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Se il populismo va di moda (prima puntata)

 

Va di moda, ed è del resto facile, parlare di “populismo” riferendosi al rivolgimento politico che da qualche anno interessa non solo l'Italia, ma ha assunto svariate forme e dimensioni anche in altri paesi del mondo, dagli Stati Uniti di Trump alla Bulgaria, non trascurando la Francia e la stessa Germania. Da noi il fenomeno appare più chiaro perché si è espresso configurandosi in due forze all'apparenza antitetiche che sono il Movimento 5 Stelle e la Lega di Salvini e, con esse, ha conquistato la maggioranza di governo.
Chiarito che il movimento politico culturale interessa più paesi, nel nostro, per l'atavico vizio di piangerci addosso e di attribuire le colpe sempre agli altri, ha trovato facile pabulum nella protesta sempre viva contro tutto e contro tutti. Ma non sempre chi protesta ha torto! Anzi.
Poiché abbiamo anche la memoria corta, cerchiamo di fare un po' di storia e soprattutto cerchiamo di prevedere quali rischi sono legati alla adesione sic et simpliciter al populismo protestatario.
Pochi sanno che dal 1992 al 2018 (solo 26 anni) in Italia:
- Si è votato per il Parlamento 8 volte (mediamente ogni 3 anni e mezzo)
- Si è votato con quattro leggi elettorali diverse, di cui due dichiarate incostituzionali
- Abbiamo sonoramente bocciato due referendum di riforma costituzionale
- Abbiamo avuto 17 governi con 11 diversi Presidenti, di cui almeno due non eletti.
Nello stesso periodo:
- La Germania ha avuto solo 3 Cancellieri
- L'Inghilterra solo 5 premier
- La Spagna solo 5 primi ministri
Sembrerà ridicolo ma per governare (male) la sola Italia ci son voluti, a momenti, più premier che non per governare Gran Bretagna, Germania e Francia messe assieme.
Questo significherà pur qualcosa ed avrà le sue cause e queste produrranno pure i loro effetti!
Affrontare il tema è impervio, rischiando di cadere in un facile “qualunquismo”, ed evitare questo richiederebbe giorni e giorni di meditazione e pagine e pagine di spazio. Ma poter esprimere il mio parere, come sempre, mi esalta. Ci proverò.
Chiariamo innanzi tutto che un “effetto” storico non ha le sue cause in quello che è accaduto il giorno prima, ma è il risultato del cumularsi di infiniti ed a volte insignificanti avvenimenti che portano al suo verificarsi. La indipendenza Americana, la Rivoluzione Francese, La Rivoluzione Russa, l'Unità d'Italia hanno covato i loro germi per decenni e decenni prima di vederli esplodere e realizzarsi. E non son mancate illustri menti che li hanno previsti, studiati prima che accadessero, assecondati e qualche volta persino guidati. Così come in ognuna di esse c'era un germe che è passato da nazione in nazione; figuriamoci oggi nel paese globale.
E allora, per il nostro caso specifico, dobbiamo risalire al cambiamento epocale che ha riguardato la politica mondiale, con il crollo dei blocchi ideologici, con la scomparsa delle forme di partito, con l'uniformarsi tra di loro ed per qualche verso amalgamarsi delle diverse visioni politiche per cui non ha più senso parlare di liberalismo o socialismo o comunismo, mentre le posizioni della destra non sono più nettamente distinguibili da quelle della sinistra, ma finiscono per spalmarsi l'una nell'altra.
E allora se quarant'anni fa una forza politica aveva sì l'obiettivo di ben governare, ad esso si univa la “necessità” di farlo perché un suo cedimento avrebbe potuto rappresentare un cambiamento totale della gestione statale: vedi socialismo versus liberismo, ovvero statalismo contro libera imprenditoria, giusto per citare un esempio.
Questa necessità portava le forze di governo a cercare e metter in campo gli uomini migliori, intellettualmente onesti e preparati, in grado di pensare cose che sicuramente sfuggivano alle masse, e ad essere tutte coese e compatte nelle rispettive strategie politiche perché altrimenti il prezzo da pagare sarebbe stato, come poi è stato, troppo alto.
Si avevano allora governi dai programmi chiari e leggibili, sempre alla base di ogni iniziativa intrapresa, sempre coerenti con la proposta e la risposta elettorale; era quello il cemento che garantiva governabilità “senza avventure”, come recitava uno slogan elettorale della vecchia Democrazia Cristiana alla vigilia del temuto connubio con il Partito Socialista di Nenni.
Finito questo per le cause sopra esposte, c'è stata una esondazione di idee improvvisate, di Masanielli resuscitati, di presuntuosi dalla ricetta facile e di immensa partecipazione popolare finalizzata non al miglioramento reale del sistema, ma unicamente alla guida della protesta contro le cose che sicuramente non andavano, visto che dall'altra parte era venuto meno la “necessità” a farle andare per il meglio.
Si è verificata la nascita di una “democrazia simil popolare” a fronte di una “democrazia liberale”.
Vedremo nel prossimo numero cosa significa quest'ultimo assunto, le differenze tra le due cose ed i rischi che ciascuna di esse ha insiti in sé.
(segue nel prossimo numero)

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno XV 2018 - n. 9 Settembre)