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Indice Antonio Martone
 
 
Recensioni: il n. 2 de i Quaderni de il Sidicino
 
"Assedio di Capua e di Gaeta - Campagna d'Italia 1860 -
Dal diario di guerra di Francesco De Renzis"
 
Considerazioni di Antonio Martone
 

Introduzione
È stato da poco pubblicato il 2° quaderno de “il Sidicino”, mensile dell'Associazione “Erchemperto” di Teano, a cura del dr Claudio Gliottone. Si tratta di un manoscritto inedito, conservato dal pronipote del Barone De Renzis - come riferisce il curatore nella introduzione – il diario parte dal 10 ottobre 1860 e termina il 9 marzo 1861.
Lo stile
Esso comprende più precisamente 89 annotazioni, di cui le più brevi sono quelle del 14 novembre (“Ritorniamo a Mola di Gaeta”) e del 24 dello stesso mese (“Cialdini parte per Napoli”). Lo stile è secco e lapidario, come se si trattasse di semplici “appunti”, buttati giù velocemente su un pezzo di carta. Prevale il periodo perlopiù formato da una sola proposizione, ma anche quando si allarga, non diventa mai complesso. La laconicità dello stile si può osservare nella nota dell'8 febbraio: “Armistizio conchiuso non so perché” e ancor di più nella nota successiva dell'8 dello stesso mese, dove anche il verbo è soppresso: “Prolungamento di 12 ore di Armistizio”. Mediamente ogni annotazione giornaliera va da due a dieci righe. La più lunga è quella del 1° novembre, di oltre 30 righe.
I personaggi grandi e piccoli
Il diario è certamente molto interessante per i riferimenti a personaggi storici protagonisti di quelle vicende di guerra che riguardarono l'assedio di Capua e di Gaeta nel momento culminante dell'Unità d'Italia: Vittorio Emanuele II, che si accingeva a diventare il “primo” re d'Italia (anche se mantenne il numerale II), Francesco II e Maria Sofia, gli ultimi regnanti delle Due Sicilie; Napoleone III imperatore di Francia e la regina Maria Eugenia; e poi tutti i generali: Cialdini, Menabrea, il Principe di Carignano, De Sonnaz, ecc.; interessante poi il riferimento agli inglesi onnipresenti nella vicenda dell'unità d'Italia (vedi appresso). Ma non mancano figure minori di tenenti o altri graduati o di semplici soldati uno dei quali per lo scoppio di una bomba viene inchiodato su un parapetto: ”Le ossa e i frammenti di quel povero diavolo si sono raccolti con la pala” (29 dicembre).
Il Re donnaiolo
Molto interessante appare la nota più lunga del 1° novembre dove il De Renzis parla del suo incontro con il Re, il quale anche in questa occasione non smentisce la fama di donnaiolo: “S.M. mi ha domandato se in S. Maria ci sono belle donne. “Ve n'ha una quantità – gli ho risposto – con i garibaldini ce ne son tante; anzi questa mattina ne ho vista una vestita da uomo che poteva avere un vent'anni”. “Vent'anni” ha esclamato il Re, aprendo un paio d'occhi di desiderio”. È una scenetta e un dialogo molto gustosi, degni di quel Padre della patria che tanti figli ha disseminato in ogni angolo della nuova Italia. In precedenza egli era dispiaciuto per un certo numero di prigionieri che sono rimasti in mano del nemico; e qui segue una battuta del re nel suo solito dialetto piemontese, che il curatore avrebbe fatto bene a tradurre in nota, perché anche se nel suo complesso è comprensibile, non ci risultano chiare le parole iniziali. Ma a prescindere dal senso della frase, ci preme evidenziare ulteriormente come l'Italia sia stata unita da uno che la lingua italiana la conosceva poco; addirittura anche ufficialmente gli atti del governo sardo per un certo tempo furono scritti in francese, non in italiano!
La gioia alla caduta di Capua
Interessante ci sembra anche l'ultima parte della stessa annotazione di quel giorno e che riguarda direttamente il De Renzis: “Le bombe cadeano su Capua e quando vedevamo scoppiarle bene era un battere le mani: il re era contento; io come Nerone assistevo con gioia alla distruzione della mia città nativa”. Leggendo queste righe, sono rimasto a dir poco assai perplesso: un capuano che gioisce nell'assistere alla distruzione di Capua! Batteva anche le mani! Significativo il paragone con l'imperatore Nerone che la storiografia ci ha tramandato come un tiranno pazzo e feroce. Questo motivo continua nella nota del 3 novembre: “La mia casa è malridotta” … “Molti Capuani nel vedermi vengono a baciarmi la mano, veramente con effusione di buon cuore”, quasi il De Renzis voglia giustificarsi della sua gioia considerando che molti altri capuani nutrivano il suo stesso sentimento; ma stranamente riporta il dramma di “Giovanni (che) ha ritrovato tutta la sua famiglia, povero diavolo, comandava una batteria d'assedio ed aveva la moglie ed i figli dentro la città”; e conclude: “Eppoi si parla di Bruto”. A tal proposito il curatore Gliottone parla di “dramma interiore”; secondo noi resta il fatto che il De Renzis gioisce e batte le mani mentre la sua casa e l'intera città nativa vengono bombardate!
Idealismo o infatuazione?
Il curatore parla di “grande aderenza agli ideali risorgimentali e liberali”; non lo vogliamo mettere in dubbio, ma osiamo azzardare una ipotesi: perché il De Renzis, che pure svolse una intensa attività letteraria, non diede alle stampe il suo Diario? È probabile che quello scritto lo abbia considerato come un errore di gioventù: aveva 25 anni, essendo nato nel gennaio del 1836; per la maggior parte dei giovani che parteciparono alla spedizione dei mille o che comunque s'infiammarono per Vittorio Emanuele, considerando i Borboni come tiranni crudeli, si trattò di una pura infatuazione; i giovani, si sa, sono in genere degli idealisti; è da notare che il De Renzis, che era alfiere del genio, prestava servizio nell'esercito borbonico e il 10 luglio (Garibaldi stava risalendo la penisola per raggiungere Napoli) si congedò assieme al fratello, anch'egli militare, e si recò a Torino per arruolarsi nell'esercito sabaudo (la propaganda antiborbonica aveva prodotto i suoi effetti). Non vogliamo mettere in dubbio i suoi sentimenti liberali e risorgimentali, ma cercare di capire i motivi di quel cambiamento.
Desiderio di elogi
Il De Renzis nutre ideali di grandezza, è un giovane di grandi e belle speranze, cerca un avvenire splendido, una bella carriera, si sente sicuro delle sue doti. Ed è proprio questo, a nostro giudizio, il filo conduttore delle annotazioni del diario. Diciamolo a chiare lettere: egli cerca l'elogio, desiderio che si manifesta in ben 15 note del diario: vedi 18 e 20 ottobre, 19, 26/27 novembre, 4/5, 18, 29 dicembre, 22, 25 (due volte) gennaio, 1, 4, 12, 14, 24 febbraio; ecco dove il De Renzis usa espressamente il termine elogio: 20 ott.: “Poerio nel vedermi mi presenta a molti suoi amici facendomi grandi elogi”; 26/27 nov.: “Il Generale mi fa molti elogi”; 3 dic.: “Il Generale mi fa sempre molti elogi per la mia condotta”; 1 febbr.:”il Principe fa tanti elogi sulla bellezza del lavoro. Cialdini gli dice: Monsignore, (mostrandomi) questi è il Capitano del genio che ha fatto un così bel lavoro. Il Principe mi risponde “Io gliene faccio i più sentiti complimenti” … Tutti quelli del seguito mi stringono la mano e si congratulano meco”; 3 febbr.: “Mancini gli [al Principe] fa la mia storia con un elogio sperticato” (qui il De Renzis si fa meno idealista). Altre volte usa espressioni diverse: 4/5 dic.: “Doise mi promette la medaglia al valor militare per i miei lavori e la mia condotta”; 18 dic.: “ … il Colonnello … mi dice ad alta voce: 'Dove fa caldo si è sicuri di trovare lei” (con riferimento appunto al De Renzis); 29 dic.: “Mi sento intrepido come mai di mia vita” (dove è evidente l'autoesaltazione); 25 gen.: “Tutti dicono che avrò la Croce di Savoia. …I giornali parlano molto di me, finirò per diventare un eroe!” (il punto esclamativo è suo; noi a commento ci aggiungeremmo anche quello interrogativo: !?); 12 febbr.: “Mi sento una gioia immensa di fare qualche cosa di 'éclatant'” (da notare qui l'uso dell'aggettivo francese: un omaggio all'Imperatore Napoleone III, alleato dei Piemontesi!); 14 febbr.: “Il generale Menabrea mi fa i suoi complimenti per la mia batteria”e infine: 24 febbr.: “Riparto per Sessa. Passo la sera festeggiato da tutti”. Altro motivo interessante, analogo a quello della gioia, con relativi battimani, provata davanti a Capua bombardata e distrutta, è quello della esultanza per i bombardamenti in generale che per lui sono uno “spettacolo”: 29 nov.: “Sortita dei Borbonici. Brunetti ferito e molti altri. Spettacolo bellissimo” (non si capisce che cosa ci fosse di bello, anzi “bellissimo” nel vedere molti feriti!; 8 genn.: “Alle 7 di questa mattina … si è cominciato un bombardamento terribile da parte nostra. … Io vado a vedere lo spettacolo dal Monte Conca. … Lo spettacolo è meraviglioso”.
Aspetti di vita quotidiana
Il Diario è comunque un bel documento di vita anche quotidiana mentre si svolge una guerra fratricida: ecco per esempio come trascorrevano il loro tempo i bersaglieri (e con loro anche il Nostro) all'assedio di Gaeta: “Passo quasi tutte le mie notti al Borgo ove gli uffiziali dei Bersaglieri menano la vita piacevolmente. La notte, invece di riposare, si suona, si canta e si balla!” (25 genn.); “Passo la notte al Borgo coi Bersaglieri, essi fanno una mascherata, poi si balla e si canta con accompagnamento di cannoni” (6 febbr.) La Storia ci parla sempre di battaglie, vittorie e sconfitte, trattati di pace, generali che ordinano l'assalto, ecc.; il Diario, più umanamente, ci fa sapere anche che si doveva mangiare: abbiamo riscontrato nel diario tre riferimenti a questo tema, ma si tratta di lauti pranzi dei militari di alto grado (sarebbe stato interessante sapere anche come erano i pranzi dei soldati semplici): “Pranzo a Corte col generale contento di quest'onore” (19 nov.); “Natale. Lo passiamo allegramente. Pranzo sontuoso nel nostro quartier generale”; 13 febbraio, giorno della capitolazione di Gaeta: “Pranzo col generale Villamarina ma beviamo parecchie bottiglie al nostro trionfo”.
Personaggi d'alto rango
Ma non mancano riferimenti ad aspetti di più ampio respiro delle vicende belliche di quei mesi: il 16 novembre il De Renzis annota: “La flotta francese è sempre lì a romperci le scatole. Lord Codrington vien a visitare i nostri lavori che avanzano; viene pure il nipote di John Russell con Arrivabene e passano la notte nell'albergo di Cicerone”: come si vede la vicenda italiana s'inserisce nel contesto europeo; ci sono interessi francesi e soprattutto inglesi; il riferimento al “Lord” ci riporta ad un'altra annotazione, quella del 18 ottobre: “Troviamo nel porto (di Napoli) i volontari inglesi che sbarcano – bella gente!”: bel commento ed apprezzamento del Nostro nei confronti degli inglesi, la cui onnipresenza nella vicenda dell'unità d'Italia nei libri di storia (filo sabaudi) generalmente non viene mai evidenziata.
Il giorno della resa ormai si avvicina: il 10 febbraio il De Renzis annota: “L'Imperatrice Eugenia scrive una lettera alla Regina assediata … La regina è pallida e abbattuta, ma coraggiosa sempre. Essa ha detto: 'Je ne suis engagé pas a rester ici, parce que c'est una vrai boucherie' [traduzione del curatore: 'Non sono obbligata a rimanere qui, perché è una vera macelleria']. La città è un mucchio di rovine, Cialdini manda alla regina una cassetta di dolci” … Qui ci preme sottolineare l'espressione usata da Maria Sofia: “una vera macelleria” ed è chiaro il riferimento al macellaio Cialdini!
Il plebiscito
Tornando ai mesi precedenti, risulta interessante la nota del 19 ottobre: “All'insaputa arriva Michelino [“altro fratello dell'autore anch'egli militare dell'esercito sabaudo” nota del curatore] da Torino con tutti i compagni in permesso pel plebiscito”; è ormai a tutti noto, per merito della più recente storiografia, non asservita al potere, che «i plebisciti furono una farsa. Roba che, se ci fossero stati gli osservatori dell'ONU, finivano dritti dritti davanti al Tribunale dell'Aia. Lo storico Cesare Cantù, non esattamente un filo borbonico, scrisse, riferendosi a quanto accaduto a Napoli: 'Qui il plebiscito giungea fino al ridicolo, poiché oltre a chiamare tutti a votare sopra un soggetto dove la più parte erano incompetenti, senza tampoco accertare l'identità delle persone e fin votando i soldati, si deponevano in urne distinte i SI ed i NO, lo che rendeva manifesto il voto; e fischi e colpi e coltellate a chi lo desse contrario. Un villano gridò: Viva Francesco II! E fu ucciso all'istante» (Paolo Granzotto, Il Giornale, 5 dic. 2007). Ora, per tornare al diario del Nostro, sarebbe interessante sapere chi fossero “tutti i compagni” di Michelino in permesso, che vennero da Torino a votare per il plebiscito. Il 21 ottobre il De Renzis annota: “Votiamo il plebiscito – assenso completo”: sul risultato non c'è affatto da meravigliarsi, considerato come si era svolto!
Alcune sorprese
Una annotazione ci ha sorpresi, quella del 26 ottobre: … “Arrivo la sera a Caiazzo. Il paese è in uno stato miserando, gran parte bruciato, botteghe aperte e senza nessuno (trova riparo in una casa dove) le donne della famiglia raccontano orrori di ciò che han fatto i regi” … A tal proposito ho chiesto lumi all'amico prof. Aldo Cervo di Caiazzo il quale mi ha inviato lo stralcio del Cap. XXXIV dell'opera di Attilio Cattabeni, dal titolo Le giornate del 19 e 21 settembre 1860 a Caiazzo, (presentazione di Alfonso Scirocco, Ristampa a cura del Rotary club Piedimonte Matese, 2007); leggiamolo: Eppure, mostrando dura fronte, ci cimentammo agli insulti ed alle minacce della soldataglia furente, ai fieri modi d'un esercito, che correva in frotta una città vinta, assalendo le case, sfondandone le porte, sbucandovi dentro come belve, e mettendo alla rapina quanto veniva loro a mano, afferrando, minacciando, percotendo uomini e donne con mille enormità con inenarrabili strazi. Il brano dunque conferma quanto si ricava dalla annotazione del De Renzis. Ma il collega Cervo lo accompagna con un suo breve commento: “… spedisco lo stralcio nel quale si riferisce sul comportamento di soldati dell'esercito regio nei confronti della popolazione caiatina. Tieni tuttavia presente che il breve quadro è fornito da Attilio Cattabeni, cugino di Giovan Battista, che capeggiò le truppe garibaldine nella battaglia di Caiazzo, […] È dunque - quella di Attilio - una testimonianza di parte, da prendersi con le molle, probabilmente "gonfiata". La rappresaglia (come in tutte le guerre) ci fu, ma contro quella borghesia, numericamente esigua, che era passata con troppa disinvoltura dalla parte del vincitore”.
Anzi, la nota del prof. Cervo contiene anche un particolare molto interessante circa il comportamento dei borbonici a Caiazzo nei confronti dei garibaldini, che è questa: Giovan Battista, cugino di Attilio, autore dell'opuscolo sulle giornate di Caiazzo, in quella battaglia, essendo rimasto ferito, beneficiò (lo racconta il medesimo Attilio) “del soccorso di un magnanimo generale regio, Matteo Negri, il quale "datogli il braccio lo sostenne lungo la via discendente alla pianura posta al di sotto della città, scortandolo passo passo fin dove stavasi accampata l'ambulanza napolitana". Altra sorpresa ci riserva la nota del 9 febbraio dove il Nostro scrive: …”Prendiamo 300 feriti alla Piazza per umanità” …, umanità che è in netto contrasto con il comportamento del Cialdini il quale, nonostante le trattative in corso per la resa di Gaeta, non aveva voluto sospendere le ostilità e addirittura neanche quando le condizioni della resa erano già state decise (cfr. pag. 3 della introduzione).
Alcune considerazioni sulle note del curatore.
Nota 8: Carlo Poerio, “deluso dalla vita politica, si ritirò concludendo la sua vita in povertà”: si potrebbero approfondire i motivi di tale delusione.
Nota 12: a proposito del generale Della Rocca Morozzo, il curatore usa giustamente l'espressione “invasione del Regno delle Due Sicilie”: la calata dell'esercito sabaudo fu in verità una “invasione” motivata solo dalla sfrenata ambizione (altro che ideale di unità!) di Vittorio Emanuele di impossessarsi delle ricchezze del regno meridionale, per poter ripianare i debiti contratti dalla politica del Cavour nel regno sardo, che per questa stava per dichiarare fallimento!
Infine la nota 14: l'8 novembre 1860 a Napoli “Garibaldi rimise nelle sue [del Re] mani i poteri dittatoriali e rifiutò il Collare dell'Annunziata, il grado di Generale d'Armata, il titolo di Principe di Calatafimi, una cospicua dote per la figlia, un palazzo e la carica di aiutante di campo del re per il suo secondo figlio”. Tutto bene: non metto in dubbio nulla, Garibaldi ci fa una bellissima figura e ne esce come un grande eroe che rifiuta ogni onore, ricchezze e potere, e se ne parte per la sua Caprera senza una lira.
È così che si è costruita l'immagine di Garibaldi, eroe dei due mondi, con l'aureola sulla testa, facendone un nuovo Santo laico. In verità, però, la figura di Garibaldi presenta molti lati non del tutto positivi che certa storiografia ha messo in ombra o completamente eliminati, per poter creare il mito; la storiografia più recente ne ha messo in evidenza parecchi riguardanti sia il periodo pre- che post-unitario. Si può citare per esempio la vicenda che vien fuori dalle carte dell'Archivio del Banco di Napoli, da cui risulta che, volendo uno dei figli di Garibaldi intraprendere una certa attività, chiese un prestito in denaro al detto Banco, ma questo glielo concesse solo quando il famoso genitore se ne rese garante; passarono diversi anni, ma il figliolo non restituiva il denaro datogli in prestito; il Banco si rivolse al genitore garante, ma don Peppino rispose al richiedente più o meno con queste parole: “Come vi permettete di disturbarmi, chiedendomi di restituirvi quelle migliaia di lire date in prestito a mio figlio! Vi siete dimenticati che vi ho liberati dalla tirannide dei Borboni?”. Probabilmente non si sarà espresso così; ma sta di fatto che quella somma non fu restituita né dal padre né dal figlio. Episodi come questo (ma ce ne sono tanti altri ben più gravi) avrebbero appannato l'alone del mitico Garibaldi; perciò la storiografia ufficiale li ignorò.
Il proclama di Cialdini
Il 17 febbraio il Diario registra: “Ordine del giorno bellissimo di Cialdini. La pioggia impedisce la messa funebre” e il giorno appresso: “Messa funebre sullo spalto. Spettacolo commovente”. Quale fosse il contenuto dell' “ordine del giorno” il De Renzis non lo dice. Ma riteniamo che si trattasse di un “proclama” indirizzato ai soldati. Spulciando qualche tempo fa nelle carte della biblioteca della famiglia De Paris a Partignano di Pignataro Maggiore, trovai vari fogli riguardanti la vita militare dell'800: due lettere datate 1859, un foglietto con alcuni dati sull'assedio di Gaeta, un proclama di Cialdini, ed altre cose riguardanti la famiglia De Paris.
Colgo l'occasione per trascrivere qui di seguito quel proclama che reca la data proprio del 17 febbraio 1861. Credo che a questo il De Renzis si volesse riferire nel suo diario.
Soldati!
Gaeta è caduta. Il vessillo italiano e la vittrice Croce di Savoja sventolano sulla Torre d'Orlando. Quanto io presagiva il 13 dello scorso gennajo voi compieste il 13 del corrente mese. Chi comanda soldati quali voi siete può farsi sicuramente profeta di vittorie.
Voi riduceste in 90 giorni una piazza celebre per sostenuti assedi ed accresciute difese; una piazza che sul principio del secolo seppe resistere per quasi 6 mesi ai primi soldati d'Europa.
La storia dirà le fatiche e disagi che patiste, l'abnegazione, la costanza, ed il valore che dimostraste: la storia narrerà gli immensi lavori da voi eseguiti in sì breve tempo.
Il Re e la Patria applaudono al vostro trionfo; il Re e la Patria vi ringraziano.
Soldati!
Noi combattemmo contro italiani, e fu questo necessario ma doloroso ufficio; per ciò non potrei invitarvi a dimostrazioni di gioia, non potrei invitarvi agli insultanti tripudii del vincitore.
Stimo più degno di voi e di me il radunarvi quest'oggi sull'istmo sotto le mura di Gaeta, dove verrà celebrata una gran messa funebre. Là pregheremo pace ai prodi, che durante questo memorabile assedio perirono combattendo tanto nelle nostre linee, quanto sui baluardi nemici. La morte copre di un mesto velo le discordie umane e gli estinti sono tutti eguali agli occhi dei generosi.
Le ire nostre d'altronde non sanno sopravvivere alla pugna.
Il soldato di Vittorio Emanuele combatte e perdona.
Firmato: Cialdini.
Se il De Renzis allude a questo proclama, ha ben ragione di definirlo “bellissimo”; ed ha ragione di commuoversi alla celebrazione della messa funebre del giorno 18 febbraio. Noi però ci permettiamo di sottolineare il netto contrasto tra le nobili parole del proclama e i terribili fatti accaduti durante le ultime ore della resa di Gaeta, per non parlare poi della altrettanto terribile sorte toccata ai prigionieri dell'esercito napoletano sconfitto, fatti morire di stenti e di freddo nei lager di Fenestrelle e di altre carceri dell'alta Italia, oppure degli ignobili progetti di alcuni ministri del novello governo italiano di internare i prigionieri napoletani, che non volevano convertirsi, rimanendo ancora fedeli al Borbone, in squallide regioni del Perù.
I caduti a Gaeta
Credo sia anche utile pubblicare i dati sui caduti di Gaeta:
N° dei capitolati: Uffiziali n° 920; Soldati 10.600, dei quali 800 feriti o ammalati.
N° dei cannoni esistenti in Gaeta: 710.
L'assedio durò 93 giorni, dei quali gli ultimi 25 anche dal mare.
N° dei colpi sparati dagli assedianti: 56.727; dagli assediati: 35.250.
N° dei morti e feriti assedianti: 367; degli assediati: 1079.
22 gennaio giorno del massimo fuoco: dagli assediati n° 10.679; dagli assedianti: 13.263; dalla squadra assediante: 3.000. (totale) 26.942.
I due documenti non recano alcuna firma. E riesce difficile appurare chi li abbia scritti: potrebbe essere stato Oliviero De Paris che, nato nel 1843, all'epoca aveva 17-18 anni; si sarebbe dato poi alla vita militare diventando Maggiore Medico, oppure qualcuno dei suoi fratelli (Bartolomeo nato nel 1837, Alessandro nel 1840), se non addirittura il padre Ignazio, di cui però il quadro genealogico della famiglia non ci fornisce l'anno di morte.

Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 9 Settembre)