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Tutta un'altra storia

 

Il 3 dicembre, nella sala convegni del Museo Archeologico di Teanum Sidicinum, il giornalista Fernando Riccardi ha presentato il libro “Brigantaggio postunitario. Una storia tutta da scrivere” la cui presentazione è stata curata magistralmente dal prof. Gaetano De Angelis Curtis che ha fatto un excursus sulla nascita e morte del brigantaggio nel meridione, valutandone la portata sociale e politica.
L'analisi critica di questo fenomeno dovrebbe iniziare da un assunto fondamentale: il trionfo garibaldino del 1860 riuscì a nascondere numerosi problemi sociali che gli esponenti politici del Nord difficilmente comprendevano fino in fondo, dato che ben poco conoscevano dell'Italia meridionale. Spesso la si pensava come ad un'area potenzialmente ricca, che attendeva dal mondo della politica soltanto un modo di amministrare corretto, forgiato sul modello piemontese.
Le percentuali di analfabetismo vicine al 100%, le campagne concepite secondo il sistema feudale, un intrico di dialetti, la presenza già radicata della mentalità mafiosa, rendevano invece il Sud un problema di gran lunga più difficile a risolversi e ad essere compreso.
In questo precario contesto socio-politico, gli episodi di brigantaggio organizzato si palesarono subito come un fenomeno non di semplice delinquenza, ma di opposizione armata al governo centrale e di ribellione all'occupazione delle truppe piemontesi nelle regioni meridionali.
Poco si parla nei libri di questo fenomeno passato agli annali come una forma di banditismo da debellare per “salvare” definitivamente il meridione. Ma inviare a quei tempi un contingente di 22000 soldati per sgominare un manipolo di banditi fa credere che non fossero poi così pochi ; anzi, vista la scarsa densità demografica, il rapporto briganti/ popolazione doveva essere abbastanza interessante.
Pertanto c'era una questione meridionale che la recente annessione non aveva risolto perché i nuovi governanti, da Cavour in poi, si rifugiarono nell'opinione che il Meridione, pur naturalmente ricco, fosse condannato all'arretratezza scontando i danni del malgoverno borbonico, tralasciando il particolare che la Sardegna, da un secolo e mezzo governata dai Savoia, si trovava in condizioni di arretratezza ancor peggiori.
Ma noi sappiamo benissimo che la storia raccontata dai libri è la punta di un iceberg non sempre niveo, spesso la parte sommersa cela memorie scomode e il brigantaggio è una di queste.
Belli i versi di un soldato dell'esercito di Franceschiello detenuto nel carcere di Gaeta:

Sia beneditto Gesù Cristo 'ncroce!
nce ha casticate a nui, chi sa pecchè!
Erano prete, e scamazzàino 'a noce,
pe fa l'Italia e scamettà nu Rre!
E se sapeva! 'O franfellicco è doce,
e tu che vuò? ca t' 'o cunzegno a tte?!
Venette 'o tiempo, avetteno 'a furtuna,
e 'o franfellicco fui l'Italia Una.

Ma chille v'hanno fatto 'o tradimente
quanno v'hanno ammentato 'o Prebbiscito!...
Chella è stata na tenta carmusina,
sta Libbertà vestuta 'a culumbrina!
'E piemuntise? Chille erano crape!...
Ma l'avetteno nzuonno, 'a bona sciorta!
E a Calibbardo ca metteva 'e gghionte
ched'è? nun 'o sparàino, a Naspramonte?!

Crediteme, signò, ca chest'è 'a storia!
pe quant'è certo 'o juorno d'ogge! È chesta!
'A tengo ribbazzata int' 'a memoria,
dint' 'o penziero fisso ca me resta!
Chello ca primma era cafè, è cecoria!
e se n'è fatta na mala menesta!
V'hanno ngannato! E 'o ditto dice buone:
Vieste Ceccone ca pare barone!

Viene da chiederci perché tentare sempre di conoscere nuove dinamiche storiche che alla fine non cambieranno i fatti. La risposta è semplicissima: noi possiamo inalveare bene il futuro solo conoscendo il passato.
A quanti di noi è venuto il desiderio di avere una macchina del tempo per conoscere le conseguenze di una scelta importante? Ebbene la storia è proprio questo…una macchina del tempo che ci fa conoscere le cause e le conseguenze di scelte fatte da altri dando a noi modo di imparare dai loro errori, di far esperienza di fatti vissuti e permetterci così di fare scelte ponderate.
Ma guardando bene, a distanza di 150 anni, la questione meridionale non l'abbiamo ancora risolta, non abbiamo imparato nulla dalla storia.
Il Sud si crogiola in una sorta di immobilismo dando la colpa ai “Piemontesi” che li hanno derubati di ricchezze che in realtà amministravano pochi latifondisti e che hanno continuato a farlo anche dopo. E, come allora c'era una volontà diffusa a permanere in questo stato perché mancava la coscienza del cambiamento, così oggi nulla si fa per la carenza storica d'infrastrutture, la dimensione troppo piccola delle imprese e la loro scarsa internazionalizzazione, lo sperpero di denaro pubblico, la diffusa pratica del clientelismo, i ritardi di una pubblica amministrazione spesso pletorica, l'emigrazione di tanti giovani che non trovano un lavoro adeguato al loro livello culturale e alle loro aspettative, l'incapacità di sfruttare le risorse ambientali e paesaggistiche, l'infiltrazione nell'economia sana della malavita organizzata.
E a chi dice: “Ma io da solo che posso fare?” Risponderò con le parole di Robert Kennedy: “Pochi sono grandi abbastanza da poter cambiare il corso della storia. Ma ciascuno di noi può cambiare una piccola parte delle cose, e con la somma di tutte quelle azioni, verrà scritta la storia di questa generazione”.

Esterina De Rosa
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 1 Gennaio)