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...Fratelli d’Italia! (nel 150° anniv. dell'Incontro di Teano)

 

La sera di domenica 24 ottobre scorso nella chiesa dell'A.G.P. di Teano è stato presentato il Numero unico sul 150° dell'Incontro in bellissima veste editoriale e grande formato, ricco di illustrazioni, curato dall'Associazione “Erchemperto” di cui è Presidente Pasquale Giorgio, coredattore del mensile “Il Sidicino”, che i cultori di storia ringraziano per aver promosso una iniziativa culturale di alto spessore. Il volume raccoglie una serie di interventi firmati da validissimi studiosi, arricchito da oltre 50 foto che ci fanno conoscere vari documenti manoscritti ed ammirare aspetti storici, paesaggistici e artistici della città di Teano. Ma questa pubblicazione si segnala per una sua particolarità: mai prima d'ora s'era visto un libro che raccogliesse sul tema dell'Unità anche la voce dei “vinti”. E di ciò va dato merito al Comitato di redazione. Partiamo dal titolo che si richiama al noto “Inno di Mameli”: un po' strano che nel testo non se ne parli; ma forse è meglio così; altrimenti sarebbe venuto fuori che c'è qualche dubbio sulla sua paternità (secondo Aldo Mola, lo avrebbe composto un certo Atanasio Canata, padre scolopio, insegnante nel collegio frequentato dal giovane Goffredo) e sulla condotta del giovane Mameli e sulla sua morte si scopriva che era uno scapestrato e una figura che non ebbe nulla di eroico. Chi volesse approfondire la questione può leggere un mio articolo su DEA (Anno II, n. 35, pag. 3). Ma veniamo alla rassegna dei vari interventi.
Il Comitato di redazione, in apertura del numero unico, pone a confronto le celebrazioni in pompa magna del 1960 con quelle di oggi che si concretizzano sul piano culturale in un incontro tra studiosi e pensatori aperti a visioni nuove o perlomeno diverse; ma a fronte degli intenti di evitare la retorica, si scelgono poco felicemente citazioni introduttive dal solito Cesare Abba e dal vecchio N. Rodolico. La prefazione del Sindaco Picierno sottolinea come il secolo e mezzo già trascorso dal 1860 non è bastato a determinare la unione delle coscienze degli Italiani. Nella Premessa Gliottone lamenta che della “nascita della nostra Italia ci ricordiamo ogni mezzo secolo… ed anche senza eccessivo entusiasmo” concludendo amaramente che “forse occorre ancora fare gli Italiani”. L'intento del libro sta nel cercare una verifica all'attualità dello spirito unitario, se mai esistito. Le pagine che seguono riprendono l'eterno problema del “vero” luogo dell'incontro e si ribadisce che “l'incontro deve chiamarsi: di Teano – come figura in quasi tutti i libri di storia”. Teano, Taverna Catena a Caianello, Caiazzo, etc. dove Garibaldi e il Re si siano realmente incontrati è una questione di scarsa o nessuna importanza; piuttosto si dovrebbe chiarire se quello fu veramente un “incontro” o invece uno “scontro” (altro che stretta di mano e saluto “immortale” come lo definiva Abba!). Interessante l'intervento del prof. Perna il quale, pur con il linguaggio della tradizione storiografica ufficiale secondo la quale l'impresa garibaldina fu “straordinaria”, il Sud d'Italia doveva essere liberato dalla “dominazione borbonica”, ha il coraggio e l'onestà di riportare l'ormai nota lettera del 1868 di Garibaldi alla Cairoli (la sua diffusione è certamente merito della recente storiografia “revisionista”; se gli storici sostenitori della positività del Risorgimento la conoscevano, perché non l'hanno fatta conoscere?), lettera che è una esplicita condanna della politica praticata dal nuovo regno nei confronti dei meridionali. Anche il Perna è d'accordo sul fatto che il Sud fu trattato come una colonia (interessante a tal proposito la citazione in nota, dei “Terroni” di Aprile e di un'opera di Zitara, scrittori “revisionisti”). E fa bene a far notare come il Sud, spremuto finora come un limone, ora che non è più funzionale agli interessi economici del Nord, lo si vuole buttar via. Va pertanto accolto il suo auspicio di una nuova alleanza tra Nord e Sud per rilanciare l'unità delle popolazioni italiane nel rispetto delle autonomie e delle diversità culturali. Le pagine tratte dal libro di A. Petacco (Il Regno del Nord) sono significative per capire che l'Unità d'Italia avvenne per caso per una fortuita congiuntura di circostanze che ne favorirono la realizzazione: Cavour non pensava affatto ad una penisola unita, bensì ad un ingrandimento del piccolo Piemonte. Un po' di delusione ho provato leggendo l'intervento del prof. torinese (sottolineo “torinese”) G. Pasquino che ha semplicemente glorificato il suo Piemonte “governato – a suo dire – in maniera eccellente”, mentre il Regno dei Borboni (era) privo di qualsiasi appoggio popolare” ed ha avuto anche il coraggio di parlare di referendum popolari (che furono invece una vergogna!); ci è sembrato chiaramente di parte quando ha affermato che tra le diverse tradizioni e culture italiane solo quella piemontese sabauda lo era effettivamente. Accettabili però le sue conclusioni: il divario tra Nord e Sud è cresciuto. E poi lo Stato italiano non ha migliorato la sua burocrazia. Rimane un organismo pesante e poco efficace. E qui è da ricordare che questa burocrazia ci è stata regalata proprio dai Piemontesi; e il divario è la conseguenza della politica dei governi italiani seguita in 150 anni di unità, a sostegno del Nord industriale e a danno (volontario, non casuale) del Sud colonia (si legga “La provincia subordinata” di L. De Rosa, Laterza, 2004). Il prof. Compagna fa un discorso di storiografia, cominciando a riportare il ben noto giudizio di Gramsci secondo il quale “lo Stato italiano ha messo a fuoco e fiamme l'Italia meridionale” etc.; continua poi affermando che il processo al Risorgimento iniziò da subito e quindi non ci sono scoperte recenti tenute nascoste dalla storiografia ufficiale; sull'esempio del Presidente Napolitano, invita a prendere le distanze dalla storiografia gramsciana a favore degli studi sul Risorgimento e sull'Unità nazionale di R. Romeo. Significativa la sua conclusione partigiana sui luoghi comuni antirisorgimentali di varia provenienza (ultimi nostalgici asburgici, borbonici e neo-sanfedisti). Il discorso del Compagna è veramente serio e decisivo: quelli che lui chiama luoghi comuni sono verità o menzogne? Le cose dette da Gramsci sono forse bugie? Il brigantaggio non fu una guerra civile tra italiani? La repressione operata dai piemontesi non fu forse precorritrice delle operazioni delle SS tedesche? Bronte, Pontelandolfo e Casalduni insieme con tanti altri paesi meridionali rasi al suolo sono forse delle favole inventate dai neo-borbonici? Perché i manuali scolastici li ignorano totalmente? Circa gli interventi di Corradini che tratta del Plebiscito del 21 ottobre 1860 e di Riccardi sul tradimento dei generali napoletani che, corrotti dall'oro inglese, contribuirono in modo decisivo al crollo di un Regno che contava sette secoli di vita, mi limito alla sola citazione. Il prof. Bevilacqua lamenta preoccupato che oggi l'unità è messa in discussione in modo radicale dall'attuale squilibrio tra le due Italie e per come quell'unità fu realizzata. Lo storico ripercorre a grandi tappe la storia unitaria, sottolineando tra l'altro (e mi sembra una affermazione nuova rispetto alla vulgata) come la prima guerra mondiale accrebbe il senso di sfiducia dei meridionali nei confronti di uno Stato che pretendeva dai contadini perfino il sacrificio della vita, senza aver mai dato ad essi il benché minimo beneficio o vantaggio. Oggi – prosegue lo storico – la situazione appare rovesciata. La minaccia all'unità del Paese viene dal Nord, dalla Lega che, proponendo il federalismo fiscale, ha trovato certamente una delle ragioni di forza nella cattiva condotta e nella irresponsabilità di tante amministrazioni pubbliche del Sud. Ma lo studioso inizia qui un interessante discorso sull'impegno a non dover distinguere gli Italiani di un Sud povero da quelli di un Nord ricco, perché alla ricchezza del Nord hanno contribuito in modo determinante il lavoro e il sacrificio dei meridionali. E poi la ricchezza di un paese non è solo quella materiale delle merci e delle infrastrutture. “Come si fa a separare il reddito dalla cultura, la produzione dalla scienza, il benessere di un popolo dalla qualità dei suoi artisti e dei suoi intellettuali?” E allora dobbiamo elencare questi ultimi regione per regione? D'altra parte le mitologie etniche inventate dalla Lega sono ridicole – afferma l'Autore – infatti “non esiste in Europa un Paese che abbia subìto tante contaminazioni genetiche e culturali quanto l'Italia”. L'auspicio è che lo Stato italiano sappia conciliare le molteplici esperienze locali e le sue mille autonomie. Queste le idee essenziali del saggio “Verità e Riconciliazione: per una memoria condivisa del Risorgimento”, che approviamo in pieno purché si faccia qualcosa di concreto, bandendo le solite promesse che durano da 150 anni. Si diano segnali chiari: per es., per quanto riguarda il nostro Meridione, nella toponomastica si dia spazio a fatti e personaggi, degni di ricordo, come Ferdinando II e Francesco II; si potrebbe innalzare a Capua un monumento ai soldati borbonici caduti nella battaglia del Volturno; nei libri di scuola si dovrebbero evidenziare gli aspetti positivi, che pure ci furono, della dinastia dei Borboni. Ma soprattutto si avvii a soluzione la questione meridionale. Merita un cenno il saggio conclusivo di M. Amendola su Risorgimento e cinematografia anche per sottolineare una strana ma significativa omissione: all'elenco completo dei film manca quello di Pasquale Squitieri, “… e li chiamarono briganti”.
Per concludere, un plauso all'iniziativa che per la prima volta vede in un libro che celebra l'Unità la presenza di storici che danno voce ai vinti.

Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 12 Dicembre)