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L'Istituto Regina Margherita: una grande idea morta

tra beghe di paese
 

È la sera del 30 ottobre 1886. Il Consiglio Comunale di Teano è riunito in seduta ordinaria nella sala del Palazzo di Città sotto la presidenza del Sindaco Carmine Ciello. Nei banchi hanno preso posto diciassette consiglieri, tredici sono gli assenti. La composizione del Consiglio fotografa fedelmente le trasformazioni sociali intervenute nelle realtà rurali del Sud nel periodo postunitario.
In quegli anni il diritto di voto è riservato ad una ristretta fetta della popolazione; erano ammessi al voto i cittadini di età superiore ai 25 anni che pagavano un'imposta diretta minima di 40 lire. Con queste regole restrittive in Italia meridionale votavano soltanto 19 cittadini su mille. I ceti popolari, di fatto, potevano solo stare a guardare una borghesia che eleggeva al suo interno gli amministratori della cosa pubblica. Il verbale della riunione dice che nel Consiglio Comunale siedono due medici, due avvocati, un notaio, un dottore, qualche ingegnere e ben 19 “proprietari”, quasi due terzi dell'assemblea. La preponderante presenza di proprietari (i loro cognomi suonano familiari: Messa, Cipriano, Lonardo, Antuono, La Prova, Altobelli, De Monaco, De Robbio, Marseglia, ecc.) è il risultato del tumultuoso sviluppo che ha avuto nel territorio di Teano una borghesia agraria che ha saputo espandere la propria forza sociale e politica accaparrandosi le terre del Demanio, quotizzate e “svendute” a prezzi bassissimi, ed i beni sottratti alle Corporazioni religiose con le leggi del 1862. È una borghesia sospesa a metà tra un assetto feudale del mondo agricolo ancora fondato sull'affitto e una visione capitalistica dell'economia agricola che tende a creare vere e proprie aziende, moderne “masserie”, fornite di fabbricati, animali, macchine e condotte direttamente dal proprietario. Il vento del giacobinismo risorgimentale è arrivato a sfiorare questa borghesia politicamente schierata, come dichiarato apertamente da loro stessi negli atti del consiglio comunale, sulle posizioni liberali del governo Crispi. Dall'alto della propria visione umanitaria questa borghesia rivolge di tanto in tanto uno sguardo paternalistico alle misere condizione del popolo, e si preoccupa del futuro dei “figli del proletariato”.
Discende da questa sensibilità sociale l'argomento che il Consiglio ha posto all'Ordine del Giorno e che ora si appresta a discutere: “Approvazione dello Statuto dell'Istituto Regina Margherita”. Il dott. Ciello inforca gli occhiali, raccoglie le carte, si erge con la sua breve statura e tiene una dotta e lunga relazione di otto intense pagine per spiegare i nobili e “forti propositi” che il Comune vuole perseguire con l'impianto dell'Istituto e per argomentare tecnicamente sui costi dell'operazione e sulla copertura finanziaria. Obiettivo ambizioso del Comune è quello di “promuovere l'educazione laica nazionale ed il miglioramento delle classi operaie”. L'Istituto Laico Municipale di Teano (nella relazione viene ripetuto con insistenza il termine laico) si articolerà in tre strutture educative: 1) – Un Asilo infantile promiscuo; 2) – Una casa di lavoro dove alle fanciulle povere è data l'opportunità di apprendere i mestieri muliebri e mettere da parte un discreto “peculio”. Quando poi lasceranno l'Istituto per maritarsi o per il raggiungimento dei 30 anni di età, verrà loro assegnata una dote o una liquidazione una tantum. 3) – Creazione di un Istituto scolastico secondario ad indirizzo sia classico, che tecnico ed agrario, con annesso Convitto gratuito.
Arduo e contorto è il discorso relativo alle risorse occorrenti per tenere in piedi una siffatto complesso impianto. I tecnici hanno fatto un buon lavoro e ai consiglieri vengono diffuse tre tabelle che riportano la “designazione delle rendite” e la “designazione degli esiti”, cioè entrate ed uscite. È stato calcolato che per il funzionamento delle tre attività occorre mettere in conto una spesa annua di 35.000 lire, di cui 18.000 da destinare alla Istruzione secondaria e al Convitto, 8.000 alla Casa Lavoro, 3.500 all'Asilo Infantile, 1.800 lire per spese di amministrazione e per gli stipendi al Tesoriere e al Segretario, lire 1.000 per il fondo doti, lire 514 per spese di culto, e via di seguito.
Ma come è stato possibile trovare una così ingente somma di denaro senza gravare sulle spalle di una cittadinanza già tartassata da un pesante sistema di tassazione imposto dallo Stato unitario? A spianare la strada per il finanziamento del'Istituto è intervenuta una inattesa sentenza pronunciata dalla 5^ Sezione della Corte d'Appello di Napoli a favore della Città di Teano, a conclusione di una causa intentata nel lontano 1866 e trascinatasi per venti anni. Così erano andate le cose. Il Monastero Benedettino di Santa Caterina aveva ricevuto per il suo sostentamento dalla Città di Teano, al momento della sua costituzione nel 1554, con atto redatto dal Notaio Scalaleone, alcuni edifici ed una ricca dotazione di beni di pertinenza comunale. Il patrimonio del Monastero era andato progressivamente arricchendosi grazie ad importanti donazioni di privati e soprattutto grazie alla notevole donazione fatta nel 1619 dal canonico Morrone. Quando nel 1862 furono varate le leggi di soppressione delle corporazioni religiose, i beni dotalizi del Monastero di Santa Caterina, dichiarato soppresso, erano stati incamerati dalla Cassa Ecclesiastica, e assegnati alla Provincia. Quest'ultima decisione trovò una forte opposizione nel Municipio di Teano che intentò causa alla Cassa Ecclesiastica sostenendo che l'assegnazione delle rendite dotalizie andasse fatta alla Città. Nel motivare la richiesta Teano aveva sostenuto che il Monastero di S. Caterina “era sfornito di Breve Apostolico e di Assenso Regio e quindi mai eretto in titolo, mai dichiarato Ente autonomo, mai distinto dall'Ente Municipio” e pertanto il suo patrimonio doveva essere assegnato al Comune e non alla Cassa. L'intelligente e testarda conduzione della causa consentì nel 1887 di arrivare ad un pronunciamento a favore del Comune di Teano. La Cassa Ecclesiastica e l'Intendenza di Finanza di Caserta furono condannati a restituire al Municipio tutti i beni, censiti e non censiti, dell'ex Convento di Santa Caterina illegalmente incamerati nonché a rimborsare al Municipio i frutti realizzati su tali beni dal giorno del possesso fino all'effettiva restituzione degli stessi.
Trovata finalmente la copertura finanziaria, il Comune trasferì i cespiti ed i redditi dell'ex Convento di S. Caterina al Governo dell'Istituto Regina Margherita che li avrebbe amministrati in piena autonomia. Dopo un lungo percorso di modifiche e integrazioni venne varato lo Statuto dell'Istituto, un articolato composto di 28 punti che disegnavano un perfetto modello organizzativo. La Comunità di Teano avrebbe messo a disposizione dell'Istituto i rappresentanti delle sue migliori famiglie per ricoprire gli incarichi più delicati, dal “Governatore” ai “Notabili”, dalle “Patrone” alle “Ispettrici”, dal “Tesoriere” alle “Educatrici”. Poteva finalmente diventare realtà il sogno di dare alla cittadinanza un'istituzione “laica e di filantropica educazione” che accompagnasse i “figli del proletariato” dall'asilo fino all'ingresso nel mondo delle professioni e del lavoro.
Come spesso avviene, i “nobili e forti propositi” naufragarono nelle sabbie delle beghe paesane e nell'incapacità amministrativa della classe dirigente locale. Né l'asilo, né la casa di lavoro per fanciulle, né la scuola superiore con annesso Convitto ebbero una vera vita e si spensero lentamente con l'andare degli anni.
Un Asilo infantile esisteva a Teano già dal 1871: era stato istituito dal Sindaco Gaetano Genovese ed era finanziato con i contributi versati dalla Congrega di Carità e dalle Confraternite esistenti in Teano. Il nuovo asilo dell'Istituto Regina Margherita non fece altro, pertanto, che inglobare l'altro già esistente. A questo punto si manifesta subito la prima stridente contraddizione tra il disposto dello Statuto e la realtà effettuale: il tanto sbandierato principio “laico e liberale applicato all'educazione moderna” viene palesemente contraddetto con l'affidamento della direzione dello stabilimento alle suore delle Figlie della Carità: a loro compete“l'istruzione religiosa, morale, intellettuale”. Per i primi tempi tutto fila liscio. L'asilo ospita 120 bambini che vengono ben curati e ricevono un vitto sufficiente. Ogni anno si fanno saggi e mostre di lavori apprezzati da tutti. La situazione precipita quando a dirigere l'Asilo arriva suora Tamisey, una figura dispotica e dai contorni morali poco chiari. Come dice il Governatore Lucianelli in una sua relazione “la Superiora agisce arbitrariamente ….. sia accettando o respingendo fanciulli dall'asilo, sia licenziando o surrogando sottomaestre e persone di servizio, ……. È acclarato come l'asilo e la scuola esterna lascino di molto a desiderare giacché poca cura si ha dei fanciulli e l'istruzione data non è conforme ai regolamenti in vigore”. Viene accertato che la suora tratteneva per sé una parte del salario destinato al personale dell'asilo, e che ai bambini veniva erogata un'alimentazione scadente, una zuppa e pane a mezzogiorno e pane ed acqua alla sera.
L'asilo subisce due visite ispettive: la prima effettuata nel 1906 dal Comm. Bellini, Ispettore del Ministero dell'Interno. Nella relazione Bellini si descrive una situazione di degrado e di abusi: il refettorio è umido, l'arredamento è scarso, gli scanni sono vecchi, sia le tre suore che la sottomaestra non hanno titolo per l'insegnamento ed i metodi seguiti non sono certo moderni; le suore ricevono per olio, legna, bucato e per l'insegnamento una somma di lire 2.400, una cifra esagerata. Ancora più allarmante è la Relazione stesa dal Cavaliere Pericoli a seguito dell'ispezione effettuata nel 1910: i bambini sono stipati in una sala angusta, lurida, senza acqua, e con orribili latrine; nell'asilo si sono insediate 13 suore a fronte delle tre previste dalla convenzione, “vere padrone di tutto, occupano abusivamente tutto il resto dei locali con scuole e laboratori privati e con le abitazioni loro”.
Altrettanto amara è la vicenda della Casa per fanciulle povere. Inizialmente era stato previsto che la Casa venisse allocata all'interno dell'ex Convento di Santa Caterina, che, in base alla legge del 1862, era concessa in uso alle suore fino alla loro estinzione. Erano già in corso i lavori per adattare gli ambienti alle finalità statutarie quando in paese sorge all'improvviso un partito contrario a tale soluzione: si chiede di progettare e costruire un edificio ad hoc per una somma ingente di cui l'Istituto non dispone. Il conflitto tra i due partiti genera la paralisi. La Casa dove le fanciulle avrebbero imparato ricamo, cucito, lavori domestici, ecc. non vedrà mai la luce. In una stanza dell'asilo saranno ospitate soltanto quattro ragazze, più che altro adibite a lavori servili per le suore.
Qualche giustificazione plausibile può essere addotta per il mancato avvio dell'istituto tecnico ed agrario, concepito come il cuore del progetto, vero e proprio grimaldello formativo per l'inserimento dei giovani nella realtà produttiva locale. Per il suo funzionamento era stata prevista una spesa annua di 18.000 lire, cifra da coprire con la rendita prodotta dai beni recuperati per sentenza dall'Asse Ecclesiastico. Come era prevedibile la Provincia cercò di non ottemperare alla sentenza, fece resistenza, temporeggiò, ritardò nel trasferire all'Istituto i beni dell'ex Convento di Santa Caterina. Quando finalmente la Provincia si decise a rispettare la sentenza della Corte d'Appello, le risorse furono utilizzate per pagare altri debiti contratti dal Comune con il Ministero dell'Istruzione (circa 150.000 lire). Inesorabilmente anche il progetto della Scuola Superiore cadde nel dimenticatoio.
Ma quel che più colpisce è il giudizio di assoluta condanna professionale e morale che il Ministero dell'Interno emette a carico degli amministratori: “l'Ufficio amministrativo può dirsi esista semplicemente per il tavolo e per gli scaffali, perché nulla vi è che amministrazione riguardi”. Non esiste protocollo, non vi è traccia del registro delle deliberazioni, non c'è l'ombra dei registri contabili, né mastro, né giornale, né scadenzario. Nel registro dei contratti sono annotati solo cinque contratti in sei anni. Nessuna parvenza di archivio, nell'inventario immobiliare non sono registrati importanti fondi, come la Selva di Santa Caterina in Roccamonfina che frutta 10.000 lire per il taglio del bosco ceduo. Una strana situazione viene rilevata nei contratti di affitto e di enfiteusi. La gestione dell'enorme massa di fondi agricoli acquisiti dal Convento di Santa Caterina, che producono una ingente rendita, fa intravedere una situazione a dir poco sospetta. Fondi estesi come quello di Maiorisi, di Carrano, di Cavone, di San Lazzaro, di Settevie, di Tuoro Sasso, di Casaquinta, e tanti altri, sono assegnati a privati o senza contratto, o senza registrazione o senza autorizzazione. Agli atti non si trovano i documenti costitutivi delle enfiteusi, mancano garanzie ed ipoteche. La Commissione di inchiesta ha difficoltà a ricostruire la situazione di cassa per la mancanza di ogni principio di contabilità. Il peggio si raggiunge quando si scopre che il Tesoriere ha fatto sparire con pagamenti irregolari una somma di circa tremila lire. Il Tesoriere viene minacciato di denuncia all'autorità giudiziaria. Nel panico generale, gli amministratori dell'Istituto fanno ricomparire nella cassa cinque mila lire.
L'incapacità, se non la disonestà, degli amministratori appare agli Inquirenti irrecuperabile, la situazione insanabile, si forma in loro il convincimento che una soluzione interna non produrrebbe alcun risultato positivo. La storia del Pio Istituto Regina Margherita finisce qui, con gli amministratori messi in uno stato di interdizione di fatto, con un commissario prefettizio, un tal signor Gagliardi, che ogni giorno si sposta in treno da Caserta a Teano, e viene a sedersi nella poltrona di Governatore dell'Istituto, per una indennità giornaliera di lire dieci, oltre al viaggio.

Giuseppe Lacetera
(da Il Sidicino - Anno X 2013 - n. 8 Agosto)