L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Giampiero Di Marco
 
 

Domenico Colessa, detto Papone.

Il Masaniello di Terra di Lavoro.
La rivoluzione del 1647-48 in Terra di Lavoro.
(I parte)
 

 

Sessa Aurunca - Ponte Ronaco (foto di Mimmo Feola)
 

Il 7 di luglio del 1647, in piazza Mercato a Napoli, un pescivendolo al grido di Viva il Re e muoja il malgoverno dà inizio a una rivolta che in breve tempo incendia tutto il vicereame di Napoli, mettendo in seria crisi il governo spagnolo (1).
La velocità impressionante con la quale il fuoco della rivolta di Napoli si propaga, come dice Pierluigi Rovito, porta in tre settimane la rivolta da un capo all'altro del Mezzogiorno.
Quindi è evidente che la situazione nelle province dovesse esser favorevole a una sommossa, quasi fossero già pronte già molto prima che la rivolta di Masaniello sollevasse la capitale del regno. Numerose città si trovavano già in una condizione che possiamo definire di pre-sollevazione (2).
Secondo tutti gli storici che si sono occupati di questo periodo la rivolta nelle province ha indubbiamente dei caratteri antifeudali, così sopra tutti Galasso (3).
Per Rosario Villari se l'antifiscalismo è il leitmotiv delle rivolte, troppo sbrigativa è la riduzione di esse a un fenomeno di poujadisme, a una semplice manifestazione di arretratezza politica e di vuoto ideologico. Anzi al contrario egli vede nel fenomeno il lento distacco del mondo contadino dalla subordinazione psicologica e ideologica alle classi signorili, una tendenza che sfociò appunto nella dominante partecipazione contadina alla rivolta del 1647-48 e che incoraggiò i deboli gruppi di ceto medio ad assumere posizioni rivoluzionarie (4).
Ancora Villari afferma che quella che scoppia nel 1647-48 è essenzialmente una guerra contadina (5). Anche Rovito si sofferma a considerare che non mancano tra le molte anime della rivoluzione le propensioni antifeudali e aggiunge… a soffiare sul fuoco non sono solo i cafoni e disperati ma anche avvocati, notai, medici e benestanti (6).
Guardando alla rivoluzione napoletana di questi anni dobbiamo sempre tener presente che la partecipazione ai moti fu vasta e di diverse classi sociali. Questo avvenne soprattutto nelle città dove i ceti abbienti costituiti dai togati, medici, avvocati, notai, speziali, gli esercenti le professioni, ma anche gli appaltatori delle gabelle, i commercianti, gli esattori, che avevano avuto la possibilità di accumulo di capitali non avevano ormai più sfogo alle loro ambizioni nella relativa chiusura dei Seggi che impedivano nuove aggregazioni, dopo il dilagare del secolo precedente.
Varie sono dunque le cause che hanno determinato lo scoppio della rivolta e la sua intensità e partecipazione così ampia. Perché se il breve, effimero regno di Masaniello è durato appena due settimane, la rivolta e il tentativo d'indipendenza, perché di questo si tratta, del regno di Napoli dall'impero spagnolo, si prolungò per lo spazio di circa un anno e mezzo. Nell'immaginario popolare il nome di Masaniello e del suo disperato tentativo di rivolta è rimasto come simbolo di un impotente tentativo di ribellione senza costrutto e senza un piano, una inutile espressione di ribellione di un popolo senza cervello e senza una conoscenza della realtà che è molto più complessa di quanto si possa immaginare, del classico fuoco di paglia appunto.
Questo modo di rappresentare Masaniello e la stessa rivolta di Napoli fu costruito sapientemente, quasi a tavolino, dalla corte di Spagna, molto intimorita che l'esempio napoletano fosse seguito da altre province. La notizia di quanto avveniva a Napoli si propagò molto rapidamente in tutta Europa e la figura di Masaniello fu cantata in Inghilterra e nei Paesi Bassi già negli stessi anni della rivolta in decine di opere scritte sulla base delle informazioni contenute nelle relazioni che venivano da Napoli, magari spedite dagli stessi ambasciatori residenti.
In un convegno sulla sollevazione del 1647-48 nel territorio aurunco, proprio Rovito disse, e la cosa mi colpì moltissimo, che mentre la rivolta infuriava, la corte spagnola si preoccupava non tanto di trovare generali per combatterla, quanto di assumere storici per scriverne i resoconti. Cioè si preoccupava già di combattere il mito di Masaniello anche dopo la sua morte, anzi soprattutto dopo la sua morte, perché un eroe morto fa quasi più danni che da vivo.
La rivolta del 1647-48 non fu soltanto lo scoppio improvviso di un incendio destinato a essere spento da un banale acquazzone estivo. La rivolta ebbe una sua logica e una sua estensione profonda all'interno della società, non fu solo la ribellione delle classi ultrapopolari contro le gabelle, ma dopo l'occasione che ne causò l'inizio, sia all'interno della classe media, come quella dei borghesi di toga, come anche addirittura in fasce della nobiltà vi fu compartecipazione e obiettivi comuni. Magari gli obiettivi non furono gli stessi per le diverse classi. I nobili speravano in un cambio dinastico, cosa che avrebbe permesso come sempre nuove avanzate e nuovi guadagni. I togati speravano in maggiore libertà e nuovi assetti sociali e forse anche nella indipendenza dalla Spagna. Dalle nostre parti i contadini che si sollevano sognano la terra, obiettivo sempre agognato, sognano di mettere a coltura i campi demaniali, oltre a una generica richiesta di maggiore indipendenza dal centro cittadino.
Intanto bisogna dire che se il 1647-48 è il punto di crisi, la tempesta si è addensata nei tempi precedenti.
Secondo Braudel occorre considerare una serie di fattori importanti. Prima di tutto l'esplosione demografica che costringe la gente delle montagne a scendere in pianura.
La montagna, dice Braudel, aveva costituito per il passato una sorta di rifugio contro i soldati e i pirati. Contro le incursioni più frequenti nel passato sulla costa dei pirati saraceni, nel medioevo si era costruito in montagna, dove era più facile la difesa.
Questo aveva contribuito però a determinare il reimpaludamento della pianura, per l'abbandono delle attenzioni verso le opere di bonifica che dopo il tracollo dell'impero romano erano state dismesse.
La piana del Garigliano nei tempi che ci interessano, come anche quella parte di pianura che dall'agro pontino, attraverso la piana di Fondi con i suoi laghi costieri, fino alla pianura di Minturno, a quella di Sessa, fino alla piana di Mondragone, fino alla pianura nei dintorni di Aversa e che giunge fino sotto la stessa Napoli, è ridiventato e da tempo regno incontrastato della palude, del bufalo e della malaria.
Il bilancio della montagna tuttavia un tempo non era così gramo, una specie di vita vi è possibile anche se non facile per chi vi abita. La mano paziente dell'uomo deve certo lavorare duramente i campi sassosi, trattenere la terra che sfugge con le piogge dilavanti il terreno e scivola lungo i pendii. Occorre perciò sostenerla con la formazione dei muri a secco creati pazientemente nel corso di secoli e addirittura di millenni dalla mano dell'uomo su tutte le montagne del Mediterraneo e che ancora oggi stanno lì a testimoniare e a predire un nuovo imminente disastro per il loro relativo abbandono.
Ma con l'aumento della popolazione la montagna non ce la fa a nutrire tutti e occorre che la gente scenda di nuovo in pianura a trovare lavoro, è la fame montanara la grande motrice di questa discesa (7).
Quando alla fine del secolo XVI la montagna mediterranea, ovunque troppo ricca di uomini, esplode per liberarsi, questa guerra diffusa si confonde ai nostri occhi in quelle forme di guerra sociale che chiamiamo banditismo.
Il banditismo è ubiquitario, in tutti i paesi mediterranei il problema si presenta con segno eguale. Levatosi contro il potere, il banditismo è diffuso nelle zone dove lo Stato è debole, e specialmente nelle montagne dove i soldati non possono agire in forze (8).
Tutte le società contadine del passato erano avvezze a carestie periodiche dovute a scarsità di raccolto o altre crisi naturali e a catastrofi imprevedibili che però prima o poi si abbattevano sui contadini come le guerre, le invasioni, il tracollo del sistema amministrativo di cui essi erano un piccolo, remoto settore.
Tutte queste catastrofi favorivano il brigantaggio, così Hobsbawm in un suo saggio famoso (9), ritorneremo più avanti su questo, per ora ci basti dire che in genere banditismo vuol dire ricerca di libertà, ma in una società contadina è dato a pochi di essere liberi. Purtroppo la terra ci lega con i suoi cicli produttivi inalterabili e sopra tutto non rinviabili. Pertanto sono pochi quelli che possono essere in grado di spezzare la catena di questo servaggio.
La montagna con l'aumento della popolazione diventa dunque una grande fabbrica di uomini che sono in pratica al servizio altrui.
Questo fatto, cioè l'aumento degli uomini disponibili a una sorta di transumanza giornaliera per il lavoro, determina anche in un primo tempo un aumento della produzione agricola in pianura ma poi non basta più, perché occorrono nuove terre per continuare ad aumentare la produzione.
Questo avviene anche perché la nostra agricoltura soffre di problemi antichi e moderni come la deficienza di innovazioni nella semina, i concimi inadeguati, la bassa resa dei raccolti.
I raccolti sono alla mercè di elementi instabili, di natura anche meteorologica, …..l'inverno comincia presto e finisce tardi, la stagione horrida descritta tante volte nelle cronache dell'epoca con piogge continue, inondazioni, nevicate intempestive, temporali, burrasche, bombe d'acqua, freddo crudele sopratutto per i poveri (10).
D'altro canto nelle campagne nasce anche un ceto nuovo quello dei massari, addetti alla coltivazione dei campi chiusi, anche molto grandi.
Per effetto della rifeudalizzazione e della compravendita dei feudi cui avevano avuto accesso nuovi ceti dotati di capitali, si assiste a una specie di neo capitalismo in campagna.
La nuova nobiltà viene dalle classi dei togati: notai, avvocati, medici e anche dai vecchi gabellotti che avevano avuto la possibilità di arricchirsi, mentre l'antica nobiltà spesso analfabeta si perdeva nella sua albagia.
Mutano i contratti di fitto sempre più orientati verso una nascente mezzadria piuttosto che gli antichi rapporti enfiteutici, con fitti a medio termine invece di quelli a lungo termine (11).
Si assiste anche a un generale aumento dei prezzi e dei conseguenti salari.
Secondo Maurice Aymard è la vittoria del latifondo, il riappropriarsi da parte dei signori della quasi totalità delle terre, la costituzione di una nuova rete di grandi aziende estensive, le masserie, con l'estendersi delle superfici dedicate all'allevamento transumante (12).
Fu una scelta consapevole quella del pascolo fatta dai proprietari terrieri piuttosto che quella di una coltivazione intensiva che avrebbe bisogno di maggior mano d'opera e quindi molto più costosa.
In questa lotta tra chi vuole coltivazioni qualificate e chi invece preferisce l'allevamento si gioca molta della rivolta che infiammò le nostre contrade.
Gli interessi cittadini verso l'allevamento bovino sono anche appoggiati dalle corporazioni artigiane che vivono sulla lavorazione del cuoio, molto forti nel centro di Sessa.
Il pascolo al contrario non necessita di molta cura, bastano pochi mandriani, magari solo dei ragazzi, a condurre la mandria al pascolo nei terreni demaniali.
Il pascolo non necessita di cura per i terreni, in conseguenza aumenta, con l'abbandono delle opere di bonifica, il pericolo del progressivo processo di reimpaludamento che caratterizza questi tempi e aumenta anche la disoccupazione, perché non necessita di mano d'opera. Si assiste perciò proprio in questi tempi alla nascita di un contrasto che coinvolge da una parte la massa di contadini che scendono dalla montagna affamati in cerca di lavoro e di terre da coltivare, dall'altro ad una classe di mezzadri, addetti al pascolo, all'allevamento di bestiame, di casaioli i cui interessi sono legati a quelli dei grandi proprietari terrieri che vogliono un guadagno certo e con meno impegno di capitali possibile.
Si deve registrare anche un indebolirsi delle pratiche comunitarie e degli usi civici, che vengono sempre più fortemente contrastati e un relativo declino delle piccole aziende.
Dall'altro lato questo è il tempo di una vera crisi ecologica.
Il continuo disboscamento della montagna, continuato ininterrottamente dal Medio Evo in poi, effettuato sia per la costruzione di navi, che per l'edilizia urbana come infine per il semplice riscaldamento, finisce per compromettere lo scorrimento delle acque, provocando inondazioni delle pianure che diventano collettori di acque torrentizie. Ritorna l'impaludamento, si formano acquitrini. Se l'uomo trascura i canali di drenaggio o di irrigazione, anche perché l'azione del contadino si allenta, si diffonde di nuovo la malaria, in una sorta di controbonifica automatica.
L'abbandono della manutenzione delle strade e la difesa contro il paludismo è determinato dalla mancanza di capitali dello stato. In montagna, dice Ciasca, il continuo taglio dei boschi, provoca un disordine nel regolamento delle acque, dissesto idrogeologico, degradamento del terreno, dilavamento dei fianchi della montagna. Inoltre il disboscamento continuo provoca frane. Anche Ciasca vede in pianura la contrazione delle coltivazioni a grano e il dilatarsi della pastorizia e in conseguenza di questo si estende il paludismo (13).
Durante il dominio spagnolo con i bisogni fiscali del governo, aumenta il disboscamento, usato come mezzo per fare denari.
Le cronache del Seicento sono piene dei resoconti di frane delle cime delle montagne verso le vallate, di allagamenti, desolazione e spopolamento.
All'inizio del secolo qualche tentativo di bonifica c'era anche stato ma non c'erano le necessarie risorse economiche per affrontare la questione.
Nel 1616 una sentenza del conte di Lemos su progetto dell'ingegnere Domenico Fontana impone l'inizio della bonifica dei Regi Lagni. Nel 1638 un tentativo viene fatto nella pianura di Fondi. Ma sono episodi senza conseguenze perché la bonifica della zona così ampia come l'abbiamo descritta avrebbe necessità di ben altri capitali e soprattutto di ben altra forma di stato.

Prodromi della rivolta a Sessa.
Altri elementi che contribuirono a determinare la condizione di pre-rivolta soprattutto nelle campagne sono da ricercare nell'aumento generalizzato delle gabelle.
Questo sistema di tassazione indiretta che colpiva tutti i generi alimentari, oltre a sommarsi alla tassazione diretta che colpiva uomini, industrie e cose, non era egualmente distribuita nella popolazione.
Intanto chi possedeva, certamente non aveva necessità di acquistare grano, pane, vino, olio, carne e altro, che possedeva di suo. Quindi le gabelle colpivano sempre le classi che non possedevano nulla o comunque che non avevano possibilità di coltivarsi un campicello per conto proprio.
Di fronte ai debiti delle amministrazioni delle Università che si aggravano a dismisura anche per la sostanziale incapacità di chi le amministra, oltre che per la voracità famelica degli amministratori che rubano a man salva, si tenta di mettere ordine attraverso una revisione dei conti da parte del Reggente Carlo di Tappia attorno agli anni trenta del secolo.
Questa opera meritoria però non riesce. Il tentativo fallisce miseramente. Ne parleremo più avanti.
Il 15 del mese di settembre del 1640 a Sessa nel castello della città i sindaci Cesare della Marra e Tommaso Traetto insieme agli Eletti e delegati dei vari Terzieri e feudi con l'unica assenza degli eletti del feudo di Montalto a latere Caschani affermano che nei giorni scorsi avevano fatto pubblicare il bando per il fitto della gabella novamente imposta dal governo sulla macena del grano per due anni continui da iniziare il 16 del prossimo mese di settembre 1640 fino al 15 di settembre 1642 (14).
La gabella sarà esatta in ragione di carlini 3 per ogni tomolo di farina di peso di 41 rotoli e anche il diritto di esigere detta gabella sul pane e biscotti e anche i maccheroni che si venderanno dai commercianti esteri nei mercati della città e del circondario.
L'atto viene stipulato anche alla presenza di Raimondo di Cardona, Governatore di Sessa, commissario delegato del Reggente Tappia e rappresentante del duca di Sessa.
Il fitto della gabella ascende alla somma enorme di ducati 10.300 per ogni anno di detto biennio. Offre la somma Pirro Pascali di Sessa ma poi nell'atto si comprende meglio che si è costituito un consorzio tra varie persone per rispondere della somma, infatti sono solidali nel rispondere di questa cifra con Pirro anche Marco Antonio Ricca, Tommaso Pascali della Ratta, Giovan Leone de Tutis e Francesco Sisto. Sono tutti della città di Sessa, appartenenti alla nobiltà i Ricca e i due Pascali anche se di due linee diverse, mentre gli altri due sono esponenti di famiglie del ceto notarile.
Questo atto è importantissimo intanto perché ci informa come il regno abbia in questo periodo appena precedente la rivolta introdotto un regime fiscale pesantissimo e iniquo. La tassa sul macinato ha fatto sempre e in tutte le epoche disastri, provocando lutti e rivolte. La somma è talmente enorme da superare il bilancio della città che è di circa 7000 ducati. Daremo più avanti conto del bilancio cittadino e soprattutto dello Stato discusso rivisto dal Tappia nel 1633. Si ritiene necessario trascrivere per intero l'atto proprio per la sua importanza. Naturalmente per esigere questa tassa il controllo sui mulini doveva essere ferreo, ricordiamo che la maggior parte di essi si trovava lungo il corso del rio Travata, sia a nord della città che a valle. Si conoscono almeno quattro mulini di proprietà dei Transo: quello di Ponte Ronaco, uno detto di S. Maria de la plana, un altro di Vallicella e uno di Fontanella. Tutta una serie di persone dovevano essere impegnate in questo lavoro come manutengoli, guardie armate al servizio degli esattori.
L'atto dunque.

Die decimo quinto mensis septembris millesimo sexcentesimo quadragesimo ind. 9. Suesse et proprie in Castro dicte Civitatis.

Fatemur quod predicto die in nostri presentia personaliter constituti Cesar della Marra et thomas Traetto in praesenti anno 1640 et 1641 9 ind. Sindici et electi Universitatis civitatis Suesse, Hieronimus Verrence et Leo Verrence in d. praesenti anno Sindici et electi universitatis Tercerii Pedimontis, Andrea dello Mastro et Antonio Sasso sindici et electi Universitatis Tercerii Lauri, Hector de Cresce, Paulus Martucci et Ioannes Camillus Nicoletta sindici et electi Universitatis Tercerii Caschani, Thomas de Stasio, Nuntius de Colantuono et Ioannes de Vincentio sindici et electi Universitatis feudi Toralti, Stefanus de Resta, Dominicus de Vita et Julius Martone in d. praesenti anno 9 ind. Sindici et electi Universitatis feudi Montisalti a latere Toralti.
Agentes ad infrascripta omnia quibus super sindicario nomine et p. parte tam predictorum Universitatum Suesse ac dictorum Terceriorum et Feudorum p. nomine et p. parte Universitatis feudi montisalti a latere Caschani et eius sind. Absentibus quilibet p. sua universitate respective ut supra ac pro eorum hominibus particularibus nominibus et partibus suis ut supra ex una parte
Et Pirrus Pascalis dicte Civitatis Suesse agens similiter nad infrascripta omnia p. se suis heredibus et successoribus quibuscumque ex parte altera.
Prefati quidem sindici civitatis Suesse et eius Terceriorum et Feudorum ac dictus Pirrus sponte quibus supra nominibus asseruerunt pariter coram nobis et sibi ipsis ad infrascripta presentibus presente quoque ibidem D. Raymundo de Cardona Generali gubernatore Status Civitatis Suesse et ad inrascripta commissario speciali deputato p. S.R. sive p. eius collaterali Consilio p. eum in eius commissione inferius inserenda et ad infrascripta omnia et singula quo supra interveniente ac audiente, ipsos sindicos p. utilitate beneficio et comodo p. Universitates ac eorum hominum et particularium
Diebus elapsis
Banniri fecisse p. civitates, terras et loca convicina d. civitatis Suesse ac per dctam civitatem et loca solita ad sonum tube per Dominicum Napolitanum publicum servientem et tubistam ducalis Curie Suesse more preconis, ut si quis affictare voluisset
La gabella della macena dello grano della d. città de Sessa et de suoi terz. et feudi novamente imposta per anni doi continui incominciando a sedici del presente mese di settembre 1640 inclusive et finiendo a quindici del mese di settembre inclusive dell'anno intrante 1641 et da quindici del mese di settembre prossimo venturo dell'anno subsequente 1641 similiter inclusive fino a dicto die da 15 15 di settembre 1642
Da esigersi detta gabella
Alla ragione de carlini tre per ogni tomolo de farina de peso de rotola quaranta una con lo jus di esigere detta gabella dello pane et biscotti che verranno a vendersi nelli mercati di detta città et altri luoghi del suo territorio et anco delli maccaroni alla detta ragione de carlini tre per ogni 40 rotola et l'interesse che si faranno vadino a beneficio del gabelloto una con tutti li suoi lucri, gaggii, et amolumenti et conforme la carta sopra di ciò fatta et con tutti li patti et conditioni in detta carta descritti et serbata la forma delli capitoli sopra di ciò fatti et firmati p. d. sig. don Raymundo ut supra commissario et serbata la forma in omnibus del Regio assenso sopra di ciò impetrato da inserirnosi appresso nel presente contratto et non alio vel alio modo dovesse comparire nella piazza pubblica di detta città di Sessa nel suo loco solito, che si allumerà la candela et con sono de trombetta s'incanterà et subhastarà et ad extinto de d.candela si libererà all'ultimo licitatore et più offerente et sic
Sub die decimo tertio presetis mensis settembris p. d. Dominicum Napolitanum ut supra tubistam candela accensa fuisse et d. gabellam ad sonum tube pore preconis incantatam et subhastatam in subhastatione quamplurimos homines eiusdem Civitatis ac aliorum locorum comparuisse et precedentibus nonnullis subhastationibus et licitationibus ac oblationibus factis p. nonnullos homines demum ipsum Pirrum obtulisse p. affictu et pretio dicte gabelle ducatos decem millia et tercentum quolibet anno dicto biennio durante per ipsum solvendos tertiatim forma dicte carte. Et alios decem millia et tercentum de ducatis carolenis argenti p. affictu et pretio eiusdem gabelle p. alio subsequente anno finiendo in die decimo quinto mensis settembris venturi anni subsequentis 1642 tam ipse Pirrus affictatarius quam ibidem presentes et personaliter coram nobis constituti: Marco Antonio Ricca, Thomas Pascali Ratta, Joanne Leo de Tutis e Francisco Sisto dicte civitatis qui licet sciunt omnes quinque ipsi Pirrus, Marcus antonius, Thomas, Johannes Leo et Franciscus et quilibet ipsorum propriis privatis personalibus nominibus personaliter et in solidum et de corpore et cuiuslibet ipsorum in solidum propria pecunia promiserunt illos integre dare, solvere et consignare d. sindicis prsentibus p. rata spectante ad unamquamque dictarum universitatum ratione foculeriorum et hoc modo videlicet:
dicte Universitati Suesse de predictis ducatis decem mille et tercentum presenti anno hoc est ducatos quattuor mille noningentum sexaginta unum, tarenum unum et grana tria quos ducatos 4961. 1. 3 predicto presenti anno spectantes ad dictam Universitatem Suesse promiserunt p.li et in solidum ut supra solvere dictis sindicis Suesse presentibus quolibet mense in fine ab hodie ducatos quattuor centum et tresdecim, tarenos duo et grana tria et denarios quattuor et facere predicta solutione ducatorum 413. 2. 3. ⅔ in die entrantis mensis octobris et sic continuare p alio subsequenti anno durante affictu predicto et non deficere
alios ducatos mille quingentum quadraginta septem, tarenos tria et rana decem et novem spectantes ad predictum feudum Toralti de predictis ducatis 10.300 pro presenti anno similiter in solidum ut supra solvere dictis sindicis presentibus quolibet mense in fine ducatos centum viginti octo, tarenos quattuor, grana decem et septem et denarios quinque et sic continure quolibet mense in fine.
Alios ducatos noningentum et octo, tarenos quattuor et grana unum spectantes ad dictum tercerium Pedemontis de predictis ducatis 10.300 p. presenti anno similiter personali et in solidum premiserunt ut supra solvere dictis sindicis terc. Pedemontis presentibus quolibet mense in fine ut supra numerando duc. Septuaginta quinque, tarenos tria, grana tres decim et denarios tres et sic continuare quolibet mense in fine p. dicto alio subsequenti anno 1642 et non deficere.
Alios ducatos octigentum septuaginta duos et grana undecim spectantes ad dictum tercerium Lauri de predictis duc. 10.300 p. d. presenti anno similiter pers. Et in solidum ut supra solvere d. sindicis terc. Lauri pres. Quolibet mense in fine duc. Septuaginta duos et tarenos tria grana septem et denarios tres decurrendos ut supra et sic continuare quolibet mense in fine ut supra numerando et p. alio subsequenti anno 1642 et non deficere.
Alios ducatos mille et septuaginta quattuor, tarenos duo et grana quattuor spectantes de predictis 10.300 ad dictum tercerium Caschani p. d. pres. Anno similiter personali et in solidum ut supra promiserunt solvere d. sindicis terc. Caschani personaliter quolibet mense in fine ut supra numerando duc. Octuaginta novem, tarenos duo, grana tresdecim et denarios tres sun dimidio et sic contunuare quolibet mense supra p. alio subsequenti anno 1642 et non deficere.
Alios ducatos quingentum octuaginta tres, tarenum unum et grana decem spectantes ad feudum Montisalti a latere Toralti de predictis 10.300 pers. Et in solidum ut suora promiserunt solvere d. sindicis presentibus p. d. anno quolibet mense in fine ut supra numerando ducatos quadraginta octo, tarenos tria et denarios quinque et sic continuare quolibet mense in fine p. dicto alio subsequenti anno et non deficere.
Alios ducatos tercentum quinquaginta duos spectantes ad dictum feudum Montisalti a latere Caschani p. d. presenti anno ad complementum predictorum duc. 10.300 similiter personali et in solidum ut supra promiserunt solvere d. feudo et illius sindicis absentibus et mihi p. dictis sindicis dicte Universitatis quolibet mense in fine ut supra numerando duc. Vigintinovem, tarenum unum et grana sexdecim et sic continuare quolibet mense in fine p. d. alio subsequente anno et non deficere.

Et ad maiorem cautelam predictorum Universitatu, prefati Pirrus, Marcus Antonius, Thomas, Johannes Leo et Franciscus et quilibet ipsorum personaliter et in solidum ut supra predictos ducatos 10.300 p. dicto affictu quolibet anno ut supra promissos ratam eorumn in fine cuiuslibet mensis promiserunt illos solvere cui et quibus predictos sind. Respective ut supra fuerit ordinatum et signiter Regie Curie, et eius consiliariis et in forma regie Pro rationale ad eorum istantiam, conto, risico, periculo et fortuna et eorum signibius et ab eis et quolibet eorum recuperare debitos, cautelas de receptis ad beneficium dictarum universitatum respective ut supra et illos consignare d. sindicis p. rata ut supra p. eorum cautela in pacem ac non absente quamque exceptionem et liquida preventionem aut aliqua excomputationem et signiter non obstante q. sit instr. Effectum cui prestita debet facta cautelam cui beneficio prestandi d. facta exceptione d. pact. Non p.stite ceteris iuribus cum int. Expres. Coram nobis ren. Alias deficienti a pres. Et quolibet predictorum ac demum et interessem forsan patendis p. univ. Tam causa commissarii p. q. quovis alia causa teneatur p. promiserunt in solidum de eorum propria pecunia satisfacere mihi et dict. Sindicis ut supra respective presentibus et una cum omnibus aliis dannis et p. et inter. Et occas. Predicta patenda et ante annum passum in pace immo ad cautelam in casu quo p. ipsos in defectu fuerit a d. solutionibus promissis in tali casu d. gabella iterum Pirrum et alios e cuiuslibet ipsorum iuxta forma d. banni ut supra p. inserti non obstante q. in dicto banno dicatur p. mensem unum et dies decem et nihilominus pr. Instrumentum ex anni sui parte liquida prod. Presentari, liquidari et accusari possit in fine cuiuslibet mensis promi. Et presenti p. dictis sindicis et quemlibet et in solidum contra eundem Pirrus et alios et quemlibet eorum in solidum in Magnam curiam Vicariae juxta forma ritus……possit ex.qutione et via exq. Realiter et personali ad electionem dict. Sind …….
Seguono molte altre formule giuridiche, infine
Cum pacto che siano tenuti a fare franche, conforme promettono di fare franche tutte quelle persone che sono franche et li pagamenti de le bonatenentie vadino et restino a beneficio della città et suoi casali dove serrà necessario una o più persone dove s'habbiano a consignare li bollettini et recevute dello suddetto banno ut supra p. inserto et non alio vel alio modo et quem affictum ipso sindici promiserunt eos non amovere nec amoveri favere d. biennio defendere et ab omnibus omnem litemque in pacem non sic simili.
Pro quibus omnibus observandis et contra non veniendi p. aliqua ratione prefati sindici predict. Universitatis Suesse et terc. Et feud. Ac predict. Pirrus et soci obligant se etc.

Presenti alla stipula del contratto: Johannes Antonius Mastroluca, ad contractus judex, Testes: D. Aloysio de Cardona de Neapoli, Rev. Thomas Sixto canonico et primicerio suessano, Rev. Prospero Paschali, Rev. Vincentio Cerasolo, rev. Francesco Carinola, cl. Ioa. Vincenzo de Aranda, cl. Ambrosio Testa, cl. Joa. Aloysio Martino, et cl. Joseph Carinola, Jo. Bapta Gioannetto UID, not. Jo. Francesco di Capua et Carolo de Nora de Suessa.

(fine I parte)

NOTE

(1) Sulla figura di Masaniello e la sua rivolta la bibliografia è immensa, qui per tutti si cita CAPASSO B., Masaniello, Napoli, Berisio, 1979. SCHIPA M., Masaniello, Bari, Laterza, 1925. GALASSO G., La rivolta di Masaniello, in Storia del Regno di Napoli, Il Mezzogiorno spagnolo e austriaco (1622-1734), III, Torino, 2011, pp. 285 e sgg.
(2) ROVITO P., Il Viceregno di Napoli, Napoli, Arte tipografica, 2003, p. 343.
(3) GALASSO G., Alla periferia dell'Impero. Il Regno di Napoli nel periodo spagnolo (secoli XVI-XVII), Torino, Einaudi, 1994, pp. 271 e sgg. Cfr. anche GALASSO G., La diffusione del moto nelle Province, in Storia del Regno di Napoli, cit., III, pp. 345 e sgg.
(4) VILLARI R., Rivolte e coscienza rivoluzionaria nel secolo XVII, in Ribelli e riformatori, Roma, Editori riuniti, 1983, p. 26.
(5) VILLARI R., La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Bari, Laterza, 1972, pp. 235 e sgg.
(6) ROVITO P., Il viceregno (..), cit. , p. 345.
(7) BRAUDEL F., Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1976, I, pp. 14 e sgg.
(8) BRAUDEL F., Civiltà e imperi del Mediterraneo (..), cit. II, pp. 788 e sgg.
(9) HOBSBAWM E. J., I banditi, Torino, Einaudi, 1971, p. 17.
(10) BRAUDEL F., Civiltà e imperi del Mediterraneo (..), cit. II, pp. 251 e sgg.
(11) DI MARCO G., Patti agrari, usi civici e locazione del demanio di Sessa tra i secoli XVI e XVII, Rivista Storica del Sannio, 5, 1996.
(12) AYMARD M., La transizione dal feudalesimo al capitalismo, in Annali, I, pp. 1136.
(13) CIASCA R., Storia delle bonifiche del Regno di Napoli, Bari, Laterza, 1928, p. 30 e sgg. FIENGO G., I regi Lagni e la bonifica della Campania felix durante il viceregno spagnolo, Firenze, Leo Olschki editore, 1988.
(14) ASC, notaio Cesare Picano, 3411, f. 302, Affictus macene p. Pirro Pascali ab Universitate Suesse et eius Terceriorum et Feudorum cum creditu p. dicta universitate ac d. eius Terc. Et Feud. Contra d. Pirrum et alios in solidum ut infra.

Giampiero Di Marco
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 4 Aprile)