FEDERICO MARAZZI: Professore di Archeologia Medioevale nell'Università Suor Orsola Benincasa
 
 
L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Federico Marazzi
 
 

La Città e il suo Tempio

 
A conclusione delle celebrazioni per il cinquantesimo della ricostruzione della cattedrale, abbiamo il privilegio di pubblicare questo scritto dell'illustre Prof. Federico Marazzi, direttore degli imponenti scavi del complesso monastico di S. Vincenzo al Volturno, sul volume “La cattedrale di Teano” di G. De Monaco e G. Zarone edito da Di Mauro in occasione del giubileo del tempio con foto di G. Coppola.
 

Alle ore 11 del 6 ottobre 1943, una furibonda sequenza di tre bombardamenti aerei alleati riduceva in rovine buona pane del centro storico di Teano. La Cattedrale, insieme agli edifici circostanti, ebbe forse la peggior sorte nella circostanza: come testimoniano le fotografie dell'epoca, ben poco rimaneva in piedi dell'antico edificio, carico di quasi nove secoli. Lo strazio di questo amaro spettacolo portò in breve tempo a morte il vescovo della città, monsignor Tamburini, che non aveva voluto abbandonare la sua sede, pur nella drammatica successione di eventi che videro la città risucchiata nei tragici eventi del fronte di Cassino.
All'indomani della guerra, si avviò il processo di ricostruzione che, nell'agosto del 1957, portò il tempio cittadino a risorgere dalle sue ceneri e a tornare nel pieno delle sue funzioni.
Il recupero della cattedrale non costituì, come avvenne per Montecassino, un ripristino del “dov'era e com'era”, ma fu il frutto di una rilettura delle sue antiche forme, da parte dell'architetto Roberto Pane, all'interno della quale non erano estranee suggestioni contemporanee, leggibili in particolare nella facciata, nelle absidi e soprattutto nel cappellone posto accanto alla navata sinistra.
Nonostante i danni e le trasformazioni subite, la cattedrale di Teano rimane uno degli episodi più rilevanti della grande rinascita del romanico in Campania, scrigno di tesori d'arte anche delle epoche successive e di alcune, preziose reliquie dell'età longobarda. Giulio De Monaco e Guido Zarone hanno ricostruito questa vicenda in un libro, appena apparso per i tipi dell'editore Di Mauro. Si tratta di molto di più di una guida: è piuttosto un'ampia strenna su tutti gli aspetti storici, artistici e memorialistici relativi alla vita dell'edificio e al suo rapporto con la città. In particolare, l'ampio corredo fotografico svolge non solo un degno accompagnamento al testo, ma rappresenta anche un prezioso momento di documentazione del patrimonio che il tempio custodisce. Va detto che gli autori hanno operato con grande coerenza in questa direzione, permettendo di percepire lo spessore storico delle varie epoche.
Naturalmente, l'edificio romanico svolge la “parte del leone” nell'economia generale dell'opera. Benché martoriato dalle distruzioni belliche, l'edificio - anche grazie alla sagacia dell'intervento di Pane - permette ancora di leggere con chiarezza gli intenti progettuali dei maestri di età romanica. Essi operarono con un mix di rigoroso richiamo alla tradizione architettonica della basilica cristiana e di grande creatività, tipico della cultura artistica campana di questo periodo. Il concetto di aula basilicale cristiana, nato in età tardoantica, aveva sedimentato in Campania attraverso secoli di fervore costruttivo, in particolare nell'ultima età longobarda (fra 900 e 1050), quando Capua costituì la vera capitale del principato beneventano e fu centro vivacissimo di committenza artistica. Purtroppo di quest'epoca sopravvive poco, anche in virtù di quanto avvenne subito dopo. Ma la fioritura del pieno romanico campano non può essere comprensibile se non si tiene conto che essa non avvenne ex nihilo, bensi su un solido retroterra. Oltre alle chiese capuane, i recenti ritrovamenti archeologici di San Vincenzo al Volturno e le ipotesi formulate sull'abbaziale di Montecassino nei primi decenni deIl'XI secolo, mostrano infatti con chiarezza che esiste un ben evidente fil rouge tra le due epoche. La stessa abbaziale cassinese di Desiderio, realizzata a cavallo fra terzo e ultimo quarto dell'XI secolo, considerata la capostipite - insieme al duomo di Salerno dell'arcivescovo Alfano - del grande romanico
campano è, a ben vedere, il frutto di una committenza guidata da personaggi appartenenti al vecchio milieu aristocratico longobardo.
Proprio a Teano, questa fase storica è di difficile lettura nella cattedrale, che non serba nulla dell'edificio originario, la cui stessa localizzazione (sotto il “cappellone”) è oggetto di discussione, come De Monaco e Zarone non mancano di sottolineare. I preziosi resti di arredi scultorei e il piccolo ma importantissimo corpus di epigrafi altomedievali custodite nelle cripte dell'attuale chiesa costituiscono un pallido ma significativo accenno alla rilevanza architettonica dell'edificio scomparso. Ma d'altra parte, la città non è priva di tracce anteriori alla rinnovata cattedrale, se consideriamo che la chiesa cassinese di San Benedetto e la stessa chiesa di San Paride ad fontem la precedono cronologicamente, sia pure di poco.
Ma il periodo fra gli ultimi decenni dell'XI secolo e tutto il XII (in particolare) rappresenta per la nostra Regione - ed in particolare per la sua porzione settentrionale - un vero e proprio exploit di cantieri, che coinvolge tanto l'architettura, quanto le arti plastiche e pittoriche.
Nell'immediato circondario di Teano restano ancora, a memoria di questo fortunato periodo, le cattedrali di Sessa, Carinola, Caserta Vecchia, Foro Claudio e Calvi e, seppure solo per alcune parti, quelle di Gaeta, di Venafro e di Alife e la Santa Maria della Libera di Aquino.
Questa stagione nasce e si consolida all'insegna del dinamismo politico delle nuove aristocrazie normanne e del potere vescovile, ma anche frutto di una breve stagione di crescita collettiva delle comunità urbane, che nel sud non avrebbe peraltro goduto delle fortune e degli sviluppi di altre aree d'Italia.
Il poco che resta in situ nella cattedrale teanese dell'arredo della romanica, come ad esempio la decorazione dell'arco trionfale e le parti originarie fanno naturalmente rimpiangere quanto è scomparso nei secoli: e penso soprattutto alla decorazione pittorica parietale.
La storia della nostra chiesa non si conclude però nel XII secolo: gli autori si soffermano giustamente su alcuni veri e propri capolavori custoditi dalle antiche mura, come ad esempio il crocifisso trecentesco di Roberto Oderisi, pittore cresciuto nel raffinato ambiente napoletano che aveva visto all'opera Giotto e il singolare opus del coro ligneo del pieno XVI secolo, nonché infine l'annesso costituito dal cappellone di San Paride - non gratificato dagli ultimi interventi di tinteggiatura - che conserva tra l'altro tre preziose e celebri tele di Francesco De Mura. Queste ultime costituiscono un episodio non secondario, come giustamente pongono in rilevo gli autori, dell'irradiazione di committenza e di modi artistici direttamente legati alla capitale del Regno.
Il libro, benché non esaurisea certo tutti gli spunti possibili di approfondimento che un edificio così ricco di memorie può suggerire, è tuttavia un esempio efficace di valorizzazione di un patrimonio simbolo di un'intera comunità.
Non molte città campane possono vantare un'opera di riferimento costruita con analoga sistematicità, dovuta ad autori locali che, con il loro lavoro, omaggiano oltre che il proprio passato, anche la vita presente della loro comunità e lanciano la volata alla sensibilità ed all'amor civico delle future generazioni.

Federico Marazzi
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 8 Agosto)