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Memorie teanesi nelle porte a Castel Nuovo

 

Dei quattro archi di trionfo innalzati dagli angioini in Castel Nuovo, più conosciuto come Maschio Angioino, quello nel secondo androne, fatto costruire da Ferdinando d'Aragona detto Ferrante, salito al trono il 4 febbraio 1458, aveva una porta di bronzo a due battenti, detta “la Vittoriosa” in quanto fu fatta realizzare dal re per celebrare la vittoria contro i baroni del regno che avevano attentato alla sua sovranità. La porta è oggi conservata nello stesso castello, nei pressi dello scalone d'onore, ed è stata ampiamente illustrata da E. Paoletta nel volume Storia, arte, e latino nella bronzea porta di Castel Nuovo a Napoli (Laurenziana, Napoli 1985).
La porta, realizzata tra il 1462 ed il 1468 da Guglielmo Monaco, è suddivisa in sei pannelli con delle iscrizioni in latino che illustrano le raffigurazioni. I due pannelli superiori, di forma arcuata per adattarli all'arco trionfale, raffigurano l'agguato del 29 maggio 1460 che Marino Marzano, duca di Sessa, tese al re Ferrante d'Aragona, suo cognato, a Torricelle di Teano. Gli altri quattro pannelli raccontano invece le battaglie sostenute nelle Puglie dallo stesso sovrano in difesa del proprio regno contro Giovanni d'Angiò, a favore del quale si erano schierati i baroni. Precisamente, i due pannelli centrali rappresentano la presa di Accadia del 9 agosto 1462, la ritirata degli Angioini dalla stessa città, la battaglia di Troia e la presa della stessa città. Forse per la loro posizione in alto, i due pannelli relativi all'abboccamento di Torricelle di Teano sono i meglio conservati.
Era il 29 maggio 1460. Ferrante d'Aragona era accompagnato da due anziani dignitari, il conte Giovanni Ventimiglia e Mossan Coreglia, il duca di Sessa era in compagnia di due giovani cavalieri, Giacomo di Montàgano. detto Iacobuccio, e Diofebo dell'Anguillara.
Nel pannello di sinistra, guardando la porta, è raffigurato al centro il duca Marzano (di fronte) e sulla destra il Re (di profilo), entrambi con la mano destra alzata; in basso a sinistra degli alberi e i due accompagnatori del duca raffigurati quasi di spalle. In alto, a sinistra la città turrita di Teano, al centro ancora alberi con a destra una chiesa. Sul margine inferiore della scena è posta l'iscrizione PRINCEPS CVM IACOBO CVM DIOFEBO / QVEM DOLOSE VT REGEM PERMANT COLLOQVIVM SIMVLANT per spiegare che Marino Marzano, con Giacomo e con Dìofebo, simula di voler un abboccamento con il re, ma in realtà vuole eliminarlo.
Teano è raffigurata con una cinta murale, che le gira intorno e lascia scorgere qualche tratto dell'opposto versante; è circondata da uliveti; ha varie torri tra le quali quella di destra è più alta e a punta. Oltre la cinta di sud-est si innalza il duomo con il suo campanile terminante a cuspide con altre due costruzioni avanti e a sinistra dello stesso. Un'altra costruzione è rappresentata fuori dalle mura, sulla destra. Più avanti una collina a doppia cima con sulla destra un edificio cuspidato. Più lontano, l'Appennino con il Monte Maggiore. A destra di distinguono dei cipressi tra i quali si intravede la chiesa presso la quale era stato concordato l'abboccamento, con il campanile che sembra una torre.
Nel secondo pannello, quello di destra, è riprodotta la parte conclusiva dell'agguato, con al centro il Re (di spalle) che leva la spada per difendersi dall'assalto del cavaliere Diofebo (alla sua sinistra, di fianco), mentre il duca Marzano e Giacomo di Montàgano sono pronti ad intervenire. In alto le stesse immagini del primo pannello (la città, l'edificio, gli alberi e la chiesetta). Sotto la scena la scritta HOS REX MARTI POTENS ANIMOSIOR HECTORE CLARO / SENSIT UT INSIDIAS ENSE MICANTE FUGAT, per esaltare il Re, in guerra pari a Marte e più coraggioso del nobile Ettore, che mette in fuga i ribelli avendo avuto sentore dell'agguato.
L'esaltazione di Ferrante, paragonato al dio della guerra e all'eroico Ettore, è spropositata. In realtà, nella vicina Calvi, in cui il Re aveva il suo campo, vi erano archibugieri e balestrieri che sicuramente erano allertati e pronti a intervenire in caso di bisogno, Il fatto fu visto con imbarazzo dall'artista chiamato a eternare tanta autocelebrazione di Ferrante, che infatti rivolse le due immagini verso Teano trascurando ogni riferimento topografico a Calvi.
L'episodio celebrato nella porta riveste enorme importanza.
Giovanni Francesco Marino Marzano conte di Squillace e di Montalto e principe di Rossano, chiamato “regulus campaniae” (piccolo re della Campania) in quanto possedeva sette città arcivescovili, trenta vescovili e trecento castelli, era figlio di Giovanni Antonio Marzano e di Covella Ruffo, stretta cugina di Giovanna II d'Angiò e di Carlo di Durazzo. Era legato anche alla corona aragonese per aver sposato nel 1442 la figlia di Alfonso I d'Aragona, Eleonora, e perché era zio di Isabella Chiaromonte, moglie di Ferrante. Con tali legami, divenne ben presto uno dei più potenti feudatari del regno nonché uno dei personaggi più influenti della corte napoletana, ricoprendo anche la carica di Grande Ammiraglio.
Morto Re Alfonso nel 1458, il figlio illegittimo, Ferdinando I, chiamato Ferrante, dovette ingaggiare una durissima lotta contro i baroni che volevano conservare i privilegi acquisiti sotto suo padre e perciò ordirono contro di lui due congiure. Uno dei capi della prima congiura fu proprio Marino Marzano, suo cognato, che lo odiava in quanto aveva scoperto la relazione incestuosa di Ferrante con Eleonora, sua moglie. La notte del 22 agosto 1459, il duca, trovandosi con la moglie nel castello reale di Napoli, preso dal desiderio di abbracciare i suoi figliuoli, raggiunse l'appartamento della moglie Eleonora, ma giunto sulla porta udì all'interno Eleonora che si intratteneva con Ferrante.
L'opposizione al re da parte dei baroni si faceva sempre più forte, tanto che invitarono alla riconquista del regno di Napoli il principe Giovanni d'Angiò, che tenne a battesimo anche il figlio di Marino, chiamato in suo onore Giovanni Battista. La sfida era palese. Poco prima che Giovanni d'Angiò abbandonasse il Regno, nell'agosto del 1463, Marino e Ferrante stipularono la pace rafforzata dalla promessa del matrimonio tra Giovanni Battista, figlio di Marino, e Beatrice, figlia di Ferrante, matrimonio da celebrarsi però in futuro data la giovanissima età dei due. Ma nonostante ciò, l'8 giugno 1464 il re lo attirò con una scusa al suo campo presso Saone, lo fece arrestare e incarcerare a Castel Nuovo, insieme al figlioletto Giovanni Battista di appena quattro anni. La fine di Marino è incerta: secondo alcuni fu gettato in mare, secondo altri fu ucciso nel 1490, dopo ventisei anni di prigionia. Il figlio Giovanni Battista, dopo la morte di Ferrante, uscì vivo dal carcere nel 1494.

Luigi Di Benedetto
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 10 Ottobre)