L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Giuseppe Lacetera
 
 

I bambini della “Viola” e i bambini dei “Morelli”

 
 

ue piccole foto in bianco e nero, i colori degli anni cinquanta, anni sospesi tra le macerie della guerra e il boom degli anni sessanta, anni che cominciavano ad alzare la testa, guardando avanti, scorgendo tra il buio dei ricordi gli effetti del piano Marshall. I bambini e le bambine ritratti abitano il tempo dei borghi ricchi di gente, di storie, di fatica, di feste e di povera allegria. Sono i bambini della “Viola”, affollato alveare di gente operosa, e i bambini dei “Morelli”, un piccolo caseggiato che si affacciava su Largo San Pietro.
I bambini della “Viola”, - tre seduti sui gradini, sette disposti come soldatini in un gioco di gruppo, uno più grandicello sullo sfondo che osserva divertito la scena -, sembrano colti di sorpresa in un momento di vita ordinaria, un'ordinaria giornata di giochi senza bambole e fucili, immersi in poveri e semplici riti di passaggio che li accompagneranno nel rapido viaggio verso una maturazione precoce, verso un'adolescenza segnata da un acerbo ingresso nel mondo degli adulti. La “scuola” altro non è che l'androne della casa della “maestra”, Carolina, donna minuta che abitava in quella casa nel vicolo che porta alla Torretta. Un piccolo tavolo per mangiare, una vecchia Singer, un attaccapanni, due sedie, una appesa ad un chiodo e l'altra a terra, lasciano intendere che si tratta dello spazio destinato alle attività giornaliere della famiglia. Una scalinata sulla destra porta alle stanze del riposo notturno. Sono dolci le bambine con i capelli raccolti nel largo nastrino, sono teneri i bambini con i pantaloncini forniti di uno spacco sul davanti per facilitare certe operazioni senza bagnarsi. Il bimbo seduto sul gradino veste una giacca troppo grande per lui. Segni di un tempo in cui i pantaloni, le giacche, i cappotti si rivoltavano, si allungavano, si accorciavano, si rattoppavano, passando dal figlio più grande a quello più piccolo, fino allo sfinimento totale della stoffa. Solo a questo punto i panni venivano ceduti allo stracciarolo di passaggio in cambio di un piatto, di un'insalatiera.
Di tutt'altro tono è la foto che ritrae, con l'artificiosità di una seriosa foto ricordo, la “scuola” di Largo San Pietro. Troppe sensazioni, troppe emozioni in un piccolo spazio. I quindici bambini sono stati stipati come sardine uno sull'altro, nel timore che non entrassero tutti nel mirino della macchina fotografica. La ricercata ufficialità della foto è spezzata, rotta, ma anche animata e vivificata, dal pianto di due bambini intimoriti dallo sconosciuto che li inquadra e ordina loro di stare fermi. Il sole batte negli occhi dei piccoli e li obbliga ad abbassare palpebre e fronte, alcuni piccolini allungano il collo per ricavarsi tra teste più grandi delle loro uno spicchio di visibilità. La “maestra”, Angelina, è serena, fiera dei suoi bambini ai quali va insegnando piccole filastrocche, princìpi di vita e di sapere.
Le maestre Carolina, Angelina, la signorina Spezzacatene, erano giovani donne che “tenevano” la quinta elementare, quella di un tempo, “quella che valeva quanto una terza media di oggi”. Vivevano la loro giovinezza immerse nelle seccature e nei problemi dei vicoli, dei bassi senza sole, dei vecchi che dovevano scrivere lettere ai parenti in America, in Germania, a Torino. Le “maestre”, con la loro riconosciuta autorevolezza, facevano la loro parte importante in un piccolo universo gelosamente racchiuso tra i vicoli e le piazzette del rione; nell'angusto perimetro di questo piccolo mondo antico gli abitanti avevano costruito un modello sociale che sapeva trovare risposte collettive ai problemi individuali, un piccolo mondo dove tutti davano qualcosa agli altri e tutti prendevano qualcosa dagli altri. E questo valeva per la scuola dove crescere i piccoli, per il forno dove cuocere il pane, per la fontana dove fare il bucato, per le braccia che servivano a “sfasciare” il maiale.
Nelle due piccole foto in bianco e nero, oltre l'oscurità dell'androne di Carolina e oltre i “Morelli” di Angelina, c'è un grande pezzo di storia, un tempo di piccoli eroi che è morto insieme al silenzio che oggi è calato sui vicoli della Viola e di san Lazzaro.

Giuseppe Lacetera
(da Il Sidicino - Anno XI 2014 - n. 2 Febbraio)