L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Antonio Martone
 
 

Frammenti d'archivio:

Un inedito pamphlet contro il Vescovo Licata
 
Dopo le aspre polemiche originate dall'unione dei Seminari di Calvi e di Teano nell'unico Seminario Interdiocesano, ci fu chi giunse a vedere nella tragica morte del Vescovo Licata una giusta punizione. Círcolò all'epoca nella diocesi di Calvi un sorprendente componimento dattiloscritto. Il Prof Martone, venuto in possesso di una copia di quel pamphlet, ce lo presenta in questo articolo non senza evidenziare che Calogero Licata fu un vescovo dall'agire deciso, di forte personalità, ma fu molto stimato e rimpianto in diocesi e fuori.
 

A fine anno siamo sommersi da una valanga di calendari di ogni tipo: quello del calendario è diventato ormai un fenomeno editoriale di vasta portata e ce n'è per tutti i gusti, parecchi assai discutibili; bisogna comunque riconoscere che ce ne sono anche di intelligenti, che contribuiscono egregiamente alla conoscenza storica e alla diffusione della cultura in generale.
Tra questi si segnala quello edito da “il Sidicino” per il 2007: un “pretesto” naturalmente, per far conoscere agli odierni Sidicini episodi e figure della loro storia, anche se necessariamente per sommi capi.
Scorrendo le immagini mese per mese, sono rimasto colpito dalla foto del 25 agosto 1924, che riprende il corteo funebre del vescovo Licata, foto che ha richiamato alla mia memoria un inedito pamphlet che subito sono andato a ricercare tra le carte vecchie del mio archivio.
La ricerca non è stata lunga ed ecco venir fuori "Il Dispaccio in ordine alla morte disgraziata del Vescovo Calogero LICATA”: si tratta di un poemetto in 244 endecasillabi, suddiviso in quattro parti: la prima, di introduzione, si può considerare come il “proemio” (sono i primi 22 versi disposti a rima baciata; i vss 9-10 sono tronchi); la seconda e intitolata “Il rapporto”, costituito da 19 sestine con rima ABABCC; la terza, di 11 sestine, è la “Risposta del padre Eterno”; l'ultima s'intitola "Risposta di Pluto" (7 sestine).
Il dattiloscritto in mio possesso è una copia consegnatami diversi anni fa da un amico: Tonino De Rosa di Camigliano che si dilettava, anche lui come me, di storia locale.
Il poemetto fu composto quasi certamente appena dopo la disgrazia, quindi nello stesso anno 1924 e reca la firma '“R. Martone”, in cui quella “R” pare sia l'iniziale di Rodosindo che, riferiscono le persone anziane addette ai lavori, era un discreto letterato e il testo lo conferma per la tecnica precisa della strofa, del verso e della rima.
Ciò che colpisce, leggendo questo poemetto, è il giudizio estremamente e nettamente negativo espresso dall'Autore sul Vescovo da poco defunto... e dire che i Latini suggerivano: "parce sepulto”! E invece don Rodosindo gode della disgrazia e s'intuisce che questa per lui è proprio quel che don Calogero si è meritato per quanto ha fatto a danno dei Caleni.
Le espressioni usate dal Nostro nei riguardi di Monsignore sono assai forti: cor ferino, un asino cocciuto, demente nato, buffone, boria e vanagloria... il resto è opportuno non riferirlo!
Interessante ci sembra la 12” sestina del “Rapporto” dove ci informa dell'uso di portare in processione per il paese (si riferisce a quella di San Grigio patrono di Pignataro) le statue dei santi delle nostre chiese; me “quel buffone”... tolse l'uso. Altri ci paiono significativi, quelli relativi a “Padre Eugenio” (Bovenzi, di Pignataro): “celebre oratore" che "si fece in tutt'ltalia sempre onore"! Ma l'Autore si lamenta che il Vescovo definisca quell'oratore un buffone “e disse che era degno del proscenio".
Nella risposta del padre Eterno l'Autore immagina che Dio convochi il Consiglio dei Santi per ascoltarne il parere e le eventuali offese da essi ricevute dal Monsignore: in particolare fanno sentire la loro voce di sdegno S. Casto (patrono della Diocesi Calena), S. Paride (patrono di quella sidicina) e S. Gorgio (patrono di Pignataro, sede dell'episcopio caleno) i quali dichiarano di essere stati a tal punto “torturati” e “vilipesi” dal Vescovo Licata che i fedeli dubitano ormai e non credono più nella loro santità. San Casto in particolare si lamenta che “per trecento mila lire / o men, volea alienare il Seminario / con
tutto il Vescovado ed altro a Calvi"; e così conclude: “ma Tu il vietasti; egli crepò: siam salvi!". Insomma Mons. Licata non merita di essere accolto in Paradiso, per cui viene consegnato a Pluto, il quale lo assegna ora ad un girone ora ad un altro, perché in uno Monsignore lanciava insulti ad un camerata anziano, in un altro "s'imbatté nel causidico Villan" [don Florindo, arciprete di Pignataro morto nel 1923], e poi ancora a quello degli iracondi, infine dei traditori. Ed ecco la sestina conclusiva (è Pluto che si rivolge a Dio):
Intanto, or ti chieggo, per favore,
di cancellar di lui ogni memoria,
onde far si che altri, con orrore,
rifugga d'imitar di lui la boria;
perché l'ardir del perfido Prelato
traviò perfin quaggiù ogni dannato
.
Ma perché tanta acredine nei riguardi di un Vescovo, per di più da poco defunto e in modo disgraziato?
La ragione sta nel fatto che il Licata, "convinto che l'esistenza di due seminari, uno a Calvi e l'altro a Teano, era un danno economico ed educativo, sacrificò il seminario di Visciano, che era costato tanti sacrifici al Vescovo Giordano. Ebbe forti opposizioni e dispiaceri, ma non si arrestò" (A. De Monaco, Glorie nostre, D'Amico, Teano, 1957, p. 240). Va inoltre ricordato che il Vescovo aveva abbandonato anche la residenza semestrale dell'Episcopio di Pignataro (che rappresentava quello caleno). Nel 1921 i due seminari furono uniti con sede a Teano e il Vescovo pose tanto impegno per migliorare i locali che vi sacrificò la vita. “Il 25 agosto 1924 cadde da una impalcatura non ancora sistemata bene e morì sull'istante col cranio fratturato e con le mani giunte" (A. De Monaco, op. cit., ibidem).
Questa operazione del "seminario interdiocesano” dovette suscitare forti opposizioni nei caleni che per questo avevano come suol dirsi il dente avvelenato; non desta perciò molta meraviglia la reazione alla sua tragica fine del letterato pignatarese il quale ricordava nel suo poemetto come il Licata avesse soppresso l'uso della processione del patrono San Giorgio, portato per le vie del paese con tutte le statue degli altri santi: Antonio, Giuseppe, Rocco, Anna, ecc.
Infatti, a tal proposito, il Vescovo Licata aveva scritto una interessante “Lettera pastorale" contro gli abusi introdotti nella celebrazione delle feste religiose che “ebbe una vasta eco in tutta Italia e quasi tutti i Vescovi del Mezzogiomo adottarono i suoi provvedimenti. Espulsi dalle chiese i cosi detti apparatori, veri vandali nella casa di Dio, molte chiese furono restaurate ed ornate” (Op. cit., p. 241).
È interessante poi ricordare che Mons. Licata stava preparando un'altra lettera pastorale sull'insegnamento catechistico “che dava norme precise e condannava il pessimo sistema di insegnare le formule a memoria senza una conveniente spiegazione”.
Mons. Calogero Licata ebbe certamente un “temperamento esuberante, energico” e “con energia stroncò alcuni scandali che da troppo tempo erano stati tollerati” (Op. cit., p. 240). Si spiega così il livore manifestato dal letterato pignatarese nel suo Dispaccio, fatto circolare tra gli amici della diocesi calena e giunto. alcuni anni addietro, anche nelle nostre mani.

Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno IV 2007 - n. 2 Febbraio)

 
Mons. Calogero Licatra