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Il Grammatico Sidicino - Un latinista geniale

 
Frontespizio della Grammatica Latina
 

NASCITA E MORTE DI LUIGI ANTONIO ZOMPA
Nei “fuochi” di Teano del 1561, conservati presso l’Archivio Storico di Napoli, è attestata nella nostra città la presenza della famiglia Zompa; ed è proprio da questa famiglia, benestante ma priva di blasone (ex honestis parentibus natus, scrive il nipote Cesare Benenato per sottolinearne l’assenza di nobiltà) che nacque, sul finire del ‘400, il nostro Luigi Antonio, passato alla storia con l’appellativo di Grammatico Sidicino.
Poco sappiamo della sua vita e molto controversa sono anche le sue date di nascita e di morte. Dobbiamo essere grati a Benedetto Croce, che al Grammatico Sidicino dedicò una lunga e accanita ricerca, se possediamo notizie certe sulla sua data di nascita e sulla durata della sua vita. Scrive il filosofo che per entrare nella Chiesa dei Santi Giuseppe e Cristoforo in Piazza Santa Maria La Nova di Napoli, si doveva calpestare sulla soglia una lastra di marmo bianco che presentava con tutta evidenza i segni di una antica lapide tombale. La pietra, che oggi - tolta dalla soglia e infissa nella parete sinistra dell’unica navata - si presenta quasi del tutto levigata dal calpestio dei fedeli, fu attentamente indagata dal Croce che riuscì a trascriverne, sebbene fosse fortemente logorato, il contenuto:
HIC IACET ALOISIUS
ANTONIUS SIDICINUS
GRAMMATICUS ET ORA
TOR QUI I ET LX ANNOS
MORTEM OBIIT
PRIDIE CAL. MARTII MDLVII

(qui giace Luigi Antonio Sidicino grammatico e oratore che a sessantuno anni morì il giorno prima delle calende di marzo del 1557).
Grazie a questa precisa indicazione possiamo, pertanto, asserire che lo Zompa è morto a Napoli all’età di 61 anni nel 1557 e, conseguentemente, fissare la sua data di nascita in Teano all’anno 1496. Ad incrinare tuttavia questa certezza interviene la testimonianza di un altro letterato, il Chioccarelli, anch’egli interessatosi allo Zompa, il quale ci fornisce stranamente una diversa lettura della stessa pietra tombale esaminata dal Croce. Nel trascrivere il rigo in cui si cita la durata della vita dello Zompa, il Chioccarelli modifica totalmente il testo fornito dal Croce facendo morire il Sidicino all’età di 56 anni (“…qui VI et L annos mortem obiit”) e, conseguentemente sposta la data di nascita dello stesso all’anno 1501. Gli studiosi attuali, quale Umberto La Torraca, sono propensi ad attribuire al Chioccarelli un errore di lettura della lapide tombale dovuta al fatto che quando egli l’ha esaminata era quasi totalmente “deleta” per il calpestio dei visitatori.

ANTONIO LUIGI ZOMPA DIVENTA “IL GRAMMATICO SIDICINO”
Antonio Luigi era ancora un promettente adolescente, affidato alle cure di un letterato di Teano, tal Giovanni Vesce, quando decise di latinizzare il proprio nome e cognome in omaggio alla sua prorompente passione per il latino; fu così che il futuro geniale latinista rivestì il suo nome di un’aura classicheggiante trasformandolo in Aloisius Antonius Sompanus. È ancora il nipote e biografo Cesare Benenato a darci - nella prefazione alla Grammatica - un sintetico resoconto della giovinezza e della maturità del Sompano.
Seguendo il suo racconto, veniamo a sapere che il Sompano, spinto forse da difficoltà economiche o forse da una pestilenza, si allontanò giovanissimo da Teano e girò in lungo e in largo tutta l’Italia, prima di stabilirsi a Napoli all’età di ventiquattro anni. Appena giunto in questa città, già circondato da una universale fama di grande maestro nelle lettere, oltre che nell’arte oratoria e poetica, gli fu affidata l’affermata scuola (ludus letterariius) di Taddeo Picone, un maestro che aveva deciso di lasciare Napoli. Il Benenato ci racconta, con un arduo paragone, che “la sua casa era sempre piena di alunni, che uscirono dal suo ludus come gli eroi greci dal cavallo troiano”. In virtù dei suoi insegnamenti e delle sue doti d’animo, tutti i letterati dimoranti in Napoli facevano a gara per averlo nelle loro accademie. Ed è in questa città, da cui non si allontanerà più, che Lo Zompa entrò a far parte dell’Accademia degli Ardenti, la più importante di Napoli, fino a diventarne il “Princeps”. Breve, purtroppo, fu la vita dell’Accademia degli Ardenti: accusata di avere un atteggiamento troppo critico verso la Chiesa tanto da essere sospettata di eresia, malvista dal potere spagnolo perché da essa si irradiava un sapere indipendente rispetto all’egemonia imposta nel vicereame di Napoli dall’imperatore Carlo V, fu brutalmente soppressa sul finire del ‘500 dal viceré don Pedro de Toledo.
In questi anni il nome del Sompano si impose in Italia ed in Europa come continuatore degli studi sviluppati da Lorenzo Valla e dal Poliziano. Alle sue opere, che venivano adottate in tutto il sistema scolastico, sia pubblico che privato, si attribuiva il pregio di aver dato una sistemazione organica allo studio del latino e la capacità di fornire ai futuri protagonisti del maturo Rinascimento uno strumento linguistico emendato delle distorsioni che l’avevano corrotto nel corso del Medio Evo.
Ma Antonius Aloysius Sompanus era destinato a passare alla storia con il semplice nome de “il Sidicino”. Furono i suoi contemporanei, seguendo un’abitudine del tempo che veniva applicata a tutti gli uomini famosi, a inventare per lui un “soprannome umanistico”, ricavato dalla sua città natale, che lo rendesse immediatamente riconoscibile. Ecco la stringata sintesi che Benedetto Croce ci lascia della sua figura di letterato: “Non so a quanti sia ancora noto questo nome, per oltre due secoli popolarissimo nelle scuole del Napoletano, e anche di altre parti d’Italia, affidato com’era a una grammatica latina, molte volte ristampata, che si soleva designare per l’appunto come “il libro del Sidicino” o, brevemente, “il Sidicino”.

UNA VITA INTERAMENTE DEDICATA AL LATINO
Poco conosciamo della vita privata del Sidicino, del suo modus vivendi, ma stando alle stringate notizie forniteci dal Benenato e da qualche altro biografo, riusciamo a tracciare un quadro abbastanza coerente della sua personalità. Viene fuori l’immagine di un intellettuale che dedicò la sua esistenza interamente allo studio dei classici, alla lettura di tutto ciò che l’editoria del tempo produceva intorno a questo tema, ed alla scrittura di molte ed importanti opere, alcune giunte fino a noi, altre rimaste inedite, altre ancore perdute. A questa sua totalizzante vocazione il Sidicino sacrificò ogni minimo piacere personale, rifuggendo da ogni interesse che potesse interferire e disturbare l’unica ragione della sua vita. Era un gran divoratore di libri, rinunciava al sonno per lo studio, girava continuamente tra le botteghe di Napoli per acquistare ogni novità letteraria arrivata a Napoli da Parigi, Lione o Venezia. Leggeva incessantemente, né alcunché leggeva senza annotarlo e interpretarlo, seguendo l’esempio di Plinio. Frugalissimo nel mangiare, astemio, preferiva masticare biscotto invece di pane fresco, beveva “agreste” per frenare l’appetito e per curare la podagra da cui era afflitto. Evitò per quasi tutta la vita di contrarre matrimonio per evitare “fastidi di moglie”, e soltanto negli ultimi anni, cedendo alle insistenze dei suoi amici, sposò una donna anziana (senio paene confecta) e senza dote che non gli diede figli. All’età di 51 anni fu colpito da una grave forma di podagra che gli causò grandi sofferenze. Il nipote Benenato tiene a precisare che questa malattia non fu causata dalla “crapula”, bensì dall’ozio letterario e dalla vita sedentaria. Sempre il nipote ci informa che in seguito la podagra si trasformò in idropisia e “poiché aveva del pus raccolto dal flegma nello spazio intermedio fra il torace ed il polmone ed era oppresso da una gran difficoltà di respirazione, quando iniziò a scorrergli dalle gambe del liquido purulento, morì a 61 anni il 28 febbraio del 1557”.

LA GRAMMATICA E “LE ELEGANZE”
Il “Sidicino”, nome col quale lo Zompa divenne famoso sia nel mondo accademico italiano ed europeo che tra il popolo napoletano, scrisse molte ed importanti opere, purtroppo in larga parte perdute: compose dialoghi grammaticali, commenti su Virgilio, saggi su Orazio, uno studio sul capolavoro di Jacopo Sannazzaro “De partu Virginis”, formulari della lingua latina, una Dialettica, una Rettorica, una raccolta di poesie di poeti antichi e moderni, lettere e molti versi sia in latino che in italiano, definiti dai suoi biografi “arguti e soavi”.
Ma ciò che ha reso il Sidicino un protagonista della scena umanistica del XVI secolo sono senza dubbio la Grammatica Latina (Totius fere grammaticae Epitomae) e le Eleganze (Elegantiarum compendium).
Molto curiosa è la vicenda editoriale connessa alla Grammatica. La prima edizione di quest’opera del Sidicino - di cui allo stato non esiste alcun esemplare - recava stampato nel frontespizio come autore il nome di un altro latinista, un presbitero di nome Sergio Sarmento. A chiarire l’arcano ci aiuta la prefazione alla seconda edizione scritta dal nipote Cesare Benenato. Questi ci racconta che il Sidicino era stato costretto a cedere i diritti di sfruttamento della Grammatica al presbitero per ripagarlo di un debito che aveva contratto con lui. Soltanto dopo la morte del presbitero Sarmento nel 1548, ucciso nel corso di una lite, il Sidicino potè finalmente apporre il suo nome sulla copertina della Grammatica, anche se accanto a quello del Sarmento, producendo un pasticcio tipografico che suscitò l’ilarità di Giordano Bruno.
La Grammatica del Sidicino diventò ben presto, per la sua semplicità e la sua compiutezza, il testo più adottato per lo studio del latino nelle tante scuole pubbliche e private che erano fiorite nel Regno di Napoli e fuori di esso. Era considerato lo strumento ideale per un sistema formativo che aspirava al superamento degli schemi culturali della Scolastica e alla diffusione di una nuova educazione umanistica.
La seconda, importante opera del Sidicino è un volumetto dal titolo “Elegantiarum compendiolum”, un lavoro in cui lo Zompa opera un tentativo di ardita ed efficace attualizzazione della lingua latina. In quest’opera persegue due finalità: in prima istanza, si propone di istruire i discepoli nell’uso corretto dei lemmi del latino correggendo gli usi distorti e migliorando l’eleganza del fraseggio; in secondo luogo, pensando di rivolgersi a giovani che intraprenderanno importanti carriere nella vita civile, si propone, come spiega Umberto La Torraca, di dotare gli alunni di uno strumento linguistico, “versatile, adatto ad esprimere concetti moderni , utile per raccontare la vita contemporanea, per discutere di temi politici, per approfondire questioni legali o mediche, uno strumento, insomma, di cui avrebbero potuto far uso proficuo i futuri giurisperiti, funzionari, medici del regno”.
Nel libro sono presi ad esame 762 vocaboli latini; per ciascuno di essi l’autore espone il corretto significato della parola e per far comprendere meglio come deve essere usato il vocabolo sia dal punto di vista grammaticale che sintattico, associa ad ogni lemma una frase esemplificativa. A differenza di altri latinisti (Lorenzo Valla, Erasmo, Nizolio) che estraevano le frasi illustrative direttamente dai testi classici di Cicerone, Livio, Catullo, Tacito, il Sidicino attinge gli “esempi” dai fatti, dalle vicende e dai costumi contemporanei. In tal modo l’opera del Sidicino diventa una miniera di informazioni sugli accadimenti del suo tempo, sulle vicende interne del Regno di Napoli e sulla vita quotidiana della città di Napoli. Nei suoi esempi si parla del saccheggio di Roma (decem annis ante Roma direpta fuit, quam inperator in Italiam veniret), della spedizione fallimentare di Carlo V ad Algeri (imperator naufragium fecit ad Saldae coloniam), del Re di Francia che dà i suoi figli in ostaggio all’imperatore Carlo V come garanzia di un prestito (Rex Galliae filiis obsidibus cavit Caesari de promissa pecunia), del tradimento dei Baroni che si vendono al Re di Francia (deficit a Caesare ad Regem Galliae). Altri esempi parlano della rivolta popolare contro il Vicerè Pedro di Toledo, di Andrea Doria che liberò il porto di Napoli dall’assedio dei Francesi, della prepotenza dei “compagnoni (i camorristi del 500) nella città di Napoli, delle meretrici che vi hanno portato il mal francese.
Molti altri “esempi” riguardano il mondo della scuola, dandoci preziose informazioni sugli orari, sulla composizione delle classi, sui programmi scolastici, sui metodi di punizione degli alunni pigri, litigiosi e arruffoni che contemplavano anche il ricorso alle percosse (magister verberans ac verberaturus discipulos brevi reddet eos docti - il maestro che batte e batterà gli scolari, in breve tempo li farà dotti).
Grazie alle 762 frasi esemplari costruite dal Sidicino, possiamo dire di possedere 762 piccole finestre affacciate sulla storia e sulla vita quotidiana del suo tempo.

IL SIDICINO E LA SMORFIA NAPOLETANA
Se il nome del Sidicino, celebrato e amato per oltre due secoli, è oggi pressochè sconosciuto e caduto nel dimenticatoio, è invece inconsapevolmente sopravvissuto nel linguaggio popolare per essere andato ad occupare un posto particolare nella smorfia napoletana.
Ci ricorda Benedetto Croce che a Napoli si designa col vocabolo ‘u sidece quella parte del corpo con la quale l’uomo si siede. Dalle sue approfondite ricerche, il filosofo riesce ad accertare, però, che nel più antico dialetto seicentesco per indicare il sedere non si diceva “lo sidece” bensì “lo sedicino”. E cita a conferma due versi dell’Iliade Napoletana di Nicola Capasso:
E ghieia, comme lo iennero l’azzenna,
nzi a la figlia a fruscià lo sedicino.
L’ipotesi del Croce è suffragata da ciò che scrive l’abate Galliani nel vocabolario napoletano degli Accademici Filopatridi: “siccome l’antica città di Teano della Campania si distinse dal Teano Appula col chiamarsi Sidicino, e vi era un grammatico che dalla sua patria si chiamò Sedicino, vengono quindi vari scherzi su questa equivoca parola”.
Ma da dove nasce l’assimilazione tra il nome Sidicino e la parola “sedere”?
Tutto origina dal fatto che il nostro Sidicino aveva utilizzato, nel formulare le regole grammaticali, ripetutamente, per decine e decine di volte, l’espressione “a tergo”. L’insistenza sul termine “tergo” bastò ai Napoletani perché finissero con l’accostare il nome del Sidicino, in quanto autore di queste regole, con la parola “sedere”. Il Croce conclude questo intrigo linguistico affermando che quando fu compilata la Smorfia e gli oggetti furono in essa distribuiti secondo i novanta numeri, al numero 16 che richiamava il nome Sedicino - fu attribuito il significato di “sedere”.
Conclude amaramente Benedetto Croce: “chi glielo avesse detto al decoroso ciceroniano, al severo maestro di scuola, al divoratore di libri, all’asceta, di dover finire a questo modo nel ricordo dei posteri”.

Giuseppe Lacetera
(da Il Sidicino - Anno XIX 2022 n. 3 Marzo)

Frontespizio delle Eleganze