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Il testamento perduto di Tansillo

 

È il 28 novembre 1568. Le condizioni di salute di Luigi Tansillo sono improvvisamente peggiorate. Il poeta, squassato dalla tosse, fatica a parlare; il respiro è ridotto a rapidi e brevi sussulti del petto.
Il letterato romano Scipione Ammirato, che qualche mese prima gli aveva fatto visita durante un viaggio da Roma a Napoli, prende nota nel suo diario delle pessime condizioni di salute del poeta dovute a “grave malattia catarrale”, parla di un uomo vecchio e sfibrato che mostra molto di più dei suoi cinquantotto anni e scrive di temere fortemente per la sua vita.
Convinta che l'aria salubre di Teano avrebbe portato un rapido giovamento alla salute del marito, la bella e giovane moglie Luisa Puccio, appena sei mesi prima, aveva convinto Tansillo a dimettersi dall'incarico di “governatore e capitano di terra” di Gaeta per trasferirsi a Teano. Luisa e Luigi si erano sistemati provvisoriamente nella casa del suocero, il “magnifico” Pietro Paolo Puccio, un ricco esponente della borghesia terriera teanese che era assurto al rango di chierico dopo essere rimasto vedovo. Per la definitiva sistemazione, Luigi e la moglie avevano acquistato nell'agosto del 1568 dei terreni in località Bagnonuovo e progettato di costruirvi una casa immersa in quella natura tanto somigliante a quella che Luigi aveva disegnato nel “Canzoniere” come sfondo per i suoi petrarcheschi tormenti dell'animo.
La mattina del 28 novembre Luigi ha chiesto al suocero Pietro Paolo di convocare il notaio ed i testimoni perché intende dettare le sue ultime volontà.
Un piccolo corteo, composto dal notaio Antonio De Grandis, dal giudice Valentino Pulsitto di Teano, da uno scrivano e da sette testimoni attraversa, nel buio della sera novembrina, le vie del centro di Teano per recarsi, come annota lo stesso notaio, “in domo magnifici clerici Petri Paoli Puzii civitatis Theani, sui soceris, ubi incolat” ( a casa del magnifico chierico della citta di Teano Pietro Paolo Puccio, dove Tansillo abita).
Il centro di Teano, all'epoca del Tansillo, era quasi interamente occupato dall'aggregato di fabbriche che costituivano il castello. La parte più antica del recinto fortificato, il palazzo feudatario vero e proprio, che aveva resistito sotto i Del Balzo agli assalti delle schiere di Giovanna 1^, si presentava in uno stato di abbandono a causa degli incendi e delle distruzioni subiti. Annessa alla fortificazione vi era una chiesa in cui era stata sepolta la madre del proprietario del castello, il Duca Consalvo di Sessa. Del castello facevano anche parte il Loggione ed i locali dell'attuale Casina, adibiti fino all'occupazione francese a posto di riunione della Guardia Nazionale e poi a Tribunale della città. Il complesso si estendeva oltre l'attuale via Nicola Gigli fino alla Casa Comunale ed al Convento di San Francesco.
Il gruppo sale in casa Puccio e si dispone intorno al letto dal quale Luigi, “infermo di corpo, ma sano di mente” comincia a manifestare i suoi intendimenti che vengono puntualmente trascritti, sotto dettatura del notaio, con perfetta grafia dal fedele scrivano.
Dopo aver precisato di voler testare con la forma del testamento chiuso e suggellato (clausum et sigillatum), e prima di procedere a sistemare le cose terrene, Il Tansillo dichiara - e vuole che la dichiarazione venga posta al primo punto del testamento - di morire nella fede cristiana. La precisazione ha un forte significato quando si pensi che nella memoria del poeta sono ancora vivi i terribili giorni vissuti nel 1559, quando l'ira del Papa Paolo IV si era abbattuta su di lui dopo la pubblicazione del “Vendemmiatore”.
È forse l'opera più bella del Tansillo, ardita sintesi poetica che sviluppa, riassumendoli nell'elegante cifra linguistica del Bembo, i temi vitalistici rinascimentali, i toni della poesia ovidiana e le tradizioni popolari dei canti carnascialeschi. A causa della condanna al rogo della sua opera poetica, Il Tansillo paventò fortemente per la salvezza della sua anima e per l'integrità della sua mente. Implorò il Papa con componimenti poetici, chiese perdono per “l'incauto figlio malnato”, abiurò quasi al suo mestiere di poeta, e infine si fece raccomandare dal Cardinale Seriprando. La riabilitazione arrivò per mano di Pio IV e la sua opera fu cancellata “dall'Indice degli Autori e dei Libri proibiti”. Ma il poeta rimase segnato dalla terribile vicenda e la sua poesia non fu più la stessa. Si spensero da quel momento gli accenti di incondizionata fiducia nell'uomo e nei suoi mezzi che avevano suscitato l'ammirazione di Giordano Bruno e di Miguel de Cervantes, si trasformò in un cupo accento pedagogico l'eleganza formale che tanto aveva incantato l'Ariosto ed il Tasso e spinto l'Aretino ad una astiosa invidia.
È per questi motivi che Tansillo dispone che nessuna “mano aliena” tocchi il manoscritto de “Le lagrime di S. Pietro”, il poema sacro a cui ha affidato, con un lavoro maniacale durato sedici anni, il compito di riscattarlo dall'errore commesso in gioventù e di riconciliarlo con la Chiesa. Tansillo dispone che questa monumentale opera di espiazione sia affidata “ad totum arbitrium” dell'illustrissimo e reverendissimo Vescovo di Nola Antonio Scarampa e dell'Eccellenza Baldassarre de Torres, Maggiordomo del Duca di Alcalà.
Il Vescovo di Nola viene prescelto come “tutore, protettore e come un altro padre” dei suoi cinque figli Mario Antonio, Vincenza, Laura, Maria e Caterina.
Lascia la moglie Luisa padrona e signora di tutti i suoi beni, a condizione che non passi a seconde nozze. Qualora la moglie decidesse di “passare a secondi voti” le verranno assegnati “pro dotibus, spillatico et antefato” 1500 ducati di cui potrà disporre a suo piacimento.
Precisa poi che il magnifico Pietro Paolo Puccio non è stato lasciato tutore anche dei beni che egli possiede a Nola, affidati alla tutela di Francesco de Tanzillo ed al figlio Giovan Berardino, perché è vecchio ed ha già un gran daffare per amministrare i beni che ha in Teano.
Il poeta che aveva dato lustro alla corte napoletana di don Pedro de Toledo, il brillante uomo d'armi che aveva affascinato le più belle dame di corte ed era stato amato dalla Marchesa del Vasto, il letterato di cui si parlava entusiaticamente nei circoli letterari di Roma e di Firenze, detta al notaio che vuole essere sepolto, se egli morirà “di questa infermità”, con una sola luce, e di notte (nocturno tempore), dove la moglie vorrà.
Incarica Don Baldassarre di intervenire presso il Vicerè di Napoli affinchè mantenga le due promesse fattegli in passato di trasferire al figlio primogenito Mario Antonio gli incarichi, a lui già affidati per circa quarant'anni, di consigliere e guardia del corpo del Vicerè e di ufficiale presso la dogana di Napoli. Le figlie femmine saranno dotate e maritate ad arbitrio del Vescovo di Nola e di sua moglie.
Passa poi ad elencare i debiti ed i crediti da pagare e da esigere, e tra questi vi sono alcune partite annotate con polizze del Banco S. Paolo e del Banco dei Ravaschieri.
Ritorna, in questo passaggio del testamento, l'affetto che egli ha sempre nutrito per Venosa, la sua città natale legata al dolce ricordo della madre, quando chiede ai suoi eredi di rinunciare alla riscossione dei crediti da lui vantati nei confronti di tale Municipio come compenso per alcune missioni diplomatiche felicemente portate a termine.
Le ultime disposizioni riguardano un elenco di piccole elargizioni a favore di alcuni suoi domestici, uno dei quali è citato col solo soprannome di “franzese”, e di una tale Lucrezia Scaglione.
Il testamento si chiude con la frase autografa “Io Luisi Tansillo accetto ut supra mano prop.” e con la firma del poeta, seguita dalle firme dei sette testimoni, tra i quali un Giovanni Hordas, hispano.
Il 27 giugno 1884, verso sera, intorno ad un tavolo del locale Ginnasio, sono seduti due nostri concittadini, lo studioso Angelo Broccoli e il regio delegato Antonio Fumo, che, insieme ad un terzo interlocutore, l'Avv. Salvatore Spina, si dedicano, “con irrefrenato desio all'ambita lettura delle disposizioni dell'importantissimo atto”. Dopo lunghe ricerche negli archivi del notaio De Grandis, sono venuti in possesso del testamento sigillato la sera del 30 novembre ed aperto in presenza del cadavere di Tansillo la sera del 1 dicembre 1568. Si rigirano tra le mani, tremanti per l'emozione, il testamento con la firma autografa del grande poeta, lo leggono, lo commentano, prendono degli appunti. Ma poi, come dice il Broccoli, ruit hora, l'ora è tarda, ed i tre decidono di rimandare ad altra occasione un più approfondito esame del testamento, facendone avere magari una copia al Fiorentino. Da quel giorno più niente: anche il testamento si è dissolto, sepolto chissà dove, “nocturno tempore”.

Giuseppe Lacetera
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 12 Dicembre)