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Acquaiuolo, l'acqua è fresca?

 

“La corruzione dilaga, i cittadini non possono più fidarsi delle istituzioni e degli altri cittadini, nessuno è più sicuro del proprio futuro”. A scriverlo non è il quotidiano “La Repubblica”, nazionale censore di tutto e di tutti, ma il filosofo Platone nella cosiddetta “settima lettera” oltre duemila e quattrocento anni fa.
Nulla di nuovo sotto il cielo: anche oggi la corruzione dilaga più che mai. Non v'è istituzione che non conti qualche dipendente corrotto, non v'è cittadino che in un modo o nell'altro non indulga ad escamotage d'ogni genere per ottenere qualcosa: dalla tangente pagata per la pratica di costruzione, alla raccomandazione per il ricovero in ospedale. La cronaca recente non stupisce più: ci stiamo mitridaticamente abituando al peggio.
Platone pensò che la colpa fosse della democrazia allora imperante in Atene...e non era ancora “democrazia cristiana”! Ma non perché fosse permissiva e indulgente: solo perché consentiva che giungessero al governo della città personaggi per così dire “ineducati” alla politica, che lui intendeva come un vero e proprio servizio reso al popolo. Platone riteneva infatti che il governo dovesse essere espletato esclusivamente dai “filosofi”, studiosi che non avevano altri interessi che di perseguire ed insegnare la verità e la giustizia.
Si convinse talmente di tanto che abbandonò la democratica Atene per recarsi a Siracusa, dove imperversava il tiranno Dioniso; lo fece, spiegò, perché avrebbe potuto educare una sola persona, il tiranno, alla giustizia ed all'onestà e questi poi, in grazia del suo potere tirannico, avrebbe potuto trasmettere questa educazione ai maestri e questi, successivamente, alla gioventù perchè alla fine prendesse vita quel circuito virtuoso sul quale dovrebbe basarsi la democrazia.
Non riuscì nell'esperimento, e se ne ritornò ad Atene.
Aveva però sicuramente centrato il problema: nessuna coercizione mai, nessuna legge, nessuna persecuzione potrà dissolvere la corruzione e l'ingiustizia. Può farlo solo la educazione, il radicato convincimento di valori universali che divengano stile di vita. Solo la scuola in senso proprio e figurato potrebbe, e qui il condizionale è d'obbligo, formare una nuova società .
Venendo a noi, il ministro che non sa chi gli ha pagato la casa, il falso cieco che percepisce una pensione e fa tre lavori diversi, l'arbitro che, pagato, fischia il rigore che non c'è, il secondino che porta la droga in carcere, il carabiniere che ricatta il personaggio famoso e via disquisendo, non potranno mai essere fermati da nessuna legge e da nessun gendarme, perché si dovrebbe arrestare non una persona fisica, ma una predisposizione mentale, una inclinazione naturale.
Che questa inclinazione naturale negativa sia o meno patrimonio di tutta l'umanità è difficile stabilirlo; sta di fatto che un altro filosofo importante non meno di Platone, Emanuele Kant, parlò di “legge morale”, questa sì positiva, insita in ogni uomo.
Sarebbe allora verificabile la ipotesi del filosofo ateniese: educando i cittadini alle virtù, si ridurrebbe enormemente il dilagare della corruzione in senso lato.
Non v'è dubbio che oggi la scuola sia latitante da questo punto di vista di individuazione e di insegnamento della virtù, con l'aggravante che le remano contro tantissimi altri fattori, il più grave di tutti è quello che bisognerebbe educare ad essa per primi gli educatori. Il gap che si è infatti aperto tra educatori ed educandi negli ultimi cinquant'anni ha, direi brutalmente, interrotto quella trasmissione di “buoni sentimenti” che mancano oggi ai primi non meno che ai secondi. Le famiglie non sono da meno in questa graduatoria al negativo, formate da genitori che per primi hanno cominciato ad “adattarsi” alla corruzione ed alla disonestà, dandola poco per volta per scontata e quasi cosa normale.
La politica come servizio da rendere al popolo, da parte dei filosofi, diceva Platone.
Ora se è arduo trovare anche un solo filosofo che voglia governare, è ben più arduo trovare un moderno politico che voglia rendere un servizio al popolo. Più che renderlo, diciamo che glielo...fa, il servizio!
La natura di questo foglio, mensile e per scelta poco rivolto alla cronaca locale, se da un lato pecca nella immediatezza della notizia, dall'altra consente una visione di essa più ampia e pacata, e forse in quanto tale più utile, perché commentata a freddo e arricchita di nuovi particolari. E a proposito di servizio reso al popolo non può mancare qualche considerazione sulla vicenda dell'acqua all'arsenico!
Già in molti hanno notato e fatto notare la leggerezza con la quale si è mossa la amministrazione comunale; non tanto nei provvedimenti, al momento di andare in macchina tutti da verificare, intrapresi, quanto nel difendere il popolo da una minaccia che gli veniva dall'acqua, “humele e casta”, principio taletiano di tutte le cose. Perché la prima difesa da una minaccia si attua facendo conoscere in pieno, in tutto e per tutto, la sua natura e la sua dimensione. Ed in questo la amministrazione comunale, facile sponsor di cartelloni pubblicitari per le più svariate cacchiate, ha fortemente peccato: nel dare al popolo reale, diffusa e precisa informazione del problema. Il “ciclostilato” (una volta si chiamavano così) affisso nei posti più nascosti ed impensati era impressionante per la sua vaghezza, trattandosi, si pensa, di una ordinanza che disponeva il divieto dell'uso ai fini alimentari dell'acqua proveniente dai serbatoi di Santa Reparata, ma non avente alcun carattere formale di ordinanza, mancando in essa la dicitura, l'oggetto e il numero di registrazione. Una bufala delle migliori: quali zone sono servite dai serbatoi di Santa Reparata? Chi lo sa alzi la mano. E chi sapeva al momento del perché non la si dovesse bere, alzi ancora la mano.
Ora che siete rimasti con le mani alzate, chiudete a pugno la mano sinistra e sullo stesso braccio appoggiate con una certa energia il palmo della mano destra: salutate così chi scherza con la vostra salute!
Perché il problema, pur se di portata limitata e facilmente risolvibile, resta serio nella inadeguatezza e superficialità con cui è stato affrontato; inadeguatezza e superficialità che dimostrano ancora una volta come l'attenzione dei nostri governanti sia più seriamente rivolta ad altri problemi: la nomina degli scrutatori, la gara d'appalto per questa o quella ditta, l'assunzione di tizio o caio al nuovo supermercato, e via discorrendo. Ma questo non è servizio reso al popolo: questo è servizio reso a qualcuno in previsione di un proprio tornaconto, è servizio reso a se stessi.
A proposito, qualche tempo fa si diffuse la notizia del rinvenimento nei capelli di Napoleone di forti tracce di arsenico, lo stesso presente nell'acqua in questione. Si avanzò l'ipotesi che gli inglesi, suoi acerrimi nemici , lo avessero avvelenato lentamente propinandogli quotidianamente dosi subentranti di tale sostanza fino a devastargli il fegato ed altri organi vitali. La cosa rimase nel campo delle ipotesi. Ma l'arsenico presente nella nostra acqua, ahimè, è ben più di una ipotesi!
Viva il popolo sovrano ed i suoi governanti!

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 6 Giugno)