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Indice Giampiero Di Marco
 
 

Domenico Colessa, detto Papone.

Il Masaniello di Terra di Lavoro.
La rivoluzione del 1647-48 in Terra di Lavoro.
(fine)
 

 

A Roma l'ambasciatore francese Francois du Val marchese di Fontenay e quello spagnolo conte di Ognatte lavorano per le loro parti, nella corte papale i cardinali sono divisi in due partiti, i due Mazarino e il Medici propendono per i francesi, il cardinal Grimaldi per la Francia e per Tommaso di Savoia, ipotesi sempre in piedi, Trivulzio, Brancaccio e Albornoz sono per gli spagnoli. La situazione generale politica desta preoccupazioni.
Luigi Poderico scrive in data 7 febbraio al Vicerè che il nemico punta su Castellamare del Volturno e non v'è foraggio, poca avena per il pane, non scarpe, non vestiti per la fanteria.
Il 15 febbraio Poderico diffida don Giovanni d'Austria che se non avrà mezzi sufficienti, 6000 ducati e 500 fanti, la piazza di Capua sarà perduta.
Nella stessa Capua un tentativo di rivolta fu capeggiato da Francesco Meo ma i rivoltosi isolati dalla popolazione finirono per soccombere. In questa occasione Capua, essendo l'entroterra, i Mazzoni, occupati dai ribelli paponiani, comunica per via di fiume. In S. Maria di Capua, più popolare, ministro per il duca di Guisa fu un certo Fabriano che poi fu imprigionato dal Poderico.
Il duca di Guisa ordina al suo comandante francese de Mallet una spedizione verso Castelvolturno. Il contingente popolare presidia prima Grazzanise con 300 uomini, ma il Poderico verso la fine di febbraio, riesce a disperdere il presidio uccidendo circa 40 militi tra cui il comandante che era un altro fratello di Papone.
Intanto il 6 marzo domenica, riprendiamo dal giornale di Luigi Martino des Carles (72), a Pietravairano che non voleva arrendersi si dà l'assalto con le scalate e fascine impiciate e dato fuoco alle porte dove tutti della terra fuggirono e si diede il sacco dove si dimorò quattro giorni.
Da qui l'esercito si porta verso Venafro dove giunge il giorno 11, la città è libera e non è stata dalla parte popolare: oggi 11 del corrente s'è entrato dentro la città di Venafro con darci le chiavi della città, dove si dimorò giorni tre.
Da Venafro si torna indietro alla volta di San Germano.
Questa mattina giovedì 15 del corrente entrassimo dentro la città di San Germano con grandissimo appaluso ed allegrezza di tutti della città, dove ci uscirono nella porta di detta città con un bacile d'argento con le chiavi della città, tutti gridando ad alta voce. Viva re di spagna et immediatamente ci uscì nella detta porta una processione di tutti li signori canonici e signor vicario con la croce davanti e ci portarono dentro il duomo, dove si cantò il Te Deum.
Più che altro l'esercito sembra impegnato in un'opera di controllo della frontiera con lo Stato pontificio e la terra di Pontecorvo dove sono concentrati i ribelli.
Subito il giorno seguente venne dal mio signor Principe il capitan Cola Trocone con altri otto di sua comitiva.
Si arrende e passa dalla parte regia Cola Roncone. A questo punto il giorno seguente Papone, il 17 febbraio, che si trovava nel villaggio di Piedimonte S. Germano, dove era giunto occupandola portando una banda composta di militi francesi, romagnoli e altri provenienti dalle sue terre, apprende del tradimento e si dirige verso San Germano, dove ha uno scontro con i realisti e le milizie feudali di Giuliano Pizzola, avendo la peggio e perdendo 25 prigionieri tra i quali anche un nipote.
Continua il diario-giornale: appreso poi il giorno seguente, sdignato di ciò il General Papone - notate come anche il Des Carles lo appella col titolo di generale - venne con altre cento di sua comitiva a toccarci arme sopra Monte Casino dove tutti uscimmo in campagna con fanteria e cavalleria attorno detto monte, dove nella scaramuzza detto capitan Cola se retirò con esso due altri suoi fratelli con quaranta altri che vi erano anco di sua comitiva, dove il detto Papone fuggì con Pizzinella suo caro compagno a cavallo, quelli che fuggirono per il monte, chi lasciò ferraioli e chi cappelli che li nostri soldati ritrovarono con de' più due furno li morti, e credo altri feriti da quella parte e per Grazia del Signore nessuno delli nostri. E la stessa notte Papone se ne ritornò da dove era uscito, dico da Piedimonte S. Germano e li terrazzani subito serrorno le porte e tutti in arme non lo ferno intrare, con tirarli molte archibugiate e l'afflitto Papone detta notte stette dentro una stalla, la matina poi se ne fuggì in S. Giovanni in carico.
Dopo questa data le truppe regie si portano verso Roccasecca e mettono a sacco sia il centro che il villaggio di Caprile, patria di Papone.
Proseguono i tradimenti e gli abbandoni, nella mattina si arrendono anche altri ufficiali di Papone, sono don Francesco Cotinelli e Tommaso Mancini, i cognomi sono comuni a Sessa e dintorni. Prosegue il diario del Des Carles: Appunto questa matina lunedì sono venuti dal mio signor Principe d. Francesco Cotinelli e Tommasi Mancino Mastri di campo del falso generale Papone, anco a dare obbedienza, appresso venne un corriere mandato dall'Isola di Liri che qui era preso da Giulio Cesare Cestrone lo visitatore Generale della falsa Repubblica con morte di molti di detto Visitatore, et anco circa venti persone carcerate.
Da Isola Liri si manda la notizia che in quel comune è stato preso prigioniero il Visitatore Generale, cioè l'ufficiale incaricato delle imposte, nominato da Papone, Giulio Cesare Cestrone, ancora un cognome dei dintorni di Sessa, insieme a lui sono stati incarcerati una ventina di uomini.
Appresso giunsero da noi tutti li sindici, dico di Piedimonte, de Rocca de Vantre, Cervaro, S. Elia, Castello nuovo, le Fratte, Loreto, Arpino, lo Pico e Pastena, Alvito con Sora, dico tutto lo Stato.
È la fine, sono ormai dalla parte regia i territori del ducato di Sora, di quello di Alvito e tutta la terra di S. Benedetto.
Oggi li 24 di marzo vi è venuto capitan Carlo Vecchio con suoi compagni cinquanta da Atino a dare obedienza anco in S. Germano.
Alla fine di marzo sul ponte del Garigliano, scrive così il Castaldo, ma si deve trattare della solita scafa, si registra un litigio tra alcuni cittadini con a capo Titta Lombardo Ceppullo e alcuni soldati spagnoli che avevano tratto a forza grano dalla città e lo trasportavano fuori di essa. La storia poco chiara riferita dal Castaldo e da lui tratta dagli Archivi di Stato di Napoli, sembra riferirsi al privilegio cittadino che impedisce la esportazione di grano senza autorizzazione e senza dazio. A un certo punto della disputa sopraggiunge da Gaeta un capitano con una pattuglia e i cittadini sono arrestati e sottoposti in giudizio. Sessa ricorre in giudizio, questo processo forse ha trovato il Castaldo, ricorre nella corte ducale e questi reclama attraverso un suo procuratore che i catturati debbono essere portati in giudizio dinanzi alla sua corte, come appare dagli antichi privilegi cittadini oltre che quelli propri. Inoltre si tratta: di prodi che si erano battuti contro i rivoltosi e i banditi…. tagliando a pezzi la guarnigione di Papone (73).
Il 6 aprile a Castelmorrone viene preso prigioniero il duca di Guisa.
Riprendiamo ancora le note tratte dal diario giornale del Des Carles: Detto signor Principe con tutti noi altri suoi Cammerati fuimo chiamati all'infretta dal nostro Generale Loise Poderico. Tutti ritornassimo in Capua all'infretta per carcerare il duca d'Isa che con 40 cavalli se ne fuggì da Napoli e appunto in questa sera ad ore tre di notte giunsimo in Capua di martedì il 7 aprile 1648 e detto signor duca fu carcerato il lunedì a sera vicino S. Maria Maggiore, vicino Morrone Casal di Capua. E la rivoluzione di tutto il popolo di Napoli unitamente con sua altezza e signor Cardinale e Gennaro Annese uscirno con infiniti del popolo gridando Viva Spagna e pigliorno il torrione del Carmine e ci posero uno stendardo bianco.
Nel frattempo diventa Vicerè il conte d'Ognatte.
In data 2 aprile la città di Sessa scrive una lettera al nuovo Vicerè: Nell'ingresso di V. S. in questo regno inviammo in Gaeta il capitano Leonardo Rizzo a farli riverenza et annunciarli del suo felicissimo governo prosperi e fortunati avvenimenti coll'augurio al principio da noi datovi in questa città, hora nella resa di codesto popolo e ritorno alla regale obbedienza ne sentiamo duplicata. E così come il tutto stimiamo mero effetto della somma prudenza e singolare valore di V. E. così inviamo il sig. Lelio Ricca gentiluomo di questa città a rappresentarle la divota volontà che conserviamo di continuare et accudire sempre al debito della nostra fedeltà con le robbe e con la vita. Guardi Dio Bendetto V. E. come desiamo. Sessa 2 di aprile 1648.
Aff. Servitori Cesare della Marra, Vincenzo di Bartolo.
Anche questa lettera è tratta dal Castaldo dallo stesso fascicolo.
Infine l'ultima nota trascritta da Broccoli dal diario del Des Carles: dico di più che il Visitatore fu carcerato all'isola di Sora fu portato qui in Teano, dove fu retenuto qui in detta città e dimorò nel Palazzino con il signor Governatore Ottavio del Pezzo duca di Cajanello.
Infine l'ultima nota: moltissimi cittadini si obbligarono di celebrare ogni anno durante la loro vita nel giorno 18 gennaio memorando per la riportata vittoria, solenne processione con seguito di gente armata colla maggior pompa possibile. Di siffatta dichiarazione si conserva l'originale nella casa del signor barone di Montanaro De Renzis.
L'otto di aprile Giuliano Sasso di Casanova padre di Tommaso Sasso in nome del quale agisce, dinanzi al notaio Cesare Picano, in presenza del Vicario del Vescovo Giovanni Mario Minutilli, e con la presenza del capitano Pietro di Lorenzo fa un racconto dei fatti successi in Casanova il giorno 28 di luglio 1647, tempore revolutionis. In quel giorno nel Casale di Casanova si trovava un giudice della Città di Capua per alcuni suoi affari e da parte di alcuni cittadini di Carinola fu messo in carcere e poi successivamente da un soldato fu ucciso e anzi gli fu troncato il capo. Quando questo fatto viene a conoscenza del capitano Pietro di Lorenzo, questi insieme a suo nipote Carlo e al caporale Francesco Ferraro aduna un numero di persone sia militari che cittadini di Sessa e casali e si dirigono a cavallo a Casanova, in numero di circa 150. Qui tra la comitiva e i cittadini del casale scoppia una battaglia con vari colpi di archibugio e da una parte muore Paolo Pampena che era venuto con Di Lorenzo, mentre dall'altra parte tra gli altri muore il sacerdote Francesco Sasso, figlio di Giuliano. Cosa ci facesse quel sacerdote in mezzo alla battaglia non si capisce, a meno che egli stesso fosse uno dei rivoltosi. Intanto con questo atto Giuliano vuole perdonare ed esentare da ogni colpa i predetti Pietro e Carlo di Lorenzo e il caporale Francesco Ferraro e chiunque dei militi anche assenti che avesse sparato il colpo mortale (74).

Die octavo mensis aprilis millesimo sexcentesimo quadragesimo octavo ind. primae Suesse et coram rev. Ill. domini episcopi Jo. Mario Minutelli UID Vicario generali dicte Civitatis Suesse presente et interveniente, in nostri presentia personaliter constituti Julianus Sasso de Casanova pertinentiarum civ. Caleni pater et legitimus administrator Thomae Sasso eique filii, proquo promisitde rato sponte tam eique proprio nomine q. pater et legitimus administrator d. Thomae asseruit coram nobis et d. rev. Dno vicarioqualiter mensibus elapsis et proprie sub die 28 mensis julii anni preteriti 1647 tempore revolutionum dum dnus judex civitatis Capue reperiabatur in dicto casali Casanove de ordine S. C. pro nonnullis negotiis peragendis fuit a particularibus dicte civitatis Caleni et eius Casalium carceratus coram eiusque comitiva ex uno illius militum fuit morte effectus capite truncato, quod pervenit ad aures cap. Petri de Laurentio et Caroli de Laurentio eius nepotis qui una simul cum caporali Francesco Ferraro et militibus de eiusque comitiva ac cum nonnullis aliis, habitantes civitatis Suessae et eiusque casalium ac aliorum locorum et terrarum circa numerum centum quinquaginta, mictentes in dicto Casali Casenove et d. hominibus p. Paulum Pampena prefati homines de Populo Casenove et aliorum Casalium dicte Civitatis Caleni quamplurimos ictus scoppictarum iniecerunt in persona dicti Pauli quibus fuit mortaliter sauciatus, ob quod factum inter d. Franciscum caporalem et eique comitivam comitantibus et d. cap. Petro et Carolo et d. aliis num. 150 in circa proelium interfuit in quo inter alios fuit interfectus presbiterum Franciscum Sasso filium ipsius Juliani et voluens ipse Julianus occisorem dicti sui filii delictum remictere et dei vestigia sequi, ideo facta assertione predicta ipse Julianus p. emendatione sue conscientiae nolens Divinae Maiestatis offendere in agendo contra predictos sponte non vi dolo ac metu predictum caporalem Franciscum et omnes milites de eique comitiva ac d. cap. Petrum et Carolum et alios de eiq. Comitiva absentes de ictibus scoppictarum illatorum in persona d. presbiteri Francisci Sasso eiq. Filii ac de morte illiusq. Sequta eam inculpabiles et innocentes exculpavit et casu, quod non credit, in futurum quandocumque et qualitercumqe reperiretur d. caporalem Franciscum et alios de eiusq. Comitiva vel d. cap. Petrum e tcarolum et alios de eiusq. Comitiva de predicta morte fuisse vel esse culpabiles, consiliares, participes, auctore, vel fautore etc. etc.
Angelo Ailano, giudice a contratto, testi rev. Simeone de Jorio, rev. Dioniso Fabri, rev. Petro Antonio Miele e Francesco Sisto di Sessa.

Ancora un altro atto dello stesso notaio, rogato il 9 luglio, che fornisce altri particolari sui fatti del periodo. È sempre Pietro di Lorenzo che interviene nell'atto che riguarda una masseria di proprietà della duchessa di Mondragone nel territorio di Carinola che aveva 140 bufale. Questa masseria naturalmente nei tempi torbidi passati subisce una serie di vicissitudini e l'atto ora vuole puntualizzare i danni che sono stati subiti dalla masseria. Intanto si conoscono anche una serie di personaggi che hanno condotto praticamente in fitto animali e attrezzatura per fare formaggio. Tra i testi alla fine dell'atto è presente anche Sallustio Cornelio (75).

Eodem supradicto die nono mensis julii millesimo sexcentesimo quadragesimo octavo ind. Prime Suesse, in nostri presentia constituti cap. Petrus de Laurentio de Suessa sponte in eius vulgari sermone asseruit et declaravit coram nobis:
come gl'anni passati pigliò in affitto dall'Ecc.ma sg.ra duchessa di Mondragone una masseria de proprietà di centoquaranta bufale conforme appare p. instrumento la quale masseria d'animali fu a tempo dello revolto della città di Carinola sequestrata dal barone Barattuccio p. ordine della detta sig.ra duchessa et dopo il d. sequestro arrivò il bandito Papone con sua comitiva et per forza s'impadronì di detta masseria e finalmente essendo scacciato il bandito, in detta masseria giunse il sig. Principe di Roccaromana et in nome di S. Maestà se ne investì e poi per esso relassata a beneficio di detta sig.ra duchessa vera padrona et perche per li danni et interessi patiti di detta masseria esso cap. Pietro havea lasciato detto affitto et al presente li viene scritto dal sig. Luisi Capaccio et sig. don Paolo de Fabritiis in nome di detta duchessa che sequitasse detto affitto conforme appare per lettera di detto sig. Luisi et Paolo del tenor sequente: inseratur perciò esso cap. Pietro per obedire a d. comandamenti di d. signori et perciò intendendo sequitare d. affitto citra però del prejudicio et excomputo che se li deve fare per li danni e interessi patiti tanto per lo passato quanto per lo advenire tanto per lo mancamento degl'animali quanto nello dello stiglio di detta masseria. In tanto hoggi predicto die se ingerisce a detto affitto nello stato nel quale al presente se ritrova la detta masseria. Nella quale masseria e qua presente Giovan Domenico de Nicola massaro di quella et asserisce che a tempo che d. cap. Pietro teneva detto affitto et che fu sequestrata p. d. sig. barone Barattuccio vi furono annotai centoquarantadoi bufale grosse con tutto lo stiglio di detta masseria quale have tenuto sino a Natale passato 1647 ad instantia di d. Barattuccio però lo caso se consegnava a beneficio di d. cap. Pietro eccetto però cantara che in due volte furno rubate cioè quattro cantari dalli ladri nel di della vigilia di detto Natale et l'altre quattro cantara dal detto bandito Papone doi di poi et in detto tempo del detto Papone fu esso Gio. Domenico cacciato dal d. Papone e da quello in d. masseria infraposti altri massari e persone et Gio. Domenico Santacroce per mugniente, et poi il sig. Principe di Roccaromana havendo scacciato Papone, pose in detta masseria esso Gio. Domenico de Nicola et Scipione Martuccio nella quale masseria non vi era fermezza d'animali per esserno quelli stati scoppettati, spaventati et dispersi di modo che essendo venuto il caldo circa la metà di giugno prossimo passato havendo esso Gio. Domenico fatta diligenza di detti animali have radunato quelli di numero cento quaranta bufale grosse et delle dodici bufale mancanti se ne sono ritrovati molti cadaveri e disse che se ne pigliasse informatione di d. dodeci mancanti al d. Scipione Martuccio come governatore Regio di Mondragone posto p. d. sig. Principe et anco mancava lo stiglio, la statela, una catena de ferro et due giomente che tutto l'altro stiglio dice haverlo ricuperato come meglio have possuto et che dello caso fatto dal d. che d. masseria dal d. sig. Principe ne have hauto pensiero esso Gio. Domenico et Scipione Martuccio p. tutto giugno per il quale tempo Gio. Domenico e Scipione ne portano introiti e esiti.
All'atto fa da giudice a contratto Carlo de Nora, testi Giuseppe Guastaferro, Salustio Cornelio, Benedetto di Tuccio, Erasmo Passaretta.

Ai primi di agosto si torna a parlare di Papone che ha costituito una nuova banda e si appresta a rientrare in Terra di Lavoro da Pontecorvo. In questo periodo intrattiene una corrispondenza epistolare con monsignor Litta vescovo di Frosinone e Governatore di Campagna e Marittima. In sostanza gli chiede di occuparsi di lui affinchè gli trovi un posto tranquillo dove poter vivere. Il vescovo da parte sua corrisponde con il cardinal Panziroli che gli consiglia di non aver troppa indulgenza con Papone per non essere poi accusato di connivenza con lui, ma al tempo stesso consiglia prudenza perché il Papone non è solo, ma con lui ci sono ben 500 compagni.
Il Vicerè Ognatte spedisce il colonnello Ercole Visconti con 400 tedeschi e 200 militi verso Sora e dintorni. Contemporaneamente il sergente maggiore Cienfuegos con 300 spagnoli è inviato a rinforzo della costa prossima a Gaeta.
Papone si è incontrato con un altro fuoriuscito e capo di ribelli Francesco Magliano, un abruzzese che da Terracina dove aveva assoldato gente armata, una forza di circa 400 uomini, si muove ad incontrarlo. I due insieme muovono contro San Giovanni Incarico. Arrivano però le truppe del Visconti, si uniscono a quelle di Giuliano Pizzola e attaccano le bande unite di Papone e Magliano e le travolgono. Magliano si rifugia entrando in San Giovanni Incarico, ma viene assediato e quando la città si arrende, camuffato e confuso tra i militi spagnoli, gridando Viva Spagna sfugge alla cattura.
Papone invece fugge insieme a nove compagni verso Rieti, dove ha un'amante, che gli conserva anche il bottino di guerra.
Qui resta nascosto in genere nelle chiese, favorito da un governatore della città di origine abruzzese e nemico degli spagnoli, monsignor Arpoli.
Le truppe del Visconti e quelle di Pizzola però entrando nello stato pontificio, circondano Rieti e intimano al governatore di consegnare il Papone, minacciando l'incendio della città. Il governatore a questo punto permette l'ingresso in città di 30 soldati spagnoli per cercarvi il ribelle.
Visconti spaventando i cittadini di Rieti riesce a conoscere il luogo dove sta nascosto Papone, un rifugio ricavato tra il tetto e il soffitto di una chiesa. Un alfiere e alcuni soldati entrano nella chiesa, si arrampicano verso il rifugio, scoperchiano il tetto e intimano la resa a Papone. Questi dichiara di essere un colonnello del popolo e di volersi arrendere soltanto nelle mani del Visconti. I suoi compagni intanto che sono nascosti in un'altra chiesa fanno resistenza e ne segue una sparatoria nella quale due di loro restano uccisi.
Il 12 agosto, come riporta il Castaldo, il Visconti scrive una lettera ad una sua amante: Ho conseguito il mio fine, ho fatto prigioniero Papone e rotti questi ribelli dei quali sono rimasti 30 prigionieri e 14 morti e domani partirò per Sessa o Mola.
Il 19 agosto l'armata francese con Tommaso di Savoia si ritira definitivamente dalle acque napoletane. Il 22 agosto Papone viene condotto a Napoli. Lui è convinto di un intervento in suo favore della diplomazia francese e anche di una sollevazione popolare in suo favore di Terra di Lavoro. Ma ciò non avvenne, la sua stella sembra tramontata e comunque le pesanti perdite inflitte ai cafoni che si erano ribellati, che furono ferocemente perseguiti, convincono i più a starsene buoni in attesa di nuove occasioni.
Soltanto un certo Lorenzo Sacco alla testa di 150 popolari tenta lungo la strada che lo conduce a Napoli di liberarlo. La banda di Sacco è della Terra di Lavoro, anche se notizie più precise sulla sua costituzione non se ne hanno, anche se il cognome di Sacco a Sessa è quello di una famiglia molto importante, quella dello storico del Seicento. Comunque gli spagnoli di scorta a Papone, avvertiti del pericolo si rifugiarono nel castello di Sora, poi con l'aiuto di altri soldati andarono contro la banda di Sacco e con molte vittime li dispersero. La mattina del 22 agosto si registra l'entrata in Napoli di Papone, a cavallo di un ronzino e con in testa una corona di oro falso, scortato da 60 archibugieri tedeschi e una compagnia di corazzieri. Il giorno seguente per ordine di Giovanni Herrera Auditore generale dell'esercito venne torturato e alla fine sotto i tormenti confessò il nuovo piano di invasione del Regno dai confini della Romagna risollevata, attraverso l'Abruzzo filofrancese fino a passare in Terra di Lavoro. In casa dell'amante a Rieti furono trovate carte compromettenti dell'ambasciata francese di Roma insieme alle patenti in bianco per i suoi ufficiali e per lui la patente di colonnello di 500 cavalli. Venne condannato dopo la confessione a morire sulla ruota in piazza Mercato e dopo la morte allo squartamento. Per l'esecuzione fu portato a Castelnuovo alle prigioni di S. Giacomo (76).
Il mercoledì 26 agosto, come riportato dal registro dei Bianchi, si eseguì la sentenza, uscì su un carro dalle prigioni di S. Giacomo, seduto su una sedia, perché sofferente e storpio per le torture subite. Il banditore andava gridando precedendolo: Questa giustizia la manda il sig. Auditore generale dell'esercito D. Giovanni Herrera delegato per S. E. Questi è Domenico Colessi alias Papone, si arrota e si squarta come inquisito di crimen laesae Maiestatis in primo capite essendo andato a Roma dopo le grazie generali di S. Altezza Serenissima il signor don Giovanni d'Austria e negoziato con l'ambasciatore di Francia di suscitare nuove rivoluzioni in questo Regno in beneficio del Re di Francia, avendo ricevuto dal detto ambasciatore due patenti di colonnello e altre di capitano di cavalli coi nomi in bianco a disposizione del Papone.
Arrivati in piazza del Mercato dinanzi ad una folla vociante sempre attratta da questo tipo di spettacolo, il Papone venne fatto scendere dal carro e trasportato da due soldati che lo sorreggevano nel breve tratto di cammino fino alla ruota dove venne distesso e legato. Così subì l'esecuzione con il terribile strumento della ruota capace di suscitare dolori terribili con la distensione delle membra fino alla disarticolazione totale di legamenti e tendini, fino alla morte. Il suo cadavere venne lasciato come esempio per due giorni sulla piazza, dopo gli venne mozzato il capo e il corpo venne squartato in quattro parti, trasportato a Sora e persino a Caprile, suo paese natale, dove fu appeso agli sbocchi delle strade della città.
Altri due compagni di lotta di Papone sono giustiziati con lo stesso rituale, sono Pietro Paolo della Porta di Priverno e Onofrio Russo originario di S. Andrea del Garigliano, nel corso dello stesso anno.

Conclusioni
La cronaca ms. A aggiunge una nota finale all'intera vicenda.
A di 30 di settembre 1648. S'è mandato in Spagna Annibale Pascali con Consiglio Pubblico et have ottenuto che li gentilhomini possono portare spada per Napoli, che sopra l'armi della Città si faccia la corona, che tutti li cittadini, fuorchè quelli del popolo possono portare spada e andare a caccia et altro.
Vanità, spagnolismi, il fregio di Fedelissima dato alla città. Tutte cose che non servono a nulla e che soprattutto non portano benefici alla popolazione.
Piuttosto a coronamento della intera storia riportiamo invece quello che con molta più tragica definizione esprime il segno che la vittoria contro i popolari imprime nel territorio aurunco.
Il giorno 10 di settembre del 1648 il notaio Giovan Francesco di Capua registra l'atto di fitto del Demanio di Sessa a Bernardo di Lorenzo figlio del barone di Toraldo Francesco Antonio, e a Giovan Camillo Sanfelice. Il prezzo del fitto è di soli 1630 svalutatissimi e tosati ducati d'argento annui. Ma non è tutto, per espresso patto si conviene che il fitto riguarda non soltanto la Pineta e la pianura ma anche la montagna di monte Massico ivi comprese le Cesine (77). Questa è la vera conclusione della intera vicenda rivoluzionaria.
Eodem predicto die decima mensis septembris 2 ind. Millesimo sexcentesimo quadragesimo octavo Suesse in nostri presentia constituti cap. Petrus de Laurentio, nicola s Picano, Franciscu Gyptius sindici in presenti anno civitatis suesse agentes ad infrascriptas sindicario nomine pro parte dicte Civitatis et eius civium ex una parte, baro Franciscus Antonius de Laurentio d. Civitatis qui consentiens in nomine privilegi eius fori et hic agens ad infrascripta omnia tamque pro se eiusque heredibus et succedentibus quam pro parte Bernardi de Laurentio eius filii hic absente
Il figlio non è presente all'atto, ma per lui c'è il giudice Leone de Tutis, i due entro due mesi: Infra menses duo ab hodie se obligare debere tamque ad pretium affictus sub.ti Demanii p. rata spectante……. elapso dicto tempore.
Se la somma non sarà versata l'atto sarà considerato nullo.
I sindaci dichiarano che nei messi passati fu subastato in diversi luoghi a suono di tromba nei luoghi soliti della città e dei Terzieri e ad alta e intelligibile voce more solito il fitto del demanio cum peneta, montanea et aliis territoriis soliti compresi nel fitto. Ma abbiamo visto come prima della rivolta si era riusciti a esentare la montagna dal fitto. Il fitto avrà effetto per i soliti quattro anni incominciando dal primo del mese di settembre prossimo venturo fino all'ultimo giorno del mese di agosto del 1652. Dopo diverse licitazioni e subastazioni fatte a lume di candela: ultimo loco accensa in platea dicte Civitatis demum comparuisse Notarius Giovan Franciscus de Capua et obtulisse p. persone nominande p. pretio d. affictus duc. mille sexcentum triginta p. quolibet anno con i Capitoli spettanti al fitto del Demanio così come contenuto negli altri fitti precedenti. Al notaio resta aggiudicato il fitto come ultimo licitatore offerente. In seguito nell'atto si dichiara che le persone nominande sono Bernardo di Lorenzo figlio del barone Francesco Antonio e Leone de Tutis che risponde per altra persona nominanda per un terzo del fitto che è poi Giovan Camillo Sanfelice.

I Capitoli inseriti nell'atto ripetono de verbo ad verbum i soliti 14 Capitoli che furono stabiliti una volta per tutte il 24 dicembre del 1612 dal notaio Alessandro Cauto, tranne uno di questi capitoli che viene aumentato come segue: Etiam salve et reservate a detta Città et terzieri tutte ragioni et attioni civili et penali contro tutti quelli inquisiti anche se inquiseranno che havessero per lo passato fatte Cese e facessero nella montagna di detto demanio et tutto quanto se recupererà per detto caso vada in beneficio di detta Città et terzieri.
Con altro patto che tutte le Cese fatte et esistentino in detta Montagna durante detto affitto siano di detti affittatori onde quelle servisse ad uso di pascolo et non da semina ne possono detti affittatori facere ne fare facere in detta Montagna nessuna sorte di Cese ma tenerle ad uso di pascolo né in detta montagna possono facere ne fare facere nessuna sorte de Cese nove facende tutte cadano in beneficio di detta Città et terzieri et di quelle detta città et terzieri se ne posano servire a lor arbitrio e volontà et in detto caso detta Città et terzieri non siano tenuti a lasciare cosa alcuna a detti affittatori per le cause predette et se possano preditti sindici querelare criminalmnere et è convento tra detta Città et terzieri overo loro sindici che pro tempore saranno faranno o faranno fare in detta montagna alcuna sorte de Cese nove in tale caso dette Cese nove faciende se intendono fatte et vadano in beneficio di detti affittatori et de quelle altre Cese venture devessero servire ad uso di pascolo et non per sementare ne tampoco detta Città et terzieri siano tenuti pagare fare buono a detti affittatori altra cifra per le cause predette ita che ne la città et terzieri ne li affittatori possono fare p. Cese.

Mi sembra inutile continuare a sottolineare la natura di classe dell'operazione. Si vuole impedire che si facciano nuove Cese, che si continui a mettere a coltura nuovi terreni disboscati sulla montagna e che anche quelli esistenti, i cui possessori sono e saranno perseguiti penalmente, dovranno esclusivamente essere tenuti ad uso di pascolo e a vantaggio di chi conduce il fitto.
Abbiamo detto altre volte come dietro il fitto del Demanio si nasconda il vero padrone della città e anche in questo caso risulta chiaro come ormai, dopo la vittoria sui popolari, la famiglia intera dei Di Lorenzo, nelle sue due diramazioni quella del barone di Toraldo e l'altra di Pietro che in questo momento è sindaco nobile, siano ormai i padroni del territorio. Pochi anni dopo nel 1670 il duca di Sessa concede il feudo dei Bagni, cum domibus et casarinis dirutis, un territorio di 40 moggia in enfiteusi perpetua al canone annuo di 3 ducati al signor Giuseppe di Lorenzo.
Il prezzo del fitto del Demanio per il 1648 è più basso del solito, di soli 1630 ducati.
Il fitto del Demanio aveva conosciuto comunque un aumento del prezzo agli inizi del secolo XVII quando nel 1613 aveva raggiunto la cifra di 3150 corrisposta da Francesco Puccio e ancora nel 1625 ascendeva a 2650 ducati.
Il prezzo non seguiva le leggi dell'economia, che con la svalutazione monetaria del Seicento rispetto al secolo precedente, dovuta in gran parte all'abbondanza di argento americano presente sui mercati europei, avrebbe dovuto pertanto registrare un sostanziale aumento. Piuttosto esso è la conseguenza della situazione politica nella città. Quando in essa comanda una potente consorteria, questa interviene fortemente nelle aste, imponendo che ad esse non partecipi nessuno in grado di rialzare il prezzo che alla fine viene spuntato da un membro della stessa consorteria.
Questo è il segno della lotta e della sconfitta popolare nella rivolta del 1647-48.
Tutti i sogni di occupazione delle terre acquitrinose, della loro messa a coltura e della possibile sconfitta della miseria e della fame, sono miseramente finiti, senza contare che la regolamentazione delle acque avrebbe anche contribuito a risparmiare tanti dolori alla popolazione afflitta dalla malaria. Ma questo essi non potevano saperlo.
Le terre del Pantano di Sessa, come quelle degli altri territori, con qualche eccezione nei Regi Lagni, supereranno indenni molte occasioni di crisi e di possibile risoluzione.
Nel Settecento si riesce a realizzare soltanto il Canale Trentapalmi, la misura della sua larghezza, che è esistente ancora oggi.
Soltanto il fascismo riuscirà nel suo goffo tentativo di esaltazione di un'italietta contadina a bonificare l'agro pontino, perché il Pantano di Sessa, nonostante che il primo progetto di Bonifica venisse iniziato nel 1940 con qualche risultato, reso vano dalle mine tedesche sul Garigliano nel 1943, supera anche la seconda guerra mondiale e viene risolto nel dopoguerra. Negli ultimi tempi, andato in crisi l'ente che sovraintende alla Bonifica, il Consorzio Agrario Aurunco, soprattutto per il mancato pagamento delle quote dovute dai proprietari terrieri e perfino dai comuni, le idrovore e le altre opere legate alla bonifica sono state gravemente compromesse.
Ormai si è perduto persino il ricordo di quello che era il Pantano e la malaria. Ma come la storia ci insegna, esso ritornerà se la cura verrà sospesa per un certo periodo.
La natura riprenderà il sopravvento e ritornerà la palude, come avvenne, quando per l'invasione barbarica dei Vandali e la guerra greco-gotica, dopo la caduta dell’impero romano d'occidente, si riformò il Pantano che per molti secoli era stato tenuto sotto controllo.
Quello che a noi qui interessa però sottolineare è che la frattura tra città e campagna, tra Sessa e i suoi Casali, viene oltremodo approfondita in questi risvolti che abbiamo cercato di illustrare e questa frattura non solo non sarà più risanata, ma ancora oggi è la chiave di volta per chi voglia trovare un significato nella storia di questo territorio.

(fine)

NOTE

(72) BROCCOLI M., Teano sidicino(..), cit., p. III, p. 50 e sgg.
(73) CASTALDO V., Tentativi d'indipendenza (..), cit.: da Archivo Vicerè, Diversi, f. 134, 30 marzo.
(74) ASC, notaio Cesare Picano, 3417, f. 122v., exculpatio et remissio p. cap.li Francesco Ferraro, cap. Petro de Laurentio et aliis facta p. Julianum Sasso.
(75) ASC, notaio Cesare Picano, 3417, f. 279v., declaratio facta p. cap. Petro de Laurentio et Joanne Dominico de Nicola ut infra.
(76) DE BLASIIS G., Le giustizie eseguite in Napoli al tempo dei tumulti di Masaniello, ASPN, IX, 1884.
(77) ASC, notaio Giovan Francesco di Capua, 2743/XI, f. 201v., Affictus demanii p. univ. Suesse et Terceriorum facta Bernardo de Laurentio et Joanni Camillo Sanfelice.

Giampiero Di Marco
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 9 Settembre)