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Se il populismo va di moda (seconda puntata)

 

Nella puntata sul precedente numero di questo giornale ci eravamo lasciati con la costatazione della nascita alquanto subdola, in Italia, di una “democrazia pseudo – popolare” a fronte di una “democrazia liberale”.
Son volato leggero sulla ipotesi, ma analizzando meglio le cose, si può forse affermare che da una “democrazia liberale” sta nascendo una “democrazia popolare”.
Orbene il liberalismo e la democrazia, fin quando coesi ed autolimitantisi, rappresentano sicuramente la miglior forma di governo, quella che hanno sempre avuto paesi a storica impronta democratica, come l'Inghilterra o gli Stati Uniti, e che è nata da noi solo nel secondo dopoguerra. La loro forza sta nel fatto che, assieme, hanno a cuore sia la volontà popolare sia lo stato di diritto, sia il fatto di lasciar decidere il popolo che la tutela dei diritti individuali. Ed ognuno dei due sistemi ha bisogno, per esistere nella sua purezza ideologica, dell'altro: la democrazia senza il riconoscimento dei diritti individuali corre il rischio di trasformarsi nella tirannia della maggioranza (come è stato nei paesi dell'est), mentre la sola tutela dei diritti potrebbe offrire vantaggi ai più potenti, sia economicamente che politicamente, fino alla tentazione di escludere il popolo da un numero crescente di decisioni importanti. Così un sistema in cui sia il popolo a scegliere assicura che i potenti non possono calpestare i diritti dei più deboli, mentre lo stesso sistema nel quale siano assicurati i diritti delle minoranze assicura che il popolo possa cambiare le sue scelte per mezzo di libere elezioni.
Ora cosa sta accadendo nel mondo e in Italia, che del mondo fa parte?
Analizziamo prima gli Stati Uniti, la democrazia più antica e potente del pianeta. Gli americani hanno eletto per la prima volta un Presidente che disprezza le norme costituzionali di base, che ha messo in dubbio, ad urne non ancora aperte, se accettare o meno l'esito delle elezioni, che ha minacciato di far arrestare la sua oppositrice politica, e via discorrendo. Così pure in Russia e Turchia leader forti, legalmente votati, stanno trasformano democrazie fragili in dittature elettive; e altrettanto dicasi per la Polonia e l'Ungheria.
Fino a venticinque, trenta anni fa gli abitanti delle democrazie liberali erano soddisfatti dei loro governi ed osservavano le istituzioni, e gli avversari politici erano uniti dal comune rispetto per le regole e le norme essenziali della democrazia. Oggi è molto diverso, e la caparbietà per la approvazione di una legge finanziaria che supera i limiti di deficit concordati con gli altri paesi europei, è proprio la dimostrazione del non rispetto delle regole. Ci potrebbe andar bene, ma potremmo creare danni ad altri.
Questo è un comportamento populista: la volontà del popolo non deve essere mediata, e qualsiasi compromesso con le minoranze significa corruzione. Visione profondamente democratica nel senso etimologico della parola (dal greco “demos” = popolo), ma altrettanto profondamente illiberale quando è convinta che la volontà del popolo non debba essere ostacolata né da istituzioni indipendenti (vedi Europa) né da diritti individuali.
Il bello è che sia in America che in Russia, in Ungheria come in Turchia, l'accentramento dei poteri nelle mani di pochi o di uno solo, sta avvenendo in maniera “democratica” ma certamente illiberale, senza marce su Roma o incendio del Reichstag.
In Italia l'avanzata populistica pare forte, ma non credo, allo stato, inarrestabile. Potremmo dare esempio internazionale di moderazione e raziocinio, soprattutto perché non mi pare emergano figure politiche di notevole spessore, ed, in fondo in fondo, un po' di liberalismo lo abbiamo tutti nel sangue.
Ma il pericolo esiste: dovremo stare attenti. Molto.

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XV 2018 - n. 10 Ottobre)