L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Giuseppe Lacetera
 
 

Teano e la Regola di San Benedetto

nascita, vita e morte di un manoscritto
 
San Benedetto consegna la Regola
 

Corre l’anno 896, quando sul Cenobio di San Benedetto in Teano si abbatte la tragedia. Per comprendere appieno la sofferenza vissuta dai frati nell’inutile lotta contro le fiamme che stavano divorando la Chiesa paleocristiana, le celle dei monaci, i codici miniati nello scriptorium, i magazzini ricolmi di provviste, l’infermeria con le erbe e gli infusi curativi, possiamo far ricorso alle scene de “Il nome della rosa”, il film di Jean-Jacques Annaud tratto dal romanzo di Umberto Eco. Immenso sarà stato, in quelle tragiche ore, il dolore del cellerario che tentava invano di mettere in salvo il sacco del pane donato dall’Arcangelo Michele a Benedetto, l’angoscia dell’amanuense che cercava di spegnere con le sue dita ustionate le fiamme che avvolgevano i rari codici, i manoscritti, i diplomi imperiali, e, più di tutto, la preziosa e inestimabile “Regula Monachorum”, vergata riga dopo riga proprio dalle mani di San Benedetto. La tradizione ci dice che alla distruzione sopravvisse soltanto una pagina del manoscritto, venerata per lungo tempo come una sacra reliquia e infine perduta a causa delle tante avversità e dei tanti andirivieni da una sede all’altra cui i monaci furono costretti dalla turbolenza di quegli anni.
È opinione consolidata che la Regola di San Benedetto è il testo che ha avuto, dopo la Bibbia, il maggior numero di trascrizioni. La maggior parte di esse, tuttavia, presenta depravazioni linguistiche, adattamenti territoriali e contaminazioni con altre regole, che le rendono più o meno difformi dall’originale perduto a Teano. Per nostra fortuna nel 787 Carlo Magno, per diffondere il monachesimo nel suo impero, aveva provveduto ad ordinare una copia esatta e fedele della Regola manoscritta all’Abate di Montecassino Teodomaro. La copia fu consegnata a Carlo insieme ad una lettera di Paolo Diacono che ne attestava la fedeltà al manoscritto. Portata e conservata per un certo tempo ad Aquisgrana (l’attuale Aix le Chapelle), la copia fu definita “esemplare normale” perché su di essa si modellarono le decine di copie che circolarono nell’impero di Carlo Magno e furono adottate dai vari monasteri. Purtroppo anche la copia di Teodomaro e le tante copie imperiali su di essa plasmate sono andate perdute nei secoli successivi. A noi, tuttavia, è giunto un magnifico esemplare, il famoso codice Sangallese, redatto da due monaci di Reichenau, Trattone e Grimalt, che lavorarono con la massima cura e fedeltà direttamente sull’esemplare di Teodomaro. Ed è proprio grazie a questa copia di Sangallo che oggi possiamo disporre di un codice che certamente rispecchia fedelmente il manoscritto di Benedetto, in quanto dista dall’originale attraverso un solo intermediario. Per tali motivi il codice di Saint-Gall è considerato da molti studiosi (Paringer, Morhmann, Traube, Lentini) di assoluta fedeltà e affidabilità, pari se non superiore ai codici che provengono dalla tradizione domestica cassinese.
Ma quando è stata scritta la Regola? Qual è il suo vero titolo? Quale regione può attribuirsi la qualifica di suo luogo d’origine?
Sono domande che a tutt’oggi non hanno trovato risposte certe. Ai fini della datazione e della localizzazione si è interrogata la Regola non tanto da un punto di vista esterno al testo, con approccio puramente storico o filologico. Si è preferito interrogare il testo inserendolo all’interno della biografia spirituale e dell’ideologia monastica di Benedetto, quale è possibile ricavare dalla Vita del Patriarca narrata da San Gregorio Magno nei “Dialogi”, e dalle pagine della Regola stessa. Circa il luogo di nascita, a poco è servita l’analisi linguistica della Regola, in quanto essa presenta un impasto di latino colto e latino demotico, elevato e semplice, modulato in base all’impostazione dei rapporti tra realtà profane e vita monastica. Anche sul titolo si è molto dibattuto, oscillando tra “Regula Monasteriorum” e “Regula Monachorum”. È probabile che Benedetto si sia limitato a scrivere semplicemente “Regula” o “Santa Regula”, anche se molti studiosi propendono verso “Regula Monasteriorum”, quasi a voler rendere manifesto già nel titolo l’istanza fondamentale della Regola: l’organizzazione del monastero, inteso come comunità separata dal mondo e fondata sull’unità in Cristo, piuttosto che un disciplinare rivolto ai singoli monaci.
Altro problema è quello della data di nascita della Regola. Gli studiosi la collocano sostanzialmente in due luoghi diversi che corrispondono a due successivi periodi della biografia di S. Benedetto: prima di Montecassino, e quindi a Subiaco o a Terracina, o negli anni immediatamente successivi alla fondazione del cenobio di Montecassino. Sarebbe interessante raccontare la straordinaria vicenda biografica di Benedetto, ma qui basta dire che il Santo, dopo una esperienza di vita eremitica trascorsa nei ruderi di una villa di Nerone nei pressi di Subiaco, orientò progressivamente la sua visione verso una concezione più “sociale” del monachesimo, improntandola ad una organizzazione semicenobitica che contemplava forme di isolamento e momenti di vita comune. Su questo modello, a Subiaco fondò dodici piccoli monasteri con dodici elementi per ogni comunità. Tutto il sistema sublacense prevedeva una molteplicità di piccoli monasteri, ciascuno sotto un priore suo e facenti capo ad un superiore, ad un Abate che governava il complesso dei monasteri. Dopo il fallimento di tale esperimento organizzativo, culminato in un tentativo di avvelenamento da parte di monaci scontenti ed indegni che non riconoscevano la sua autorità,
Benedetto maturò una nuova e rivoluzionaria visione del cenobio: il monastero unico, chiuso in sé stesso, senza rapporti col mondo esterno e con gli altri monasteri, anch’essi modellati sulla stessa Regola, ma ciascuno accentrato sotto la direzione del proprio Abate, cui erano demandate tutte le decisioni riguardanti l’ordinamento gerarchico. Abbandonato Subiaco, Benedetto si mette in cammino per trovare un sito dove realizzare la sua nuova visione. Guidato da due angeli, accompagnato dai discepoli Mauro e Placido e dalla sorella Scolastica, seguito da tre corvi, giunge a Montecassino. Sulla cima del monte esisteva un imponente tempio dedicato ad Apollo. Il tempio viene abbattuto e sulla sua sede viene eretta una Chiesa. Al culmine del suo percorso spirituale e nel pieno della maturità culturale, Benedetto fonda finalmente un Monastero che rispecchia perfettamente le condizioni di vita e gli ordinamenti interni che aveva immaginato per dare agli uomini un’alternativa di pace, un’opportunità di vita fondata sul lavoro e sulla preghiera. Infatti è qui, chiuso nella stanzetta al piano inferiore della Badia, detta della Torretta, che Benedetto scrive la “Regula Monasteriorum”. Ed è qui che Benedetto, mentre scrive la Regula, ha, secondo il racconto Gregoriano, la visione dell’anima della sorella Scolastica che vola al cielo.
Si può, pertanto, concludere, sulla scia del bellissimo lavoro del Salvatorelli (S. Benedetto e l’Italia del suo tempo) che la nascita della “Regula Monasteriorum” deve essere collocata in un periodo immediatamente successivo al 535, anno di fondazione di Montecassino.
Ha inizio, immediatamente dopo la morte di Benedetto, la travagliata vita del manoscritto. Il documento resta a Montecassino soltanto pochi anni. Nel 555 il Papa Pelagio II, che secondo alcuni avrebbe personalmente sollecitato, se non incaricato, Benedetto a scrivere la Regula per mettere a disposizione di tutto il mondo latino la sua visione del monachesimo, chiede all’Abate Simplicio, secondo successore di Benedetto a Montecassino, di portare a Roma il manoscritto. I monaci obbediscono al volere del Papa e la Regola viene riposta, come documento di assoluto valore per la cristianità, nell’Archivio del Laterano. Il prezioso testo resta a Roma circa due secoli, fino all’anno 750.
La profonda crisi e decadenza che riduce il territorio italiano a terreno di conquista e di aggressione da parte di forze barbare, vede nel corso del VII secolo un oscuramento e una decadenza di tutto il sistema monastico. Montecassino si riduce a poco più di un rudere, tant’è che i monaci di Fleury che salgono il monte nel 672 per venerare la tomba del Patriarca, fanno fatica a trovarla. Bisogna aspettare l’anno 717 per vedere nuovamente il Monastero rifiorire in una nuova maestosità e riprendere il suo ruolo di propulsore dell’espansione monastica in Europa. In segno di omaggio e devozione verso i frati di Montecassino, il Papa Zaccaria nel 750 decide di restituire l’autografo di Benedetto alla sua sede naturale, segnando forse con tale scelta il primo passo verso la fine del manoscritto.
L’atto finale della vita della Regola è nota. Nell’anno 883 la Badia di Montecassino è devastata dai Saraceni ed i frati fanno appena in tempo ad abbandonare il Monastero portando con loro quanto di più prezioso in esso è conservato. Dopo una prima sistemazione nel Convento di Monte Lucno, i Benedettini optano per una collocazione nel Monastero di Teano, al sicuro della possente cinta muraria. Dovranno fare, purtroppo i conti con la sciagura che sette anni dopo, nel 891, causò l’irrimediabile e triste fine del testo a loro, e a noi, più caro.
Con l’incendio del Monastero di Teano va in cenere un immenso documento, certamente uno dei testi fondanti della identità culturale dell’Occidente. Non solo per l’impatto che ha avuto nella definizione in ambito monastico di una spiritualità attiva e vissuta, ma anche e soprattutto perché ha disegnato un modello solidale di società in cui il principio di comunità assume un valore assoluto. Nel cenobio benedettino nasce una nuova società che ripudia la violenza, che non rincorre la ricerca ossessiva dei beni, che rispetta una guida, che non sfrutta il lavoro, che studia e lavora per un fine che trascende l’affermazione della propria individualità ed insegue la totalità dei rapporti tra uomo e uomo.
Se è vero che la Regola di Benedetto è nata per dare una risposta ad un momento storico segnato da profonde trasformazioni socio-economiche, tra invasioni barbariche, pestilenze, immoralità e violenza, è altresì vero che tutta le epoche successive sono ad essa debitrice per avere da quelle pagine attinto aspirazioni, progetti, modelli, esperimenti più o meno riusciti.
E se forse guardiamo con disincanto ai nostri tempi, verrebbe da dire che è giunto il momento di tornare a leggere con grande attenzione i settantatre capitoli di quella Regola che Teano ha avuto il privilegio di ospitare tra le sue mura.

Giuseppe Lacetera
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 n. 5 Luglio)

Regula
Codice San Gallo