L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Costantino Lauro
 
 

Il colera nella Diocesi di Teano nell'anno di grazia 1837

(I parte)

Questo lavoro è tratto da una ricerca sul campo che, all'epoca, mi costò alcuni mesi di andirivieni tra le parrocchie della diocesi di Teano, aiutato in ciò, e il suo aiuto mi fu indispensabile, dall'amico Carmine Razzino, il cui ricordo e il rimpianto della sua scomparsa sono sempre vivi in me.

L'ostacolo maggiore di ogni ricerca è la necessità di trovare e poi sfruttare documenti che, oltre ad essere suscettibili di analisi quantitativa, siano abbastanza complessi da rendere conto della varietà delle strutture e delle condizioni professionali, nonché dei modi di vita dei vari gruppi.
In effetti tutto è collegato. Ci troviamo così di fronte all'ostacolo maggiore di ogni ricerca: la distruzione, il difficile reperimento o l'insufficienza dei documenti indispensabili a dare il volto ad una realtà lontana e ad individuare i rapporti di causa-effetto.
La principale fonte per la ricostruzione delle vicende demografiche della zona oggetto della ricerca è costituita dai registri parrocchiali.
Purtroppo, a parte la distruzione di alcuni di essi e le lacune che possono riscontrarsi in quelli conservati, esiste il problema della mancanza dei registri dei morti di alcune parrocchie, della registrazione dei cosiddetti “morticelli”, vale a dire dei bambini appena nati morti o morti dopo poco tempo. Questa lacuna potrebbe falsare la ricerca se non se ne tenesse in debito conto.
Il nostro studio prende in esame alcune epidemie sviluppatesi all'interno di una diocesi di Terra di Lavoro, cioè quella di Teano.
La diocesi di Teano, città vescovile, suffraganea di Capua, comprendeva, ai primi del XIX secolo, le seguenti terre: Roccaromana, Statigliano Galluccio, Conca, Caspoli, Cammino, Mignano, Presenzano, Tora, Marzano, Marzanello, Caianello, Riardo, Pietramelara, Sanfelice, Pietravairano, Vairano.
La descrizione che ne fa il Giustiniani (L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, p. 146, Napoli, 1815) mostra chiaramente che ci troviamo di fronte ad un territorio a prevalente coltura granaria, con tratti collinosi coltivati a viti ed ampie “piantare di ulivi e querce”, insomma ad una economia esclusivamente agricola. Agli abitanti potrebbero adattarsi le pagine che il De Renzi (S. De Renzi,Topografia e statistica medica della Città di Napoli con alcune considerazioni sul regno intero ossia Guida medica per la Città di Napoli e pel Regno,Tipografia del Filiatre, Napoli 1838, pp. 134 e segg.) scrive sugli abitanti del Regno “Riguardo al morale, con molta ingiustizia s'incolpano questi abitanti di una certa infingardaggine. In generale attivi e laboriosi, previggenti, essi hanno un'attitudine ad ogni genere d'intrapresa. Il più vile artigiano,come il più dotto professore, porta nelle sue operazioni una specie di orgoglio e di compiacenza che spinge a disputare la preferenza… La classe del volgo e de' contadini è però molto rozza misera ed improduttiva, sebbene non manchi di perspicacia e di attività”.
E' difficile stabilire il numero degli abitanti della diocesi perché gli stati di anime delle varie parrocchie, che avrebbero potuto permettere una ricostruzione abbastanza fedele della popolazione, sono andati nella maggior parte de casi perduti. Ci soccorre, per un verso, per il periodo antecedente il sec. XIX, lo studio di alcune variazioni avvenute all'interno di alcune parrocchie che indicano chiaramente una forte spinta demografica agli inizi del '600. Diversi casali della diocesi, con l'eccezione di quelli di Teano, dipendevano dalle parrocchie dei centri maggiori. Con l'espandersi della popolazione rurale il monopolio delle funzioni curate assegnate alle varie collegiate sembra definitivamente perduto con la costituzione di nuove chiese.
Per Teano possiamo, inoltre, con una certa precisione, conoscere, non solamente l'entità della popolazione della città e dei suoi casali, ma anche la sua composizione attraverso lo studio del Catasto Onciario, portato a termine nel periodo 1755-56 e conservato nell'Archivio Comunale.
Da esso appare chiara la composizione prevalentemente agricola della società, con una percentuale del 64,60% di lavoratori di campagna.

Veniamo adesso a quello che costituisce l'oggetto principale di questa ricerca, cioè il colera del 1837, che colpì, in maniera violenta il Regno delle Due Sicilie a partire dal 1836.
A corollario di questo lavoro ho tentato di accertare se gli effetti di questa calamità, allora ancora sconosciuta, sulla popolazione della diocesi, potessero essere paragonati agli effetti altrettanto e forse maggiormente devastanti, di un'altra epidemia quale fu la peste del 1656 e a quelli, poco conosciuti nelle zone periferiche del Regno, della carestia che colpì Napoli e vaste parti del Regno negli anni 1763/64, accompagnata spesso da epidemie che produssero vuoti terribili nella popolazione.
E' necessario, a questo punto, fare un breve, per quanto possibile, accenno su questa malattia che le fonti contemporanee denominano “cholera morbus”. Quando il colera cominciò a penetrare nei paesi europei, espandendosi con rapidità sorprendente fino a toccare i paesi dell'area mediterranea, il timore di questo sconosciuto flagello fece adottare ai vari governi italiani i provvedimenti che maggiormente si ritenevano atti ad evitare il diffondersi della malattia, compito questo abbastanza arduo in quanto non si conosceva l'etiologia della malattia e quindi rimaneva inspiegabile la sua rapida diffusione. La questione essenziale era quella di comprendere se si trattava di una malattia contagiosa od epidemica, cosa certamente non facile con le cognizioni mediche dell'epoca, per cui tale quesito rimase insoluto. L'unica certezza era che la malattia seguiva le vie del commercio e giunta in un posto si propagava rapidamente dapprima in un'area ben limitata espandendosi poi, con virulenza, in tutte le zone circostanti. Ciò poteva avallare la tesi del contagio, ma, tuttavia, vi erano anche casi che contraddicevano in maniera lampante tale tesi. Infatti,come era possibile che una persona che stava a contatto con un coleroso, non si ammalasse? Per i fautori dell'epidemia il colera era certamente diffusivo, anzi epidemico, in quanto “causato da miasmi che operavano alla maniera dei veleni e si generavano nell'uomo per cause sconosciute, e poi, immessi nell'atmosfera, si diffondevano ovunque senza riparo” (Annalucia Forti Messina, Società ed Epidemia, Il colera a Napoli nel 1836, F. Angeli,1979, pp. 11 e segg.).
Quella che sembrava una disquisizione di carattere prevalentemente teorico, in effetti nascondeva un importante aspetto politico. Accettare l'una o l'altra tesi significava scegliere, per le autorità governative, tra due vie ben precise per affrontare l'imminente impatto con la malattia. Se il colera era una malattia contagiosa bisognava isolare luoghi e persone infette , con gravi conseguenze non solo d'ordine economico e commerciale, ma anche psicologiche e politiche. Bisognava necessariamente creare dei cordoni sanitari, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate.
Contrario, invece, ad ogni istituzione di cordoni sanitari fu, tra gli altri, il De Renzi soprattutto sulla base dei risultati ottenuti dalle altre nazioni che avevano adottata la stessa misura. Il governo napoletano tenne in poco conto tali considerazioni, prendendo delle misure che contemplavano “le contumacie”, cioè la quarantena imposta alle navi provenienti da paesi infetti o presunti tali. Inoltre, fu istituito un cordone sanitario alle frontiere di terra e di mare “ordine rinforzato comminando pene severissime per i “misfatti sanitari”: violazioni delle contumacie, falsificazioni di patenti, contrabbando, resistenza alle guardie sanitarie, diserzione da parte delle stesse (Collezioni delle leggi e de' Decretio reali del Regno delle Due Sicilie, anno 1836, tomo II, Napoli, Decreto 42632 del 2.8.12836). Ma tutto ciò fu inutile. Da Trani il 234 agosto 1836, giunsero a Napoli notizie di strane malattie mortali e, in settembre, quello che si attendeva con terrore misto ad incredulità, divenne una triste realtà: il colera si manifestò chiaramente nel distretto di S. Severo, a Bari, Barletta, ecc.
E' importante conoscere anche quale era la situazione igienico-sanitaria delle province, facendo, ancora una volta ricorso al De Renzi. Analizzando la salubrità o l'insalubrità delle abitazioni del Regno, tra le tante osservazioni notava che erano costruite, per la maggior parte dei casi, sul nudo terreno e quindi erano fortemente umide. Inoltre, per quel che concerne le sostanze che venivano conservate nelle abitazioni “dobbiamo prima di tutto prendere in considerazione l'uso che hanno i coltivatori di tutte le province del Regno, di conservare in un sito della casa o prossimo ad essa de' cumuli di immondezza e di letame che destinano per uso d'ingrascio”… infine,”il rimanente del popolo va ad evacuare nelle pubbliche strade, n' siti più remoti dell'abitato o pure lo fa ne' vasi addetti a tal uso, e che poi vanno a vuotarsi ne' siti prossimi alle mura, o ne' fiumi o nel mare”. Da queste descrizioni appaiono chiare le pessime condizioni igienico-sanitarie delle province, nelle quali il morbo poteva facilmente allignare.
Oltre ai provvedimenti governativi, uscirono, in quel periodo, una serie di opuscoli nei quali venivano elargiti i consigli terapeutici più strani, insieme ai mezzi per prevenire la malattia. A ciò si aggiunga che molto spesso alcuni dottori e speziali, dopo aver fabbricato qualche intruglio, la cui composizione tenevano segreta, si preoccupavano di reclamizzarlo con ogni mezzo, spacciandolo come il toccasana contro gli effetti del colera e un certo dott. Nicola Lewesky, di origine greca, riuscì perfino ad ottenere dalle regie autorità un formale permesso di fabbricazione di un misterioso intruglio, chiamato spirito anticolerico di cui fu data ampia pubblicazione sui giornali dell'epoca Tutto ciò servì, in conclusione, a screditare maggiormente la classe medica. Il De Renzi lo comprese chiaramente: “Questa diversità di pareri, di opinioni, di sentimenti, d'interessi, di passioni, produce un caos, una confusione, una titubanza, un'oscillazione, dannosi e a non poche reputazioni e contrarie al retto giudizio”

Passiamo, adesso, all'esame delle fonti contemporanee, tenendo conto che la letteratura riguardante gli aspetti demografici del colera ed il rapporto medicina/società è scarsa, soprattutto per quel che concerne il colera del 1836/37.
Per quel che riguarda gli effetti dell'epidemia nelle province non vi sono trattazioni specifiche, ma si posseggono solamente i dati generali della mortalità durante il periodo considerato, ricavati peraltro da statistiche dell'epoca non sempre attendibili.
Sono stati presi in esame, dove è stato possibile, i registri parrocchiali dei morti e dei nati.
Per Teano siamo in possesso dei dati delle parrocchie di S. Clemente, S. Pietro, S. M. Celestina, S. Nicola, S. Marco, mentre non sono stati reperiti i registri di un'altra parrocchia, quella dei SS Cosma e Damiano. Per S. Nicola e S. Marco possediamo solo i dati relativi ai morti degli anni 1836-37, mentre mancano i registri dei battezzati di tale parrocchia. La situazione, per quel che concerne i vari casali, è la seguente:
S. Marco Registro dei morti e dei battezzati 1830/40;
Furnolo Registro dei morti e dei battezzati 1830/40;
S. Giuliano Registro dei morti e dei battezzati 1830/40
Versano Registro dei morti e dei battezzati 1830/40.
Mancano i dati delle parrocchie degli altri casali.
Per le altre terre della diocesi, la situazione è la seguente:
Roccaromana Parrocchia di S. Maria della Neve, registro dei morti e dei battezzati, 1830/40;
Roccamonfina Collegiata anni 1836/37
Pietramelara Parrocchia di S. Agostino, anni 1836/40
Pietravairano anni 1830/40
Presenzano Parrocchia di S. Nicola anni 1831/40
Tora anni 1830/40
Vairano anni 1830/40
Marzano Parrocchia di S. Majoris Martiani anni 1830/40.

La città di Teano, ai primi dell'800, contava circa 5000 abitanti di cui 2000 appartenenti ai 15 villaggi, cioè: Transi, Casamostra, Casi, Pugliano, S. Marco, San Giuliano, Cappelle, Fontanelle, Tuoro, Casafredda, Furnolo, Magnano, Casale, Versano e Carbonara.
Era circondata da valli e colline bagnate da vari ruscelli chiamati “savoni”. L'aria era salubre, le pianure “atte alla semina de frumento e di altre vettovaglie”(L. Giustiniani, op. cit. p. 147). Gli abitanti “hanno qualche commercio con le altri parti del Regno vendendo le loro soprabbondanti derrate che consistono principalmente in olio e grano”(ibidem, p. 147). La città comprendeva 6 parrocchie, mentre ogni casale aveva la sua..
L'analisi del movimento delle nascite presenta alcune lacune, dovute alla mancanza, come detto innanzi, dei registri dei battezzati di alcune parrocchie, lacune che avrebbero potute essere colmate se si fossero reperiti i registri dello Stato Civile. Purtroppo ciò è stato possibile solo per alcuni anni e solamente per Teano. Comunque l'andamento complessivo delle nascite si presenta stazionario, con una punta elevata proprio nell'anno 1836.(cfr. tab.1)
Per quel che concerne i decessi, possiamo, con i dati a nostra disposizione, tracciare un itinerario, anche se incompleto, dell'andamento del colera all'interno della diocesi.
Per i casali di Teano, appare chiaro che il primo ad essere colpito è Furnolo, che si trova a pochi Km dalla città, mentre S.Giuliano e S. Marco, che sono i centri maggiormente lontani, vengono colpiti dall'epidemia abbastanza in ritardo.
Per le altre zone della Diocesi, viene confermato quanto detto sopra: le zone più isolate vengono colpite per ultime o addirittura vengono risparmiate dal male.
I dati confermano che questo tipo di epidemia colpisce in maniera più virulenta i grossi centri urbani mentre risparmia i piccoli agglomerati isolati o con pochi abitanti.
Per un'analisi più dettagliata, cominciamo a considerare il numero dei decessi e la distribuzione percentuale di essi nelle varie classi di età, sulla base dei dati in nostro possesso che, se non hanno la presunzione di un calcolo esatto della mortalità nel periodo in osservazione, possono, tuttavia, facilmente delineare, con una certa sicurezza, la linea di tendenza.
Prendendo in esame i dieci anni che vanno dal 1830 al 1840, appare chiara la forte incidenza delle morti nella fascia d'età compresa tra gli 0 e 7 anni, mentre le punte più elevate si registrano negli anni 1834-1835-1837-1838-1839.
La mortalità del 1837 provoca un numero di vittime molto elevato nelle età adulte, mentre nei bambini al di sotto di un anno, pur toccando il numero dei decessi una delle punte più elevate, la percentuale si mortalità, rispetto al totale dei decessi, si mantiene su valori molto bassi nei confronti degli anni normali. Nel complesso, la classe da 0 a 7 anni non superò il 31%. Valori molto bassi e stazionari presenta la classe tra gli 8 e i 20 anni, che supera di poco il 13%. Per la classe compresa tra i 21 e i 40 anni si ha un discreto aumento della quota percentuale sul totale dei decessi, superando il 18%.
Se la percentuale dei decessi di queste classi subisce solamente lievi variazioni, altrettanto non si può dire per quelle classi che vanno oltre i 40 anni. Qui si verifica il maggior numero di decessi, toccando il 42% del totale degli stessi. Ciò dimostra chiaramente che l'epidemia colpì solamente gli adulti, come del resto era avvenuto a Napoli e nelle province.
A proposito di tale fenomeno, è interessante quanto scrive Delille sul diverso carattere di questa crisi, vale a dire sul passaggio dalle crisi di tipo antico (peste ecc.) a quelle di tipo moderno il cui elemento è costituito dal fatto che “…la mortalità degli adulti ha assunto quel carattere di punta acuta e violenta che aveva caratterizzato altre volte la mortalità infantile. Un fondamentale cambio di direzione si è così prodotto: la crisi non è più un assalto lanciato dal basso, ma un assalto portato dall'alto” (Gerard Delille, Dalla peste al colera: la mortalità di un villaggio del beneventano” in Quaderni Storici, 1971, p. 412).
Il periodo di massima incidenza dell'epidemia è compreso nei mesi di luglio-agosto-settembre, con una coda, per alcuni centri, nel mese di ottobre. Ciò è chiaramente spiegabile con il fatto che i mesi estivi erano quelli in cui le malattie gastroenteriche si sviluppavano maggiormente (cfr. tab. 2).
Per una valutazione conclusiva dei dati elaborati, dobbiamo compiere alcune considerazioni.
La prima conseguenza, dal punto di vista demografico, è la quasi totale scomparsa di uno dei tratti fondamentali della demografia d'Ancien Règime: il sistema delle “classi vuote”. La morte ormai colpisce dall'alto e i vuoti che essa procura sono destinati a scomparire ben presto per effetto della mortalità che rientra entro limiti fisiologici.
Tutte le conseguenze economiche e sociali dell'ascesa di questo vuoto - rarefazione della mano d'opera e aumento dei salari, poi nuovo ribasso per l'arrivo di classi più numerose, concentrazione e frazionamento della proprietà - finiranno con l'essere naturalmente eliminate. Il nuovo tipo di mortalità favorirà in tutti i campi, demografico, economico e sociale, una evoluzione più regolare della precedente.
Bisogna, inoltre, tentare di valutare il vantaggio o la perdita economica di questo mutamento. Evitiamo qui ogni considerazione di carattere moralistico: un bambino che muore a due o tre anni è una perdita secca, un investimento chiaramente “improduttivo”; un adulto che muore a cinquant'anni è, al contrario, un individuo economicamente “esaurito” che ha già dato tutto quello che poteva dare, anzi è un peso risparmiato alla famiglia e alla società. La nuova mortalità è, quindi, senza dubbio economicamente più redditizia di quella precedente.

Costantino Lauro
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 8 Agosto)