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Caro Campanile

 
Riflessioni di un uomo comune...
 

Caro campanile,
svetti tra i tetti del paese così alto che sembri il gigante buono di una vecchia pubblicità di Carosello.
Tutti ci stringiamo intorno a te, ti seguiamo con gli occhi per non perderci, ti identifichiamo nell'ombrellino sgargiante delle guide turistiche che fa da baluardo agli sprovveduti turisti che vengono da lingue sconosciute. Quando alzo lo sguardo a te mi sento di far parte di un'unica famiglia di mocciosi che si avvinghiano alle gambone del proprio papà e un magone mi stringe la gola, poi abbasso lo sguardo e… che stizza! Sta passando proprio quella persona che ha quella bellissima casa e quella carica che gli dà tanto lustro in paese. No, di quello non mi sento fratello! E nemmeno di quell'altro dall'altro lato della strada che non saluta; è vero che nemmeno io lo saluto mai però potrebbe salutare lui per primo.
Ops… Mi pareva che eravamo tutti una famiglia, ma forse ho sbagliato campanile all'ombra del quale sentirmi protetto, forse è meglio che mi metta sotto il campanile della mia piccola chiesetta rionale, ecco, ora sì mi sento a casa!
Ad un tratto mi sento chiamare, è il mio vicino che sta passando con la sua bellissima e costosissima auto, quello che ha i figli che hanno tutti dieci a scuola e si può permettere le vacanze in qualche sperduto luogo esotico e la colf straniera e mi prende il livore per la mia insignificante vita. Io a malapena riesco ad arrivare alla fine del mese col mio stipendio da impiegato e per comprare qualcosa devo fare le rate. Non ho niente in comune con quel signore e la sua lussuosissima auto. Ribadisco nuovamente a me stesso… non siamo un'unica famiglia perché una famiglia è un'insieme di persone che condividono le stesse cose e io non condivido nulla con quella persona.
Allora mi accorgo che ho sbagliato ancora campanile, forse l'unico possibile è quello invisibile edificato accanto al muro della mia modesta casa e me ne torno lì afflitto ed enormemente solo. Niente famiglia allargata, niente da spartire col mio vicino.
Rientro nella mia banalissima vita, mi siedo con la mia comunissima famiglia che a tavola racconta la quotidianità e il mio pensiero vaga, proteso verso un'esistenza piena di impossibili successi.
Ad un tratto suonano alla porta, chi mai sarà?... Mi alzo sfiduciato, apro il portoncino di alluminio con riquadri di dozzinale vetro smerigliato… Ma è il mio vicino! Con una faccia affranta, le rughe solcano quel volto spianato fino a qualche giorno prima, mi chiede di entrare un attimo, ha bisogno di parlare con qualcuno.
Io lo faccio accomodare sul divano, ferito dalle ridenti battaglie con i miei figli, liso dalle assemblee condominiali della mia semplice famiglia che precedono qualsiasi decisione si debba prendere, logorato dalle risa e dalle lacrime che i membri della mia piccola comunità condividono sempre e in ogni caso.
Il mio vicino si siede affranto e inizia a parlare; aveva saputo che suo figlio faceva uso di stupefacenti e non sapeva cosa fare, cosa dirgli, lui che non gli aveva mai parlato perché non aveva tempo e non lo aveva mai ascoltato per la stessa ragione.
Si tormentava, si chiedeva perché, cosa gli mancava? Voleva da me una risposta, voleva la formula magica che teneva unita felicemente la mia famiglia.
Io rimango di stucco, gli farfuglio qualcosa ma non ho formule segrete da rivelargli per i figli se non il tentare di camminare al loro fianco anche quando il passo non collima perché ogni tempo ha la sua cadenzata andatura.
E poi chiedere aiuto a me che con i miei figli non ho mai fatto grandi discorsi, ho parlato solo di quotidianità, ho tentato di dare modesti consigli dettati dalla esperienza che mi deriva dalla mia semplice vita, quella vita che da sempre ho rassomigliato ad una ferita suturata male, che origina una cicatrice scomposta con qualche punto sempre aperto mentre la vita che anelavo era una ferita da chirurgo estetico.
Allora ho la prova che forse le ferite cucite bene non sono la naturale conseguenza di una crescita sana, di un tessuto connettivale integro…
A questo punto mi viene spontanea impostare un'uguaglianza: soldi + successo = felicità?... Non mi sembra! Uno squarcio apre la mia mente.
Quelle persone che avevo tanto invidiato non mi sembrano più così speciali, così felici, così fortunate; restano persone che hanno avuto delle fortune che con la felicità non c'entrano nulla anzi il più delle volte la loro fragilità non le sa amministrare e perdono la tramontana.
Perdono di vista le persone e inseguono l'oro invece di seguire la regola aurea che è la regola dell'etica che non paga subito ma costruisce su solide fondamenta.
Allora demolisco il mio piccolo campanile casalingo, butto giù il campanile rionale e mi riapproprio di te, caro mio campanile, non per ergerti a mia chioccia ma perchè tu chiami a raccolta tutti i campanili d'Italia e del mondo e faccia capire agli uomini che alzano gli occhi a te che non è una costruzione (o una bandiera) che fa sentire un popolo unito ma la consapevolezza che ci vuole un intero villaggio per crescere un solo bambino.

Esterina De Rosa
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 5 Maggio)