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Indice Claudio Gliottone
 
 

Considerazioni...

 
...sulle celebrazioni per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia - Caro Sindaco Picierno, caro Assessore Pentella...
 

...non abbiate “il cuore contro di noi indurito”, come cantava François Villon nelle celeberrima “Ballata degli impiccati”, se torniamo per un attimo sul problema dei festeggiamenti garibaldini!
Perché “se pietà avrete di noi”, e ci risparmierete pacchianate et similiaria che alcuna relazione hanno con il ricordo e l'importanza dello storico evento… “dio ne avrà per voi molta di più.”!
Checché oggi, con facile revisionismo ed audace spirito retrospettivo, se ne voglia dire, l'Unità d'Italia ha rappresentato per noi il più grande evento storico, rimanendo ancora ora inimmaginabile una condizione geografico-politica diversa. Inimmaginabile per noi, italiani dalle Alpi alla Sicilia, ma anche per tutta l'Europa moderna e per il mondo intero.
E questa unità, così agognata per secoli e secoli, eppure così recente, così nuova che ancora stenta a saldarsi negli animi come unitario spirito di appartenenza, senza odiose divisioni tra Nord e Sud, senza antipatiche rivendicazioni di capacità produttive o contributive, la si ottenne soprattutto per un atto di lungimirante politica di quel genio di Statista che fu Camillo Benso, conte di Cavour.
Egli comprese che mai nulla, pur essendo i tempi storici più che maturi per l'evento, si sarebbe potuto compiere senza la attenzione e la partecipazione di tutti gli Stati dell'Europa di allora: nessuna insurrezione, nessuna rivoluzione, nessuno schieramento di eserciti, nessuna “garibaldinata” avrebbe mai sortito effetto, se la “questione italiana” non fosse stata conosciuta, condivisa e voluta almeno da una parte delle grandi potenze dell'ottocento.
I moti del '21, quelli del '48, i moti mazziniani, tutti finiti nel sangue, ne erano la prova evidente.
E si mise di lena ad organizzare il suo piccolo stato, il Piemonte, dotandolo di strade e di canali navigabili, risanandone la economia, rigenerando un esercito che, al di là di quelli che saranno poi i risultati sul campo, dimostrasse coraggio e fedeltà, cosa puntualmente avvenuta.
Poi attirò l'attenzione dell'imperatore francese, Napoleone III, non rinunciando anche a solleticare la di lui nota predilezione per le donne attraverso sua cugina, la contessa di Castiglione; e dell'Inghilterra pur ostile ai Francesi, giocando abilmente sui tavoli della diplomazia, perché se uno doveva aiutarlo, l'altro non doveva ostacolarlo. Ma lui ottenne ancora di più: addirittura il sostegno materiale ed economico di tutti e due gli stati, pur in conflitto tra loro.
Le basi per l'unità d'Italia erano state gettate: la storia a seguire, fino al 26 ottobre del 1860, non fu altro che il naturale evolversi di un copione dalle solide basi.
Quel che è successo dal 27 ottobre di quell'anno ad oggi è la storia dell'Italia senza aggettivi, di una nazione europea che occupa il suo piccolo spazio fisico, ma domina con il suo gigantesco spazio storico, che va dalla civiltà etrusca al made in Italy, da Cesare a Versace, da Leonardo ai fratelli Abbagnale, da Galileo a Guglielmo Marconi!
Una celebrazione dell'incontro tra il re del Piemonte e il generale Garibaldi, amici sindaco ed assessore, a modestissimo avviso di chi scrive, che pur ritiene di non aver vissuto in questa città inutilmente per essa, deve essere allora una celebrazione di tutta l'Unità d'Italia, perché quell'avvenimento ne fu la sigla finale, il sigillo in ceralacca, il suggello di fuoco: da quel punto non si potrà mai tornare indietro!
E credete voi che lo si possa fare con “nani e ballerini”?
Se sì, contenti voi e contenti quelli che accontenterete, i quali poi accontenteranno voi!
Se invece pensate che sia necessario, doveroso, insigne, farlo in altro modo, imparate dal Cavour: preparate le strade della nostra città (ma senza il sesquipedale obbrobrio di Piazza Giovanni XXIII), magari con un degno simbolo artistico dell'Incontro, organizzate l'esercito di validi volenterosi e poi cercate di attirare l'attenzione dell'Italia!
La quale, pur avvezza alle cavolate del “Grande Fratello” o dell' “Isola dei famosi”, non si lascerà ammaliare dalla sagra del pesce lesso o della fresella col pecorino: vorrà molto di più.
Vorrà potersi fermare un attimo e riguardare a questi suoi primi centocinquant'anni, così gravidi di avvenimenti e di personaggi. Più volte nella polvere e più volte sull'altare: da Crispi a Giolitti, da Mussolini a De Gasperi, da Craxi a Berlusconi, dalla monarchia alla dittatura, alla democrazia.
Vorrà poter meditare un anno intero sul passato e sull'avvenire, così intimamente legati.
Perchè la Storia ha un gran pregio: quello di essere antecedente, di essere accaduta prima di essere raccontata; e a raccontarla e a studiarla non esistono limiti di tempo o di indagine. Lo studio della storia non può avere fine, perché esso evolve giorno per giorno a seconda di chi si pone ad attuarlo e a seconda che lo abbia fatto ieri o lo faccia oggi, o domani o domani l'altro, dacché tutto è relativo.
Chiamate a raccolta gli studiosi più eminenti, gli storici più importanti, i politici più colti; offrite loro lo spunto, l'occasione, il tema per confrontarsi ed esprimersi, e la nostra città occuperà un nuovo posto nella storia d'Italia.
Istituite un grosso premio, che sia cinematografico, che sia letterario, che sia di giornalismo, che sia di teatro, ma che vivacizzi con la sua sostanza tematica questa città e quel che rappresenta nel cammino della unità.
Pensate ad una grande campagna nazionale di studi risorgimentali!
Perché un movimento storico come quello di cui stiamo parlando non è fatto solo di atti di guerra, di fucilate, di battaglie, e di tatticismi politici.
E' fatto, ad esempio, anche di economia, di denaro, di finanziamenti, di investimenti, che lo precedono, lo accompagnano e lo seguono.
E sappiamo per certo che un eminente docente della Facoltà di Economia della Università di Bari, con propaggini teanesi, abbia già proposto e si sia offerto per organizzare un dibattito nazionale proprio sul tema della economia italiana al tempo della sua unificazione.
Ci sembra una occasione di richiamo, di stile e di cultura da non perdere.
Ma voi… «n'ayez le coeur contre nous endurci»!
Mercì!

Claudio Gliottone
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 2 Febbraio)