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Settantacinque anni fa l’Italia, assieme alle maggiori nazioni europee, usciva disastrata da una rovinosa quanto stupida guerra, ammesso che qualcuna possa ritenersi intelligente. I danni da questa provocati furono immensi, sul piano dei caduti militari e civili, quanto su quello della distruzione economica; ci fu anche chi, come in ogni catastrofe, seppe far tesoro delle disgrazie altrui per accumulare fortune, come coloro che gestirono il mercato nero degli approvvigionamenti alimentari, o quelli che riconvertirono produzioni industriali, ma la miseria dominò incontrastata tra lo stragrande numero di persone.
Le forze democratiche avevano vinto una dura tenzone contro i totalitarismi nazifascisti, ma la vittoria, pur in tutta la sua grandezza, era, allo stato, magra soddisfazione, di fronte agli enormi danni già provocati e a quelli che sarebbero accaduti se non si fosse immediatamente messo mano alla ricostruzione.
Tra i più illuminati ed efficaci metodi per attuare quanto detto fu l’”European Recovery Program”, più noto come “piano Marshall” dal nome del Segretario di Stato Americano che ne annunciò al mondo la approvazione del governo degli Stati Uniti. Con grande lungimiranza gli USA si resero conto che se la intera Europa fosse rimasta per lungo tempo in uno stato di miseria, perdendone il mercato, avrebbero avuto anch’essi conseguenze economiche; ma non mancò l’interesse politico, volto a legare le vecchie e nuove emergenti democrazie tra loro ed a loro, mentre si delineava all’orizzonte quella che Churchill definì “una cortina di ferro” che si calava a dividere l’Europa in due blocchi di influenza.
Furono stanziati, fino al 1951, ben 14 miliardi di dollari; all’Italia andarono 1204 milioni, terza dopo la Francia con 2296 milioni, e la Germania dell’Ovest con 1448. Per dirigere il tutto fu creato un Organismo per la Cooperazione Economica Europea (OEEC); ma la vera novità fu che questa organizzazione spinse i beneficiari ad utilizzare gli aiuti non per fronteggiare le contingenze del momento, ma per avviare una trasformazione strutturale delle loro economie. Furono pertanto incentivati, senza trascurare i generi di prima necessità, gli acquisti di macchinari, mezzi di produzione e combustibile per realizzare impianti industriali; ed i risultati non mancarono.
Poiché, degli avvenimenti storici, abbiamo soprattutto lunga memoria, ricordando, ad esempio, la guerra di Troia ed i suoi risvolti o la vita e le imprese di Cesare, ma meno o del niente le vicende più vicine, quelle che magari abbiamo anche vissuto, mi piace ricordare due scelte economiche e politiche che favorirono, per quanto riguarda l’Italia, il cosiddetto “miracolo economico” degli anni ’60.
La prima fu “il piano casa” emanato con la legge 49 del 28 febbraio 49 che passò alla storia come il “piano Fanfani” che dal ’47 al ’50 fu Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, previsto per sette anni, ma rifinanziato per altri sette con la legge 1148 del 1955. L’iniziativa mirava al rilancio edilizio, così necessario dopo le distruzioni belliche, ma soprattutto all’assorbimento di un gran numero di disoccupati oltre che la costruzione di alloggi per le famiglie a basso reddito. Intervento sicuramente ispirato alle teorie economiche di Keynes, già fatte proprie nel 1942 da Beveridge, ministro inglese al quale Churchill aveva affidato l’elaborazione di un piano “per le assicurazioni sociali e i servizi assistenziali”.
Il “piano Fanfani”, alla sua scadenza, aveva aperto ventimila cantieri e costruito 335.000 alloggi, e dato lavoro a 41.000 operai edili.
La seconda, ma non sembri meno importante, fu l’approvazione della legge 958 del 29 dicembre 1949, che emanava notevoli vantaggi per la produzione cinematografica nazionale ma, soprattutto, vietava ai produttori stranieri di esportare all’estero i guadagni realizzati in Italia, obbligandoli al loro reinvestimento in loco. Questo grazie alla presenza, in Italia, di quel grosso complesso di produzione scenica che era “Cinecittà” , voluta da Mussolini nel 1931 e trasformata, negli ultimi due anni di occupazione nazista, in campo di concentramento per i civili rastrellati a Roma e dintorni. Fu grazie a questa legge che Cinecittà divenne la “Hollywood sul Tevere” con un ritorno che non fu solo economico ma anche sociale, perché i migliori artisti e registi stranieri furono costretti a venire e a vivere a Roma per diverso tempo, attivando un circuito di ospitalità, di divertimento, di crescita culturale che sfociò negli anni della “dolce vita” di felliniana memoria.
Due provvedimenti di diversa ispirazione, keynesiano il primo e protezionistico il secondo, ma che dettero entrambi grandi risultati nella crescita del nostro paese.
Da questa illuminante premessa nasce un drammatica domanda: saremo in grado, in tempi di ristrettezze economiche previste e causate dal feroce impatto col Covid, attuare un piano di rinascita all’altezza, che sappia contemperare welfare e crescita finanziaria?
Le premesse, sino ad oggi, non sembrano delle migliori: col reddito di cittadinanza erogato anche a mafiosi e ‘ndranghedisti, con il reddito di emergenza, che ne sarà copia conforme e più allargata, con l’assistenzialismo eretto a massima ispirazione sociale, senza partecipazione produttiva, con l’accoglienza filantropica di tutto e di tutti, con donazioni familiari per forza di cose limitate nel tempo, e via dicendo, riusciremo a far essere efficaci i soldi attinti dal MES al quale decideremo di accedere, ma che prevede, contrariamente al piano Marshall, una loro restituzione con interessi, pur se ridotti?
Riusciremo a cavar qualcosa di valido dalle proposte degli altisonanti “Stati Generali” economici o dal piano Colao, sicuramente grande dirigente della Vodafone, affetto anch’egli da delirio digitale, ma non saprei quanto conoscitore di storia o di politica?
Lo speriamo con tutto il cuore, ed avremo per loro la stessa riconoscenza che avemmo per Fanfani o per Andreotti, promotore della legge sul cinema.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 4 Giugno)