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Indice Giuseppe Lacetera
 
 

La chiesa dell'Annunziata

(di Arminio De Monaco)
 

Negli ultimi tempi ho avuto tanti piacevoli e interessanti incontri con Pasquale Giorgio. Da lui ho sentito racconti affascinanti sulla recente storia di Teano e dalla sua voce appassionata mi sono arrivati gli echi di personaggi, luoghi e vicende della recente storia teanese. Del resto Pasquale, Presidente dell’Associazione Erchemperto, a Teano e al suo passato ha dedicato e continua a dedicare un intenso lavoro di ricerca e di pubblicazione di documenti. E proprio da uno dei suoi cassetti è venuto fuori, inaspettatamente, questo documento del Canonico don Arminio De Monaco dedicato alla Chiesa dell’Annunziata. In parte dattiloscritto, in parte vergato a mano, il testo si avvia verso l’evanescenza ed alcuni passaggi sono già adesso di faticosa lettura. Una larga parte dello scritto è stato già pubblicata dal Canonico nel suo libro “Teano, Chiese e Conventi”, tuttavia sono tante e interessanti le altre informazioni che in esso vengono fornite circa la Chiesa, il Campanile, il Nosocomio ed il Monte dei Pegni. Per questo abbiamo deciso di pubblicare questo che probabilmente era soltanto un abbozzo per uno studio più esteso ed organico sul complesso dell’Annunziata che il canonico De Monaco andava preparando. Abbiamo preferito renderlo pubblico così come si presenta, con le sue incertezze e i suoi ripensamenti dovuti proprio alla fase iniziale di un progetto più ampio.

Giuseppe Lacetera
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 n. 2 Febbraio)

CHIESA DELL’ANNUNZIATA O A.G.P.
di Arminio De Monaco

In stile barocco: una sola navata, poggiata su massicci pilastri che danno con la loro altezza un magnifico slancio in alto a tutta la mole; lungo le pareti si aprono grandi archi con altari; le aggettature barocche, non molto sfarzose ma sobrie, decorano le pareti e la volta con molta grazia. L’altare maggiore è posto sotto la cupola e dietro si curva una profonda cona, che racchiude il coro. La facciata, decorata con massicce fasce barocche, ha sul portale una bella scultura in altorilievi dell’Annunziata del 1596; forse avanzo della prima ricostruzione. La Sacrestia è in stile romanico con colonne e cordanatura nella volta di travertino.

NOTIZIE STORICHE
Domenico Giordano nella sua S. Visita - p. 141 -, così si esprime: “sebbene abbiamo posto molto lavoro e diligenza nel ricercare la data della prima fondazione, non abbiamo potuto ritrovare, né venirne a conoscenza. Comunque sia avvenuto, certo è che ha sapore di molta antichità; più antica del 1500 e, come si ricava dalla iscrizione del Campanile, la Chiesa è anteriore al tempo del campanile.
Del resto la chiesa di cui parliamo è un eccellente e perpetuo monumento della pietà, della religione, e della devozione dei cittadini teanesi verso la Vergine; nella fondazione di essa i nostri antenati, insigni per pietà, uomini eccellentissimi, sembra che abbiano gareggiato con le istituzioni e l’amore della beneficenza dei napoletani. Infatti, si dice che non solo abbiano imitate la forma e l’architettura della chiesa della SS. Annunziata, eretta a Napoli l’anno 1304, sotto il re Carlo II; ma, tante opere di pietà e offici di carità cristiana, erano in essa istituiti quanti ne erano favoriti e praticati nella chiesa napoletana.
In essa, infatti, ogni giorno si loda il nome di Dio, si rende il culto dovuto alla sua maestà; con la recita del divino ufficio, che, secondo il rito, si compie da dodici cappellani e dal sacrista maggiore destinati a quest’ufficio. Son innumerevoli le messe private e solenni che ogni giorno vi si celebrano: è mantenuto uno xenodochio, per infermi, peregrini, esposti; molte fanciulle povere sono dotate e vi è un Monte dei Pegni per il bene pubblico. In considerazione di tutte le opere illustri e lodevoli, di cui la lodata chiesa abbonda, il Pontefice Pio V, f.r. con suo breve pubblicato il 18 marzo 1565 (che poi fu confermato con altro breve di Gregorio XIII il 25 maggio 1572), procurò, proibì, comandò che la detta chiesa mai fosse eretta in beneficio, né in commenda, e affidò e incaricò dell’esecuzione del breve apostolico l’arcivescovo di Capua ed i vescovi di Teano e di Sessa. La pietà dei teanesi verso la beata Vergine e la sua casa specialmente da questo è manifesta ed a prima vista si conosce da tutti, che, a piene mani, fu accresciuta e cumulata di ingente numero di legati e di donazioni”.
Benedetto Pezzulli (Breve Discorso storico – pagg. 114-115) segue l’opinione che “dopo la distruzione della città per opera dei Vandali, i teanesi vennero poco a poco a riedificarla presso l’antico castello sidicino, pochi passi lungi dall’altra principiata a distruggere, e proprio su questa piccola collina più amena e deliziosa ………. e in essa fu edificata ancora la nuova cattedra, ecc.”. (1)
Nell’edificare dunque questa nuova città, volle il popolo tianese saggiamente dedicarla alla gran Madre di Dio, Annunziata dall’Arcangelo S. Gabriello, con ergerle un suntuoso tempio, dichiarato chiesa laicale di jus patronato della città”.
Come si ricava dalle parole citate, il Pezzulli non precisa alcuna data, ma dalle vaghe espressioni che usa dovrebbe essere almeno anteriore al Mille. Se la chiesa primitiva era di stile romanico, come gli avanzi che si conservano nella sacrestia, è più verisimile l’opinione di Domenico Giordano che sia stata costruita nella prima metà del Trecento, sul modello dell’Annunziata di Napoli. Attraverso i secoli la chiesa più volte cadde e risorse; dallo stesso Pezzulli sappiamo che fu rifatta dopo il 1620 e nel 1733 restò tutta lesionata nelle fondamenta e parte di essa cascata a terra dal gran tremuoto che fu in giorno di S. Andrea Apostolo; per ciò restò chiusa al culto per oltre venticinque anni, finché il cittadino teanese don Francesco De Nunzio, governatore della città, volle che essa sorgesse più bella e più splendida nello stile che allora era di moda, il barocco. Il giorno dopo la festa di Pentecoste del 1751 fu inaugurata la nuova chiesa con la partecipazione entusiasta di tutta la cittadinanza, “tota plaudente civitate” dice Domenico Giordano (pag. 175 S. Visita): fere a fundamentis instaurata fuit et in venustiorem ac spendidoriem qua conspicimus forma, redacta, ita ut non iniuris dici possit desiderii molestiam qua cives affecti sunt longo vigintiquinque et amplius annorum intervallo, quo ea clausa quievit, abunde ab elegantia et magnificentia …………….).

A perpetuo ricordo fu murata nella facciata maggiore la seguente lapide:

HANC AEDEM VIRGINI DEIPARAE SACRAM
VETUSTATE COLLABEFACTAM
DE SOLO ELEGANTIORI FORMA EXCITANDAM
AC DECENTIUS ORNANDAM
FRANCISCO DE NUNTIO, LAURENTIO DE GASPARRE
ET BENEDISCTUS CIPRIANO
EX REGIS IUDICIO MODERANTIBUS
ORDO POPULUSQUE THEANEN. CURAR.
ANNO SER. ORBIS MDCCL

(QUESTO TEMPIO SACRO ALLA VERGINE MADRE DI DIO/ROVINATO PER VECCHIAIA/DI RIALZARLO DAL SUOLO IN FORMA PIU’ ELEGANTE/E PIU’ BELLAMENTE ORNARLO/FRANCESCO DE NUNZIO E LORENZO DE GASPARRO E BENEDETTO CIPRIANO/ GOVERNATORI PER REGIO DECRETO/IL SENATO ED IL POPOLO DI TEANO CURARONO. ANNO DELLE REDENZIONE 1750).

La Chiesa era di diritto patronato della città che nominava tre uomini dei tre ordini della città, eccellenti per fede ed onestà, ed anche un cassiere con l’incarico di esigere e spendere.

La Chiesa aveva i seguenti altari:
1 – Altare Maggiore, tutto di marmo ed elegantemente scolpito; vi si conserva il SS. per gl’infermi del xenodochio (Quadro dell’Annunziata nell’abside opera di Jacopo Cestaro);
2 – Altare di S. Giovanni Nepomiceno similmente adorno ( Cestaro);
3 – Altare della M. V. del Monte Carmelo, dove era eretta la confraternita;
4 – Altare di S. Michele Arcangelo;
5 – Altare di S. Giuseppe o di S. Antonio Abate;
6 – Altare di S. Maria dell’Arco;
7 – Altare della SS. Concezione di M. Vergine, dove fu traslato il sodalizio dello stesso nome. Questo altare era privilegiato per sette anni col breve del Pontefice Benedetto XIV del 14 sett. 1751. Quadro del Cestaro. (2)

Il pavimento molto bello, era di maioliche dipinte con quattro pietre sepolcrali.

ISCRIZIONE SUL SEPOLCRO DI LUIGI TANSILLO
VENOSA 1510 – TEANO 1° DIC. 1568

D.O.M.
TANSILLUM, QUEM NOSTI HOSPES, CUI BLANDA MELODIS
CALLIOPE SIREN, ET BENE MUNDA CHARIS,
HIC SITUS (EST); HIC SUSPENSA DEI LIRA, SIGNA TUBAQUE
CAESARIS AMBOBUS DIIS COMES, INQUE FIDE EST.
HINC ILLE AD SUPEROS REMEAVIT UBI OMNIA TERRIS
IMPLEVIT, IAM ABI ET HIS GRATIAM HABE OCULIS.
PIARUM LACRIMARUM VATI TANSILLO DA PIAS VIATOR LACRIMAS
CEU DELITESCETEM INSCRIPTIONEM INSTAURANS
TANTI VIRI MEMORIAE MEMOR HORATIUS DE GARAMO
CUM LACRIMIS RESTITUIT
A.D. MCCXXIX

PARAFRASI DI LUIGI BORAGINE (3)
Tansillo, quel soave italo cigno,
cui le vergini grazie e le sirene
e Calliope stessa, inclita musa,
il segreto ispirar di elette rime,
qui giace. Qui sospesa sta sua sacra
cetra abbrunata e le guerresche trombe
ed i vessilli di Cesare, che al mondo
dal Manzanare impera. Achille e Omero
della novella età, cantò le gesta
d’ambo i Toledo, e lor, che parean numi
in mezzo al turbinar delle battaglie,
seguì, prode pur esso e fido amico.
Indi compiuta la mortal carriera,
carco di meriti, fa ritorno al cielo.
Vanne felice ed alle pie di Piero
lacrime sparse il tuo trionfo ascrivi.

Questa iscrizione è riportata da Fiorentino, Broccoli, Pezzulli, Boragine Luigi e molti altri sempre molto scorretta. (4)

L’ANNUNZIATA – IL CAMPANILE
Il forestiero, da qualunque parte giunge a Teano, è colpito dalla vista di una torre campanaria che si leva dall’abitato, spinta come da un anelito irrefrenabile verso il cielo; ammantata sulla cupola di verdi maioliche, splende nel sole e, col rintocco delle ore, pare che segni il ritmo della vita cittadina. Stormi di colombi e di corvi le roteano intorno. La maestosa mole si leva sul lato sinistro dell’atrio della Chiesa, all’angolo formato dal Corso e la Via Tansillo, senza contare la cupola è alta circa m. 50, divisa in quattro piani; il primo rivestito di grandi blocchi di travertino è adorno di un toro o astrogalo di marmo; è separato dal piano superiore da una cornice romanica; il secondo e il terzo piano sono costruiti in pietra di piperno delle cave di Casi; sul quarto piano si leva la base poligonale della cupola a forma di pera.
Sulla facciata che guarda il corso è scolpita questa iscrizione:
FUNDATUM HOC OPUS ALMAE ECCLESIAE PECUNIA CIVIUMQUE ELIMOSINA MAGNIFICIS VIRIS DOMINO IOANNE GALIOTA DOMINO VINCENTIO PRENCEPE LADISLAO DE SANCTO FELICE SINDICIS ET DNO FRANCISCO BARATTUTIO DNO ANTONIO IODECONE ET ADRIANO MARTINO PROCURATORIBUS DICTAE ECCLESIAE EXISTENTIBUS CIVIBUS THEANENSIBUS SUB DOMINIO ILLUSTRISSIMI DOMINI IOANNIS BORGIA DUCIS CANDIAE PRINCIPISQUE HUIUS CIVITATIS THEANI A.D. MCCCCCII DECIMO MARTII.
(Questo campanile di questa alma chiesa è stato costruito col denaro e le elemosine dei cittadini mentre i magnifici uomini Giovanni Galiota, Sig. Vincenzo Prencepe, Ladislao di S. Felice erano sindaci ed il Sig. Francesco Barattucci, Sig. Antonio Iadecone ed Adriano Martino (erano) procuratori della detta chiesa. I cittadini di Teano erano sotto il dominio dell’Ill.mo Sig. Giovanni Borgia duca di Candia e principe di questa Città. Teano l’anno del Signore 1502 – 10 marzo).

Il campanile dell’Annunziata sorse alla fine del Quattrocento, cioè nel tempo che in mezzo a discordie comunali, contrasti di ambiziosi signori, lo spirito italiano è pervaso da un nuovo alito di vita; come sotto il tepore dell’aria la terra sprigiona a primavera dal suo seno fiori e foglie e ne ammanta la terra, così in quel tramonto di secolo le città italiane si adornano di templi, di palazzi, di ville. Fu detto giustamente Rinascimento perché la nuova fioritura artistica s’ispirava all’arte romana, ne studiava i capolavori e ne faceva rinascere i caratteri di solidità e di armonia. Sono questi infatti i caratteri della torre campanaria che oltre quattro secoli or sono il parlamento di Teano, convocato nella sua piazza maggiore dai capi dei tre ordini: nobili, artieri e popolani, votò e vide poi sorgere giorno per giorno con uno slancio di fede che le difficoltà dell’opera non potettero affievolire. I nobili offrirono la loro ricchezza, gli artieri l’opera della loro intelligenza e delle loro mani industri, i popolani il lavoro rude delle loro braccia.
Quanto tempo durò la costruzione di tanta mole non ce lo dice l’iscrizione, fissa la sola data, 10 marzo 1502, quando l’opera fu inaugurata, ed i nomi dei sindaci della città ed i procuratori della chiesa; vi è anche il nome del duca di Candia, principe della Città; ma Giovanni Borgia, figlio di Alessandro IV, nel 1502 era già morto, vittima di una fosca tragedia familiare.
Contro questo insigne monumento della pietà dei nostri antenati si accanirono gli elementi: terremoti e fulmini più volte minacciarono di abbatterlo.
Situato nel punto più alto del colle, per la sua altezza slanciantesi nella regione delle nuvole, con una croce di ferro in vetta, è facile bersaglio delle scariche dei fulmini.
Si ricordano le più recenti, riportate da Giacomo Cipriani (Giacomo Cipriano – L’Ospedale ed il Monte dei pegni – Caserta – Stabilimento Tipografico sociale, 1906):
“Il 5 dicembre 1839 il fulmine danneggiò la pera del Campanile; per le riparazioni occorse una spesa di ducati 72,32”.
Il 30 gennaio 1842 il fulmine danneggiò il Campanile e l’Ospedale; per le riparazioni si spesero ducati 66,60.
Il 10 dicembre 1886 la caduta del fulmine fu “terribile, spaventevole, disastrosissima”; per parecchi mesi rese necessaria la chiusura della Chiesa e dell’Ospedale. Il progetto per i restauri proponeva il cambiamento dell’antico tenore del Campanile, ma per fortuna era troppo grande e furono solo fatte due innovazioni: fu messo il parafulmine sulla croce in cima alla cupola e la suoneria dell’orologio posto sulla facciata cominciò a suonare alla francese.
Per queste innovazioni e riparazioni si spesero circa lire 3 mila.
Il 5 marzo 1900, nonostante il parafulmine, una scarica danneggiò il Campanile e l’Ospedale; per le riparazioni si spesero lire 1368 e si apportarono due altre innovazioni: una scaletta di ferro infissa nel dorso occidentale della pera e una piattaforma messa intorno alla palla che porta la croce per la verifica delle punte del parafulmine.
La pera che corona il Campanile dovette essere costruita nella metà del settecento, perché in una carta panoramica della diocesi di Teano del 1630, conservata nel seminario, proveniente dal palazzo Collesano, sulla vetta del Campanile vi è una cuspide piramidale.

L’ANNUNZIATA – IL NOSOCOMIO
Sulla facciata dell’Ospedale civico spiccano 3 grandi lettere puntate A.G.P.; molti forse ignorano il significato di quelle parole anche se ne conoscono la scrittura materiale: Ave Maria Gratia Plena. Dal saluto dell’Angelo Gabriele e dall’accettazione della Vergine di essere madre di Dio, incomincia l’era cristiana, che, non solo cambiava i rapporti dell’uomo con Dio, ma anche i rapporti dell’uomo con l’uomo. Gesù insegnò che tutti gli uomini sono fratelli, perché figli dello stesso padre, che è nei cieli; così abbatteva tutte le barriere che l’orgoglio, l’ingordigia, avevano elevato tra popolo e popolo, tra uomo e uomo, tra dominatori e sudditi, tra padroni e servi, tra forti e deboli. La Vergine, accettando la maternità divina per il bene di tutti gli uomini, dava il primo esempio di quella carità cristiana che in mezzo all’infuriare di odi, di guerre, di violenze, farà sorgere xenodochi, nosocomi, ospizi, asili e tutte le altre istituzioni che hanno il solo scopo di lenire le sofferenze dei peregrini, dei malati, dei poveri, degli oppressi.
Giustamente perciò si chiamarono col saluto dell’Angelo, cioè: Ave Maria Grazia Plena, o più semplicemente Annunziata, tutte quelle opere di beneficenza nate da quella fiamma di carità, che Gesù Cristo era venuto ad accendere in terra.
Teano, dove la religione degli antenati ha lasciato prove evidenti nei monumenti ricchi di arte e grandiosi, come la Cattedrale, S. Francesco, S. Maria de Foris, l’Annunziata stessa, non potettero mancare in ogni secolo istituzioni di soccorso per chi soffriva. Di molte istituzioni mancano notizie perché non una volta le fiamme hanno distrutto gli archivi, dove si conservava memoria della gloria della carità cristiana dei nostri antenati; ma se le fiamme hanno potuto cancellarle nel libro della storia, non l’hanno potuto nel libro di Dio.
Solo per caso dalle fiamme suscitate dalle bombe inglesi, lanciate sulla città il giorno sei ottobre e che hanno bruciato l’archivio della curia, si è salvato il prezioso volume della S. Visita di Mons. Domenico Giordano, dal quale attingo le poche notizie a noi giunte della carità dei padri.
La più antica memoria di un xenodochio (asilo dei pellegrini, casa dei malati o nosocomio), amministrato dalla università del comune di Teano, risale all’anno 1539; il 4 ottobre di detto anno, con atto del notaio Antonio Scalaleone, con l’autorizzazione del vicario generale della diocesi, del parroco Bernardino Romano, canonico della Cattedrale, fu trasferito il nosocomio dalla Chiesa di S. Caterina, dei soppressi monaci celestini, (che era dove è ora la parrocchia della Madonna delle Grazie) nella chiesa parrocchiale di San Nicola dei Greci, che d’allora cominciò a chiamarsi di S. Caterina. Rimase presso questa chiesa il nosocomio fino all’anno 1554, 22 aprile, quando con atto del notaio Antonio Scalaleone, tra il sindaco di Teano Luigi Galluccio e la sig.ra Camilla Carmignano, con l’intervento e l’autorizzazione del vicario generale Giacco de Gracchis, la Chiesa di S. Caterina, e locali annessi, fu concessa per la fondazione di un monastero di monache.

Quanto tempo prima era stato istituito il nosocomio presso la chiesa dei celestini?
Il priorato dei celestini di S. Caterina a Maiella, poi Madonna delle Grazie, ebbe origine dalla donazione di Giovanni Del Giudice Roffredo, che il 24 ottobre 1542, con testamento redatto dal notaio Giovanni Mastrosimone, costituì erede dei suoi beni la Congregazione dei Celestini, con la condizione che costruissero un monastero di Celestini (5) e fu abolito il 1652; compreso nell’abolizione dei piccoli conventi per devolverne le rendite a favore del seminario, secondo la Bolla “Instaurandae”. Il nosocomio era quindi affidato ai fratelli laici dei celestini e probabilmente sorse insieme col priorato o poco dopo, verso la metà del Trecento. Pare che il convento non abbia avuto una vita molto florida; scarse le rendite, pochi i monaci, anche l’attività languiva ed il nosocomio era poco curato; forse per queste ragioni l’università credette bene toglierlo dalla loro dipendenza.
Giacomo Cipriano, nella sua monografia “L’ospedale ed il Monte dei Pegni”, sostiene, con ragioni affatto convincenti, sebbene molto ingegnose, che nel 1554 l’università di Teano soppresse l’ospedale per donare i beni all’erigendo Convento di monache.
Nella “Cronica della concessione del Luogo di S. Caterina in Teano” – pubblicato dallo stesso Cipriani (Documento n. VIII p: 133) si legge: “unanimiter, concorditer, et pari voto fuit conclusum neminem discrepante: che detto luogo (S. Caterina) e chiesa di S. Caterina con tutte le sue entrate si conceda per effetto di detto Monastero di DD. Monache …….”.
Il nosocomio, che 15 anni prima era stato trasferito nella (chiesa) di S. Nicola dei Greci e si era istallato nei locali appartenenti a detta chiesa, era un ente morale diverso della chiesa di S. Nicola o S. Caterina, come da allora si era cominciata a chiamare.
L’università di Teano ha ceduto volentieri i beni della chiesa di S. Caterina ed il luogo, dove era stato provvisoriamente accolto il nosocomio, perché aveva forse già pronto il luogo presso la chiesa dell’Annunziata dove potessero essere subito trasportati i malati che si trovavano nel Pio Luogo. Non possiamo credere che l’università, per far piacere alla ill.ma Sig.ra D. Clarice Ursino, principessa di Stigliano, mettesse alla porta i malati e peregrini che si trovavano all’ospedale, per farvi entrare la Rev.ma Camilla Carmignano con le sue monache. Il documento citato dice chiaro che furono ceduti “il luogo e la chiesa di S. Caterina con tutte le sue entrate” non le entrate del nosocomio che era un altro ente.
Il 24 ottobre 1573, con atto del Notaio Sanfelice, il cittadino teanese Pietro Giacomo Simonetta donò dodici moggia di terreno “dove se dice allo Lago seu alle cerquelle per mantenimento delli poveri che albergano nello Spedale” e Domenico Giordano nell’opera citata, pag. 180: “Donò un territorio dove si dice alli Guassi o alle Cerquelle, di moggia dodici, affinché la rendita si prendesse in aiuto dei poveri in esso dimoranti e per i poveri malati”. (6)
Nella donazione del Simonetta non si parla di nuova fondazione, se questa clausola si fosse trovata nell’istrumento non l’avrebbe taciuta il Giordano, così diligente nel riferire le notizie, anzi si dice “in aiuto dei poveri dimoranti in esso ospedale e dei poveri infermi (assistenza a domicilio – conferenza di S. Vincenzo?).
Il Cipriano vede la difficoltà di spiegare altrimenti la parola “existentium” e trova una interpretazione molto ingegnosa, cioè: mantenimento, alloggio, vitto, assistenza e medicine agli ospitati nel Pio Luogo; e non bada che il Giordano, che cita alla lettera le parole dell’istrumento, distingue due forme di aiuto, una ai poveri degenti nell’ospedale, l’altra ai poveri malati – a domicilio quindi -, altrimenti direbbe la stessa cosa con la prima e seconda espressione.

Mi dispiace dover negare al Simonetta l’aureola di fondatore che il Cipriano ha voluto regalargli ed ha consacrato in un’epigrafe posta nel portico del nuovo ospedale di S. Maria de Foris; il suo nome resta però scritto nel Libro d’oro della Carità cristiana ed ha diritto alla gratitudine dei posteri.

Un altro benemerito e generoso cittadino fu il Can. Giovambattista Morrone; non è la prima volta che c’imbattiamo nel suo nome nelle ricerche di notizie e non sarà certo l’ultima. Più degli altri, splendette il pio ed eccellente zelo del Can. Morrone che col lodato istrumento del 3 aprile 1603 donò alla Santa Casa ducati cento per l’acquisto di panni per l’uso del nosocomio; stabilì anche che il vescovo ed il capitolo fossero gli esecutori del testamento. (D. Giordano, o. c. pag. 180) (7)
Il Cipriano riferisce una notizia dell’inventario del 1630, secondo la quale il Can. Morrone fece obbligo al convento di S. Caterina di spendere ogni anno ducati dieci in materassi, lenzuola, e coperte per l’ospedale con atto del 1596. Carità intelligente! Con le due donazioni non solo precisò l’uso da farsi del suo danaro, ma stabilisce un controllo; sapeva bene che quando la carità non è ispirata dalla religione va a finire nelle mani degli ingordi profittatori.
Anche Federico Staccone con suo testamento del 29 maggio 1689, redatto dal Notaio Gioacchino De Nunzio, legò alla S. Casa ducati 50 per l’acquisto delle suppellettili. Essa, infatti, non ne ebbe che ducati 15.
La Pia Opera dell’A.G.P. non solo curava i malati poveri nell’ospedale e li assisteva a domicilio, alloggiava i pellegrini senza tener conto della loro patria, ma accoglieva anche i figli della colpa, i così detti esposti; li teneva fino all’età di nove anni, provvedendoli di tutto ciò che poteva loro occorrere; dopo venivano mandati all’opera dell’Annunziata di Capua. Il fanciullo che non aveva un focolare, né la madre, né il padre, orfano dei vivi, come una scrittrice lo ha chiamato, trovava se non la madre almeno una nutrice che con lo stipendio di carlini otto al mese nel primo anno e carlini cinque negli altri, lo nutriva e lo assisteva.
Erano appena i primi soccorsi, e poi? Dopo che l’Annunziata di Capua li avrebbe lanciati nel mondo, specie le donne, quale sarebbe stata la loro sorte? Senza che qualcuno avesse provveduto alla loro educazione, senza difese dalle insidie del male, avrebbero forse fatto presentare altre creature all’Annunziata… Questo dovette pensare il Marchese di S. Agapito, Cesare de Angelis, il quale col suo testamento, rogato il 26 ottobre 1726 e pubblicato il 29 aprile 1750 dal notaio Francesco De Quattro, lasciava alla Santa Casa dell’Annunziata mille ducati (se fosse stato esatto il credito dal principe di Scilla, avrebbero dovuto essere duemila) per la fondazione di un educandato dove fossero educate le fanciulle accolte nel nosocomio. Se la somma fosse stata insufficiente, sarebbero stati cumulati gl’interessi fino a raggiungere la somma necessaria.
L’amministrazione di queste somme doveva essere tenuta da un sacerdote o da un monaco nominato dai governatori dell’Opera, col consenso e assenso del Vescovo di Teano; senza di esso i soli governatori non potevano far nulla. Il primo amministratore fu nominato il 1754 e fu Pietro Cecere; egli avrebbe dovuto rendere conto al Vescovo ed ai governatori insieme.
Il Marchese Cesare De Angelis credette, con tutte le clausole apposte nel testamento, di aver assicurata l’esecuzione della sua ultima volontà, che anche per i romani era sacra: “Deorum manium iura sancta sunto”, diceva un aforismo giuridico. Ma aperto il testamento cominciarono le difficoltà. La legataria, sorella del De Angelis, morì senza aver pagato; l’erede, Marchese Ignazio, fece opposizione al legato; fu nominato da ambedue le parti un arbitro, il Chierico D. Francesco D’Amico, il quale presentò il suo lodo il 31 maggio 1738: il Marchese nello spazio di tre anni doveva pagare mille e cinquecento ducati senza interesse; cinquecento ogni anno; se non pagasse avrebbe dovuto pagare l’interesse del quattro per cento. Il lodo fu accettato dalle parti, istrumentato dal Notaio Giuseppe Mallone l’otto giugno 1738, ratificato dai governatori, con atto del Notaio Paride De Dionisiis del 25 giugno dello stesso anno. Ma il Marchese non pagò. Il 2 luglio 1751 doveva pagare mille e cinquecento lire per sorte principale e seicento quarantotto per terze. Allora finalmente si decise a vendereun territorio presso Marzanello, alli Scarpati, detto La Nocetenta o S. Elena, per ducati duemila quarantadue; così pagò quello ed anche altri legati (D. Giordano, pag. 182).
Da un documento pubblicato da G. Cipriano sappiamo che l’educantato non fu fondato perché le somme furono destinate ad altri scopi, senza tener conto della esplicita volontà del testatore. Con dispaccio del 9 giugno 1753, diretto al governatore della Città di Teano, si comunica che “informato il Re (Carlo III di Borbone, 1734 – 1759) ha comandato di rescrivere che la M. S. non istima necessaria la erezione di un nuovo conservatorio in codesta Città e che perciò ella disponga con l’intelligenza di codesto sindico, ed eletti, che delle rendite de’ legati Pii espressati nella suddetta relazione se ne faccia quell’uso, per cui si sono impiegate sino al presente, cioè, che per lo legato di ducati duemila lasciato da D. Cesare De Angelis, le rendite, che vanno a beneficio della chiesa di A.G.P. s’impieghino per li proietti in averne cura e rimandargli nei luoghi proprii”. Così la somma, allora notevole, andava a finire nelle rapaci mani della burocrazia! La sorte toccata al legato del Marchese De Angelis, e chi sa a quanti altri, fece scoraggiare altri che avrebbero voluto aiutare le opere che erano sorte all’ombra della Chiesa dell’Annunziata, spinti dal detto del Vangelo: “troverà misericordia chi avrà usato misericordia”.
Cominciò allora la così detta laicizzazione della beneficenza che distrusse quanto la pietà cristiana aveva creato in aiuto del povero, del malato, del pellegrino, del fanciullo. Nel 1753, quando fu visitato dal Vescovo Giordano, l’ospedale consisteva in un edificio al lato della Chiesa, molto ampio, con un piano terraneo ed uno superiore e due atri; intorno al primo si aprivano molte stanzette con i letti, ed uno più interno per i sacerdoti pellegrini (Casa del Clero?). Il Vescovo visitatore ordina che si faccia un materasso per i sacerdoti pellegrini che vi fossero ospitati; degli scabelli di paglia per i malati in numero di cinque, e la porta per il luogo necessario ben assestata. All’ospetaliere raccomanda che tenga tutto ben pulito, non permetta alle donne di stare con gli uomini, salvo che non provino essere coniugi; eserciti il suo ufficio con carità e diligenza; provveda che siano amministrati i sacramenti ai moribondi ed il battesimo ai bambini esposti.
G. Cipriano, che potette frugare nei registri e nelle carte dell’archivio, ha documentato la decadenza dell’Opera Pia.
Verso l’800 non esiste più il ricovero dei pellegrini, più tardi non vengono più accolti gli esposti ed il locale stesso per la mancata manutenzione va in rovina tanto che si cerca un altro locale.
La Commissione di Beneficenza istituita nel 1810 trova l’Ospedale senza letti e senza alcun altro mobile (anche quelli erano spariti) ed il locale infelicissimo; chiese di trasferirlo nel Convento dei soppressi Cappuccini, S. Reparata. Il Ministero dell’Interno invece destinava come ospedale Montelucco, nientemeno; dopo anni di logoranti trattative finalmente si decise di impiegare le rendite per il miglioramento dei locali. Nel 1815 S. A. Reale passa per Teano e quindici poveri umiliano una supplica per avere soccorso; si concedono 150 ducati che si prelevarono dalle somme destinate al miglioramento delle fabbriche.
Così per tutto l’800 l’Ospedale ha una vita grama, fino a rovinare interamente i locali nel 1856; qualche iniziativa lodevole viene presa quando a capo dell’amministrazione vi capita un galantuomo; tra questi troviamo il nome di due sacerdoti: il parroco Pasquale Passalacqua ed il canonico Gennaro D’Errico Piscitelli.
Chi ama conoscere le benemerenze della beneficenza laica legga le pagine documentate dal Sig. Giacomo Cipriano. Nel 1905 finalmente l’Ospedale trovò una residenza che rispondesse a tutte le esigenze dell’igiene e della civiltà cristiana, nei locali del soppresso convento benedettino di S. Maria De Foris.

L’ANNUNZIATA – IL MONTE DEI PEGNI
Un’altra opera di carità fiorita all’ombra dell’Annunziata è il Monte dei pegni, Anche questa fondazione è opera di un sacerdote, il Canonico Giovambattista Morrone, che in tutta la sua vita pensò sempre a beneficare quelli che soffrono. (8)
Con istrumento del 25 nov. 1605 per Notar Federico Larco donò alla chiesa della SS. Annunziata in Teano ducati 333 che davano la rendita di ducati 33 con i seguenti patti e condizioni (9):
a) Ogni anno si dovevano prelevare ducati 20 e accumularli fino a raggiungere la somma di ducati 1000; raggiunta detta somma, si dovevano prelevare ducati 500, per una volta tanto, e farne una compra a beneficio della Chiesa dell’A.G.P. con l’obbligo di distribuire ogni anno nella festa della SS. Annunziata 4 tomoli di grano panificato ai poveri, per l’anima sua;
b) Gli altri ducati 500 con venti di rendita annuale (il capitale non si doveva mai toccare) dovevano darsi alla Chiesa A.G.P. per darli in prestito “alli bisognosi della città e casali, tanto donne come omini purchè portano il pegno di valore di quel denaro, che loro averanno di bisogno, ed averanno sei mesi a rescotersi detto pegno e lo conservatore di detto Monte, finiti cinque mesi, farà intendere al padrone di detto pegno che se lo recoglia altrimenti finito il detto tempo di mese si venderà il pegno predetto e quello di più che si venderà del denaro che ha pigliato da detto Monte, si restituisca al padrone di detto pegno ovvero ai suoi eredi senza farli pagare un quattrino dell’interesse e restituirli quello che di ragione gli spetta, senza defraudarli un quattrino”;
c) Che i dieci altri ducati che restano della somma dei 30, detta chiesa sia tenuta farne celebrare una messa tutte le feste di precetto che si guardano di opere manuali e precipue nella festa di S. Caterina e Giovedì Santo nella cappella che sta costrutta dentro il castello di detta Città, acciò li poveri carcerati possano vedere messe le feste e pigliare il SS. Sacramento la Pasca e nella Natività del Signore ed altre feste alle quali li detti carcerati tengano devozione; e levandosi le carceri dal detto castello e facendosi in altro luogo o in quello medesimo luogo si faccino celebrare dette messe….. non facendosi dire detta messa li detti carcerati insieme con il castellano possono far costringere detti procuratori da Mons. R.mo di detta Città o Vicario …..
d) Che la moneta di detto Monte, accresciuta non si possa applicare ad altro effetto …. e pigliando per altro effetto il Rv.do capitolo di detta città con li procuratori della Cappella del SS. Corpo di Cristo della d. Città, costrutta dentro la Chiesa maggiore, si possano pigliare, autoritate propria, detto capitale di duc. 333 con tutta la moneta accresciuta a detto Monte e detta cappella e capitolo piglian detto peso … non volendo …. ci succeda la Cappella della SS. Concezione di Teano costrutta dentro il monasterio di S. Antonio di Padova ….
Il Canonico Morrone credette con queste minute ed oculate disposizioni di assicurare per sempre l’esecuzione della sua volontà ma la storia di tre secoli del Monte ci mostra che nulla può fermare la cattiva volontà degli uomini.
Nel primo cinquantennio, vivo il fondatore e quello da lui nominato, il Monte ebbe vita florida tanto che circa 50 anni dopo nel 1655 si erano accumulati 1000 ducati. I governatori Antonio De Renzis, barone di Montanaro, e Francesco Daniele invitarono il cassiere Chierico Antonio Forcellato a dare li conti; il razionale Antonio Grimaldo constatò che i mille ducati erano stati raggiunti ed ordinarono di versare alla Chiesa A.G.P. duc. 500. Ma il cassiere non li aveva pronti e concesse un fondo suo detto “Tre Rivi” nella piana di Maiorisi (meno male). Riunito il popolo al suono della campane nella Chiesa di S. Francesco dei padri Conventuali, con i governatori del Monte fu approvata la cessione proposta dal cassiere Forcellato. Mons Domenico Giordano, un secolo dopo, scrive che vi furono altri benefattori (10) del Pio Istituto, ma non mancò la malvagità di coloro che con animo fraudolento lo mandarono in rovina.
Dal resoconto presentato dal Cassiere Pietro Cecere, il 1 aprile 1754, sappiamo che il monte aveva in pegno e in denaro un patrimonio di ducati 598,44; in un secolo non aumenta neppure di cento ducati. In seguito l’amministrazione va sempre peggiorando; nei primi anni dell’ottocento il patrimonio scende a ducati 527,64 perché ordinariamente si accettano pegni di nessun valore; vesti smesse, biancheria già usata, utensili inservibili e simili; tanto che nel 1813, quando si pensò di fare la vendita dei pegni non riscattati, che non si faceva da molto tempo (e lo statuto?), nessuno si presentò a comprarli e si dovettero dare in elimosina.
Nel 1825 viene stabilito l’interesse del 6% sui prestiti e cominciò la vendita annuale dei pegni non riscattati. Ma nell’ottobre 1860 per ordine del generale borbonico Sergardi la cassa viene violata e sono portati via ducati 344,25.
Dopo il 1860 il Pio Monte viene sempre più burocratizzandosi (che brutta parola e più brutto significato) dopo l’istituzione della Congrega di Carità succeduta alla Commissione di beneficenza nel 1864; si nominano nuovi impiegati per nuovi uffici, si disciplina con norme e regolamenti e controlli l’amministrazione senza tener conto della volontà del testatore.
Se dopo il 1875 il Monte vide aumentare il suo patrimonio e soccorrere vere turbe di bisognosi in tempi di carestia e di miseria si deve ad un uomo che dedicò tutto sé stesso a quest’opera di carità, ad Antonio Boragine che fece salire il capitale circolante da Lire 37178,19 a Lire 140891,25 e che rese possibile la costruzione dell’Ospedale e della sede del Monte dei pegni nel monastero soppresso di S. Maria De Foris.

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Note
(1) Ecclesia Annuntiationis est Theanensium civium pietatis, religionis et observantiae in beatam Virginem monumentum, in cuius fundatione pietate insignes praestantissimique illi viri majores nostri Neapolitanorum institutum et studium beneficentiae aumulari videntur. Nam non modo veteris huius ecclesiae forma et structura, ut ferunt Nespolitanae ecclesiae SS. Annuntiationis erectae anno 1304 sub Carolo III rege instar erat, sed etiam totidem in ea instituta sunt pietatis opera et caritatis christianae officia quot in Neapolitana foventur et exercentur. In ea enim quotidie nomen Dei laudatur numinique suo debitus exhibetur cultus divinorum officiorum recitatione, quae a duodecim cappellanis et maiore edituo seu sacrista illius servitio mancipatis rite peragitur. Missae quae itidem in ea quotidie celebrantur et privatae et solemnes fere innumerae sunt. Infirmorum, peregrinorum et expositorum Xenodochium sustentatur; permultae egenae dotantur puellae et bono publico mons pignorum estat. Quorum omnium illustrium et laudabilium operum consideratione, quibus laudata ecclesia abbundat, motus felic. Recor. PIUS v S.P. Brevi suo peculiariter edito die 18 martio 1565, (quod postmodum alio Gregorii XIII confirmatum fuit die 25 maii 1572) cavit vetuit et mandavit praefatam ecclesiam nunquam nec in beneficium nec in commendam erectum iri, Brevisque Apostolici exempetionem et observantiam Capuae Archiepiscopo nec non Theani et Suessae antistitibus concredidit ac commisit. Theanensium vero pietas in P.V. eiusque domus vel maxime ex eo elucet omnibusque uno obtuto manifesta fit quod ea ingenti legtaorum et donationum numero plena manu aucta et cumulata fuerit”.
(2) Luigi Boragine: Poesie e prose con prefazione di G. Lonardo. Detken e Rhokoll - Napoli 1908. Pag. 160.
(3) La traduzione della lapide riportata dal De Monaco sulla scia del Fiorentino e di altri non corrisponde in pieno al testo dell’approssimativo latino più sopra riferito. È probabile che la traduzione del Fiorentino trascritta dal De Monaco si riferisca alla lapide posta sulla prima tomba del Tansillo, collocata nella distrutta Cappella del Presepe. Da qui le ossa del poeta furono trasferite, nel corso del rifacimento settecentesco, sulla parete a destra dell’ingresso secondario dell’Annunziata. In questa occasione sul nuovo sepolcro del Tansillo venne posta una seconda lapide sepolcrale voluta da Orazio de Garamo; pertanto, il testo della lapide è quello commissionato dal De Garamo mentre la traduzione sarebbe riferita alla prima sepoltura del poeta.
(4) Domenico Giordano nella S.V. pag. 145 cita Matteo Vecchi – T. X bis Celestini, fol. 101 e T. II delle Prov. Celest. D’Italia e di Gallia.
(5) “Donavit quoddam territorium ubi dicit Guassi seu Cerquelle modiorum duodecim, et eorum redditus in subsidium pauperum in eo manentium applicarentur et erga pauperes agrotantes”.
(6) Prae ceteris pius praestansquezelus Canonici Morrone eluxit qui laudato istrumento die 3 aprilis 1603 domuii sanctae donavit quoddam capitale ducatorum centum ad emendos pannos in usum nosocomi”.
(7) Domenico Giordano, o. c. pag. 184-185, dove ricorda tra i benefatori: Francesco Liberano e Andrea Rotondo che lasciò ducati 10 da spendere ogni dieci anni.
(8) Vedi G. Cipriano, o. c., pag. 178, documento N. XXII; pubblica l’atto di fondazione del Notaio Federico Larco del 25 nov. 1605 per la riparazione della Chiesa.
(9) Con Istrumento del 4 maggio 1612 il Canonico Giovambattista Morrone lasciò anche trecento ducati affinché la rendita fosse data in dote alle giovani oneste ed affidò al Vescovo ed al capitolo la vigilanza per l’esecuzione della sua volontà.
(10) Con Istrumento 15 marzo 1590 per notar Sanfelice Vincenzo de Renzis, barone di Montanaro, lasciò 200 ducati con la rendita di 20 ducati per lo stesso scopo. Questo dotalizio non fu mai concesso.