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La vendita delle reliquie e...

 
...la beffa della reliquia di S. Reparata
 

Nel Medioevo il culto dei Santi faceva da sentimento contrastante alla paura del male. La gente tendeva ad associare il male con oggetti che le erano familiari, così cercava di dare qualità umane alle forze del bene. Questa maniera di pensare era comune in occidente già nel V secolo. Anzi, prove inconfutabili dimostrano che la venerazione delle reliquie dei santi esisteva già nel secondo secolo. In ”Biblioteca Sancthorum” si legge il martirologio di S. Terenziano, primo vescovo di Todi: ‹‹Nel 118, durante l'impero di Adriano, Leziano, proconsole della Tuscia, fa arrestare il vecchio Vescovo che viene torturato, processato e condannato a morte per decapitazione. Le reliquie del Santo sono sparse e venerate, a Todi e nelle città di Tortona, Parma, Teano, Capua ecc.››. Benedetto Pezzulli scrive:‹‹Negli anni del Signore 150 essendovi stato miracolosamente portato il braccio destro di S. Terenziano Martire, figlio di famiglia patrizia teanese, primo vescovo di Todi, nativo di questa città, come riferisce Ludovico Iacobbe nelle vite dei Santi dell'Umbria, che primo fu dichiarato protettore dell'isola di Sora (…) La festa del quale santo celebrasi al I di settembre; che perciò dopo la venuta di S. Paride fu questo S. Terenziano dichiarato protettore in quarto luogo››. Ed ancora in una lettera scritta intorno a 156 alla Chiesa di Filomelio, i cristiani di Smirne descrivono il martirio del Vescovo Policarpo, morto sul rogo poco tempo prima. La lettera dice che alcuni cristiani raccolsero le ossa del Vescovo e le deposero in luogo sicuro dove potevano venerarle. Secondo S. Agostino, le reliquie sono ‹‹ templi della fede›› che i cristiani dovevano venerare per associarsi ai meriti dei martiri sì da assicurarsi la loro intercessione attraverso la preghiera. Alla metà del XIII secolo S. Tommaso d'Aquino riassume tutte le varie opinioni sostenute ai suoi tempi, concludendo che le reliquie andavano venerate.
Dal quarto secolo in poi si disse che le chiese per essere consacrate dovevano contenere le reliquie dei santi. Nel 787 il secondo concilio di Nicea insistette e decretò sull'uso delle reliquie per consacrare le chiese. Tutte le chiese, che erano state consacrate senza reliquie, dovevano procurarsene alcune il più presto possibile. La conversione della Francia settentrionale, dell'Inghilterra e della Germania portò nel gregge cristiano popoli con pochi martiri locali e fu necessario procurarsi le reliquie all'estero. In pratica essi se le procuravano di solito a Roma; nell'VIII e IX secolo ci fu una lunga serie di traslazioni e di suddivisioni delle reliquie di Roma a beneficio di quei popoli appena convertiti. Nel tardo-antico, ovunque, si praticava il culto dei santi e quindi il culto delle loro reliquie. Il commercio di queste si rivelò in breve tempo un vero e proprio business. Possedere reliquie significava possedere tesori, per cui ci fu una corsa all'accaparramento, all'acquisto, alla collezione e persino al furto di corpi, o parti di essi, non santi, venduti come sante reliquie. Per i monaci di Montecassino i tesori più grandi erano le reliquie dei santi e principalmente, lo furono, il corpo del loro fondatore, S. Benedetto e quello della sorella S. Scolastica. Quando nell'883 fu distrutta dai Saraceni l'Abazia di Montecassino, i monaci furono costretti a trasferirsi in una delle loro piccole dipendenze monastiche, la cella Benedettina di Teano, con sacchi di viveri, documenti, libri, codici, paramenti sacri, ma soprattutto con un gran numero di reliquie e reliquari che rappresentavano il vero tesoro .
Dalla compravendita delle reliquie alla vendita delle indulgenze il passo fu breve. Nel XII secolo nacquero, con gli anni giubilari, più o meno spontaneamente, le indulgenze stazionali; le chiese ricevevano il loro patrimonio d'indulgenze attraverso una concessione formale. I visitatori di S. Pietro, se erano italiani, lucravano un'indulgenza di due anni, se venivano da più lontano di tre anni. Il Papa più prodigo d'indulgenze fu Nicolò IV che concesse alla Basilica di S. Pietro sette anni e sette quarantene, e poco tempo dopo concesse lo stesso privilegio alla Basilica Lateranense, alla Basilica di S. Paolo ecc. Dopo anni la chiesa modificò l'acquisto dell'indulgenza. Il pellegrino non doveva recarsi obbligatoriamente a Roma, ma bastava recarsi in una cattedrale, dispensatrice di indulgenze, e versare l'equivalente somma del viaggio e soggiorno a Roma. Furono moltissime le persone che per mettere a posto le loro anime per l'aldilà elargirono immense somme. Dalle indulgenze nacquero o si abbellirono chiese e cattedrali.
Cesare Marchi, nel suo libro “Grandi Peccatori Grandi Cattedrali”, ci racconta che il Battistero del bellissimo S. Giovanni, diventato piccolo come cattedrale per l'aumento della popolazione fiorentina, fece passare il titolo di cattedrale alla vicina chiesa di S. Reparata. Ma anche questa chiesa si rivelò vecchia ed inadeguata per cui i Priori decisero di costruire una nuova cattedrale da superare, in bellezza, il Duomo di Pisa e le cattedrali di Lucca e Siena. Altro grande rammarico dei fiorentini era quello di non aver mai posseduto le reliquie di Santa Reparata nella chiesa a lei intitolata. Saputo che nel convento delle Benedettine di Teano c'erano le spoglie della Santa, chiesero alle monache di vendergliele interamente o almeno una parte. Un brevissimo inciso col dovuto rispetto per lo scrittore Marchi. Domenico Giordano, ci ricorda che il corpo di S. Reparata fu traslato dal convento in cattedrale intorno all'880. Le Benedettine risiedevano in questo convento dalla sua fondazione, che risale all'inizio dell'800, fatto costruire da un conte Longobardo di Benevento, anche come ricovero vitalizio della propria figlia inferma: Paga. Le monache vi rimasero fino al XVI secolo, cioè fino a quando il concilio tridentino proibì a tutte le suore di risiedere in conventi fuori la cinta murale delle città. Anche le benedettine di Teano dovettero lasciare il convento di Santa Reparata e aggregarsi alle suore di Santa Caterina dello stesso ordine. Ancora, sul fronte dell'arco trionfale del Duomo, si legge: "Divae Reparatae Goffridus Gallutius pientissime dicavit" seguono tre segni grafici: "ISZ" interpretati dagli storiografi come una data. Purtroppo, però, nessuno è mai riuscito a stabilire se la data sia 1322 o 1522. Comunque le reliquie della Santa dall'880, ritornarono al convento di S. Reparata soltanto nell'ottobre del 1909, dove si conservano a tutt'oggi in un urna sotto l'altare maggiore. In conclusione, le benedettine nel 1352 non custodivano le reliquie. Riprendiamo il discorso del Marchi. Le insistenti richieste dei Fiorentini trovarono finalmente accoglimento nella seconda metà del XIV secolo, grazie anche all'intervento del re di Napoli. Con molto rammarico, tra lacrime e singhiozzi, le benedettine consegnarono agli ambasciatori fiorentini il braccio destro di Santa Reparata. La reliquia, giunta a Firenze il 22 giugno 1352, fu accolta con grandi festeggiamenti e deposta nel duomo alla venerazione dei fedeli. Quattro anni dopo, nel 1356, fu deciso di costruire un reliquario d'argento e d'oro per onorare di più la miracolosa reliquia. I maestri-artigiani, nel palpare il braccio santo, si accorsero che era di gesso. Le astute monache erano riuscite ad abbindolare i Fiorentini che si consideravano da sempre un popolo dritto, intelligente, ricco e scaltro. E ‹‹scaltro›› fu veramente l'alto clero tanto da preferire di ingoiare il rospo in silenzio, piuttosto che essere presi ulteriormente in giro dagli abitanti dei Comuni vicini di Siena, Pisa, Lucca, dell'intera Toscana e non solo.

Pasquale Giorgio
(da Il Sidicino - Anno VI 2009 - n. 10 Ottobre)