Metti una calda domenica di inizio settembre, metti un ambiente dalla indescrivibile bellezza architettonica, tutto archi e volte a crociera, di enormi dimensioni; metti tutt'intorno stupende vestigia del passato etnico di un popolo di quasi tremila anni fa, dalla storia fiera e combattiva; metti una acustica perfetta in ogni angolo di quest'ambiente; metti l'amore per il bello e per l'arte in tutte le sue manifestazioni; metti la musica quale espressione più diretta di essa e metti, alla fine, dei bravi musicisti che la interpretano, ed avrai creato l'incanto che il MiBACT e la Regione Campania hanno saputo donarci per tre esibizioni settimanali.
Non è la prima volta, l'appuntamento è annuale, sorretto sempre dalla speranza che un'emozione diversa, avvertita più con l'animo che con i sensi, affinatrice di pensieri e di spiriti, con il cuore prima che con i sensi, riesca a prevalere, una volta tanto, sui piaceri balneari e solari di una giornata al mare. Ma resta una emozione per pochi, perché, ahimè, sempre troppo pochi sono quelli che riescono ad apprezzare più cose, dando lo spazio giusto ora a questa ora a quella, ma affinando sempre più il loro sentire e comprendere.
Un duetto di chitarra e mandolino, un fisarmonicista ed una violinista hanno allietato tre mattinate nel bellissimo Salone del Museo Sidicino, eseguendo brani di musica classica e colonne di film, ma anche di ballabili dal sound impegnato e impegnativo.
E per quella emozione che solo la musica sa darti, per quello scavarti dentro che ne consegue, per quell'invito silente, ma insopprimibile in chi si dispone ad accettarlo, ad andare oltre il semplice udire ed ascoltare, la mente trova immediatamente nel cuore il sostegno ed il punto di partenza per dispiegarsi e vagare in mille pensieri. Solo così riesce a superare le umane tristezze della vita quotidiana, le miserie che ti fanno dubitare mille volte della intera umanità, che ti sconvolgono la prospettiva di ogni futuro migliore per tutti, che ti fanno cadere le braccia di fronte alla ipocrisia, all'arrivismo, alla mediocrità, all'egoismo della maggior parte di noi uomini.
Pensi allora che in quel momento ti trovi al contatto con qualcosa che l'umanità ha saputo creare dal nulla, ha saputo coltivare e nutrire, ha saputo proteggere e rendere ad un tempo universale ed immortale; e non è opera di un solo uomo, ma di una grande fetta della schiera umana. Dal battito ancestrale, dell'uomo primitivo, con un bastone su un tronco cavo, alla perfezione musicale di un violino, alla pienezza direi orchestrale di una fisarmonica, all'armonia ed all'accordo di due strumenti a corda; e ripensi a tutti i passi che, uno dopo l'altro, sono stati compiuti da una infinità di persone per immaginarsi un motivo, per renderlo bello e musicale, per interpretarlo nel modo migliore; e contemporaneamente a quelli che hanno inventato il modo per trascrivere e rendere ripetibili ed eterni quei suoni così diversi da strumento a strumento armonizzandoli tra loro. E pensi, di conseguenza, a quelli che hanno inventato e costruito questi strumenti perfezionandoli negli anni e nei secoli per renderli sempre più piacevoli alle nostre orecchie. Non puoi, allora, non ammettere, in questo sistema chiuso ch'è il nostro mondo, e senza nulla voler togliere a tutto quanto, vivente o non, in esso esiste, la superiorità dell'essere umano.
Quel fisarmonicista che ascolto è nient'altro che la sintesi di un percorso lunghissimo ed affollatissimo, un punto di arrivo, in quel momento, di un aspetto della Storia Universale, che non possiamo, come diceva Croce, non avvertire come “storia contemporanea” perché gli “interessi pratici porgono la materia” affinché sorga la Storia, la quale, poi, “consuma o cancella la materia nella forma: la consuma, ma per consumarla deve trovarsela innanzi, ed in quel consumarla si svolge l'opera sua” (B. Croce).
Una consapevolezza che dovrebbe esaltarci!
Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 7 Settembre) |
