L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Claudio Gliottone
 
 

Giordano Bruno esempio di coerenza e libertà di pensiero

 

Il 17 febbraio del 1600, la bocca serrata da una mordacchia perché gli fosse negato anche il diritto di urlare, in Campo de' Fiori, a Roma, veniva “cristianamente” arso vivo Giordano Bruno, le cui ceneri vennero poi disperse nel Tevere, per evitarne ogni possibile culto.
Il suo nome vero era Filippo, ma lo aveva cambiato durante il noviziato nell'Ordine dei Domenicani, e la sua fine resta uno degli esempi più esecrandi della intolleranza religiosa, non solo questa volta, cattolica!
Ci vorranno altri due secoli perché Francois-Marie Arouet, detto Voltaire, vera summa di tutto il pensiero filosofico illuminista, nel suo “Trattato sulla Tolleranza”, rivolgendosi a Dio, si esprimesse così: “Tu non ci hai dato un cuore perché ci odiassimo, né delle mani perché ci strozzassimo... Fa' che coloro che accendono ceri a mezzogiorno per Te sopportino coloro che si accontentano della luce del sole, e che coloro che si coprono con un vestito bianco per dire che bisogna amarti non detestino quelli che dicono l'identica cosa indossando un mantello nero...”.
Voltaire era un “deista”, e con gli Illuministi, ben consapevoli delle laceranti guerre religiose o pseudo tali che avevano per secoli devastato l'Europa, proponeva un tipo di religiosità rivolta alla natura (sulla scia del “Deus sive natura” di Spinoza) che soprattutto affratellasse gli uomini, al contrario di quanto fanno le religioni “rivelate”. Queste infatti, proprio perché rivelate “da qualcuno a qualcuno”, non lo sono “agli altri”, i quali divengono perciò degli “infedeli” e dei nemici da combattere.
Ancora un secolo passerà prima che la figura di Bruno, divenuta nel frattempo, per le sue idee filosofiche e cosmologiche, culto, oltre che degli illuministi, di idealisti, scienziati, massoni, patrioti, liberali radicali, ricevesse la dovuta riabilitazione con la collocazione nel medesimo posto del suo martirio, in Campo de' Fiori, di una statua in bronzo. Ne fu promotore, ad unità d'Italia compiuta da poco più di vent'anni, un acceso comitato di intellettuali italiani e non, da Bertrando Spaventa ad Antonio Labriola, da Giosuè Carducci a Victor Hugo, a Bakunin, ad Armand Lévy.
Chiaramente la erezione del monumento fu oggetto di notevoli diatribe tra Stato e Chiesa che videro interessato anche il Governo, presieduto allora da Francesco Crispi, contro la Amministrazione filo-clericale di Roma che ne ritardava la posa con infiniti pretesti burocratici. Si arrivò alle dimissioni della Giunta ed a nuove elezioni che furono vinte dai liberali. Ed il monumento alla Libertà di pensiero si stagliò alto nel cielo di Roma il 9 giugno del 1989.
Da segnalare che Bruno era un personaggio abbastanza enigmatico, di grande cultura ed esperienza;
aveva girato tutta Europa insegnando nella maggiori Università; aveva ricevuto tre scomuniche, dai cristiani, dai luterani e dai calvinisti; fu tradito da un suo amico veneziano, Mocenigo, che lo consegnò alla Inquisizione romana, dinanzi alla quale non ritrattò alcuna delle sue tesi, come aveva invece fatto il suo contemporaneo Galileo, avendo salva la vita.
E di fronte al tribunale del Sant'Uffizio che gli leggeva la condanna pronunciò la famosa frase:
“Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam”: forse con maggiore timore pronunciate la sentenza contro di me, di quanto ne provi io nel riceverla.
Dovrà passare un altro secolo ed arrivare al 1 settembre 1999, prima che un grande Papa, non italiano, Karol Wojtyla, a nome della Chiesa chiederà perdono per la sua mancanza di ascolto e tolleranza nei confronti del pensiero moderno e della scienza, protrattasi per secoli e secoli.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XIX 2022 - n. 1 Gennaio)