “Da Napoletani a Meridionali” (di 28 pagine), curato dal FLN, Fronte di Liberazione della Napolitania, dove si possono leggere altri scritti su Mafia e Camorra, su Garibaldi, su Cialdini e Bixio, sul Plebiscito e non mancano vari giudizi espressi da stranieri.
Ci ha colpiti in particolare il pensiero di Milan Kundera che dice: “Per liquidare un popolo, si comincia con il privarlo della memoria. Si distruggono i suoi libri, la sua cultura, la sua storia. E qualcun altro scrive per esso altri libri, lo fornisce di un'altra cultura, inventa per esso un'altra storia”.

Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 12 Dicembre)